31.3.05

Tres Cosas


Topthreeisms: al primo ascolto della qui in precedenza lodata triade Four Tet, Prefuse ’73, Caribou (ex Manitoba) si stenta a crederlo ma le preferenze vanno nell’ordine opposto a quanto ci si aspettava. Il grado di rischio preso si spande dal centro. L’ordine alfabetico è mutato.

Indirocche: non lo si frequenta tanto da queste parti ultimamente, a parte il ripescaggio tutto privato dei Beat Happening. Tainted Love’s too fast to dance to, so let’s leave them all behind. Però mi sento lo stesso di consigliarvi Set Yourself On Fire degli Stars, anche se una loro canzone è costruita sul giro di basso di Zombie dei Cranberries (e ci scappa l’injoeeee-e). Se pensate che io non sia più attendibile su quei lidi, importunate come farò io il vostro dj di fiducia per ballare la titolotraccia, Ageless Beauty e soprattutto What I’m Trying To Say e poi ditemi. E Twenty years asleep before we sleep forever è una bella frase per una maglietta. Perché We don’t want to sleep tonight.

Cinetoponomastica: a Bari c’è un night american bar che si chiama Effetto Notte Profonda.

30.3.05

Disordem e progreso


Favela On Blast (si ringrazia Boom Selection) è: torrido. Non ho i mezzi per capire se sia una porcata ma è: torrido. (e fanculo alla gasolina)

28.3.05

Pronomi personali e congiunzioni di identificazione


Io. Iniziamo tutti e due cosi, dai. Io, e le virgole alla fine di ogni frase prima di un, aggettivo. Io sono nato nel 1976. Io non mi riconosco nei testi degli Offlaga Disco Pax e per questo forse non li amo, ma facciamo ordine. Ho sentito per la prima volta gli ODP lo scorso settembre a Torino, dopo un aperitivo alla milanese. Fuori dalla macchina sul marciapiede qualcuno teorizzava improbabili giustificazioni per il suo amore verso gli U2 attuali. Enzo mi ha chiamato e ha utilizzato una compila di Enver per farmi ascoltare Robespierre dall’autoradio: non devo aver fatto una faccia molto convinta al suono di quella discoanimarossamia. Parte due, una domenica mattina tornato a Palermo dopo l’assunzione, scarico i primi tre pezzi del bootleg romano e, boh, non fa effetto. Tutti pazzi per gli Offlaga e io lì annoiato da Soap Opera e Khmer Rossa. Perché a vent’anni avevo occhi solo per le coetanee, e non per le quattordicenni, immagino. Io ho saputo della caduta del Muro in prima media la mattina dopo in classe e non ricordo perché la sera prima non guardavo la televisione, non guardavo Bruno Vespa.

Sento il disco ora che è bello e fatto, senza aver macinato il demo, senza aver ricevuto i wafer Tatranky e le Cinnamon al concerto, senza aver diffuso il culto. Non aspettatevi insomma da queste poche righe filologia sul come Cinnamon fosse soffocata nel bootleg registrato il 14 Settembre, il giorno del mio compleanno, e come adesso abbia acquistato leste dinamiche punk-funk. Come quel giorno Max, che si chiama come me, calcava ironico il ‘Che Cariiino’ in Khmer Rossa e su disco ora non più. Non aspettatevi discorsi sui protagonisti di Tono Metallico Standard, perché ho dovuto usare Google per capire chi c’era dietro il beep.

Non avendo particolari odi et amori nei confronti della musica con testo declamato non li dismetto certo per quello. Non ritengo che sia un’idea a esclusivo uso e consumo di due o tre gruppi eletti. Certo mi disturba, quando si adotta questa scelta, l’impiego di troppe parole consecutive, non ripetute, ammucchiate. Da questo punto di vista Enver rappresenta il mio ideale, asciutto e disco-integrato.

Il mio problema è l’identificazione. L’identificazione non è una bassezza tecnica, probabilmente sarò colto da orgasmi multipli alla prima canzone su chi preferiva il Cucciolone, per le barzellette, e chi il Camillino, per il minimalismo. Non crea necessariamente muri l’identificazione altrui, ma è un’arma a doppio taglio e cominci ad esigere. Perché se ritengo perfetta la sottigliezza con cui Enver racconta di Anna Oxa e di Enver Hoxha senza indulgere nell’iconografia, per tratti accennati, e perché se trovo commovente la divisione dei beni per francobolli prioritari di De Fonseca, vorrei che Kappler fosse una canzone sul fatto che alle elementari cambiavo maestri ogni anno, cantata da Rachele dei Baustelle. Vorrei prendergli anche quello che gli è rimasto, per esempio la coda strumentale di Tatranky.

E, soprattutto, pretendo che sulla bellissima musica shoegaze di Tono Metallico Standard non ci sia una storia di inadeguatezza e invidia ma il mio, *fottuto*, Tempo Delle Mele.

Di Anna O(per)A


(Non so se risuscirò, prima di tornare a essere 15 per 12 ore, a riordinare quei due o tre pensieri su Socialismo Tascabile degli Offlaga Disco Pax che mi passano per la testa – no, non una stroncatura snob ma una dichiarazione di non amore motivata. Nell’attesa visto che è un disco di molte, troppe, parole fisso qui quelle di Enver, l'unica canzone che ritengo perfetta nel disco)



Sento un frastuono
Rimbombi lontana
In modo
imperfetto


Hai lasciato


Piazze Piene
Urne Vuote
Tremori Gentili
Trecce Sottili
Tracce Profonde sugli zerbini dei miei
Pianerottoli


Mancano


Le tue parole sul niente
Il calore
Bagnato sporco che avevo
Il dispiacermi
Di non bastare


Siamo rimasti a guardare
Un desiderio qualche volta noioso
E non sarai mai
Un’emozione da poco

27.3.05

Uova di pasqua bisessuali


I miei genitori hanno regalato a me e ai miei due fratelli delle uova con doppia sorpresa, una maschile e una femminile. Non ho capito se cercano di dirci qualcosa. Fatto sta che dentro ho trovato le sorprese più belle che abbia mai visto negli ultimi due anni. La sorpresa femminile è una collana orrenda intrecciata bianca e nera che nemmeno la peggiore delle white trash da sobborgo newyorkese indosserebbe. Qualora aveste gusti pessimi accentuati da miopia, sappiate che odora anche di cioccolata. La sorpresa maschile invece è una splendida mano semovente, gialla su bacchetta arancione: alla sua vista ho esclamato con fare simpsoniano “Con questa mano posso grattarmi la schiena!”. La mano sembra anche un inquietante gioco erotico sadomaso. È davvero un peccato aver dimenticato lo zaino con la digitale a casa altrimenti avreste avuto le foto.

Rank Zero(X)


Per chi avesse ancora dubbi su quello che penso anche io sull’operazione Human After All, verificate la nascita di Robot Rock, ovvero i due fichetti prendono dieci secondi di una canzone stranamente a metà tra funk e hard rock dei primi anni Ottanta, li mettono in loop e aggiungono una voce sintetica che ripete il titolo.

26.3.05

Dovevo dirti molte coseeeeee, cheeeeee


Un viaggio di dodici ore potrebbe spingere a familiarizzare coi vicini di chilometri, ma di solito rifuggo dalla possibilità e limito i miei contatti ai convenevoli dello scusi potrei passare, visto che in pullman preferisco il corridoio. Ciò non esclude l’osservazione dei tre che compongono la mia linea, quella del 13-14-io-16. Accanto a me la 16 è una Go Go Yubari cinese di dodici anni. Legge, nei pochi momenti in cui la luce delle aree di sosta e delle gallerie lo consentono, un libretto che è un fascicolo e ha un cuore stilizzato sulla copertina: è strano perché il libretto contiene solo ideogrammi, ma il trasporto e l’interesse sono quelli con cui si leggerebbero la pagina della posta di un Cioè o di un Top Girl. Go Go 16 scende a Catania, così come 13 e 14. Oltre il corridoio 13 e 14 sono una strana coppia di sconosciuti, nel senso che non li conosco e nel senso che non viaggiano insieme. 13 è molto anziano è ciò che dice è sconnesso dai suoi gesti: quando doveva abbandonare il pullman ha chiesto a 14 di spostarsi, ma solo perché voleva sgranchirsi le gambe. 14 sembra un trentenne ubriaco e forse lo è. Verso le quattro e mezza ha improvvisato un gospel smozzicato a metà tra l’agrigentino e l’inglese, ma nessuno ha protestato. Io al solito non dormo, ci riesco solo tra Villa San Giovanni e le sette di mattina. Non ho mai apprezzato gli Eels ma questa notte è Blinking Lights (For Me) [A tutti è presa questa mania del doppio. A tutti è presa questa mania dell’essere tristanzuoli. A tutti è presa questa mania della rivelazione. Ma questa canzone non è male, ed è breve a differenza del viaggio]

I turisti già camminano per le viuzze infossate del centro storico e giovani tedescofone si stupiscono al passaggio davanti al Conservatorio nascosto tra rovine e vicoli, o almeno lo faranno quando i giovani musicisti torneranno dalle vacanze.

Ho difficoltà di comunicazione coi parrucchieri. Non so come dire che taglio voglio (quand’ero bambino ho usato anche l’approccio con riferimento a persona famosa, vorrei i capelli come Angelo dei Ricchi e Poveri). La tattica adottata per superare questo problema è dare carta bianca la prima volta e chiedere il solito le volte successive: ho portato per anni tagli orribili per questo motivo. Attualmente mi sono affidato a un tizio di un centro estetico che sembra stilosissimo e frequentato da top model e costantini in nuce e che invece è più economico del barbiere del nonno, dove peraltro si sconta l’impossibilità di prenotare e la conseguente attesa fastidiosa riempita da discorsi su auto, autoradio e ricambi d’auto. Questa volta non volevo il solito, basta basette e soprattutto basta frangetta, taglio cortissimo: la mia capacità di convinzione è stata tale che l’accenno di basetta è al solito lezioso e la frangetta è stata approntata comunque e poi spettinata verso l’alto, con la scusa che i miei capelli sono facili da modellare.

Non ricordavo quanto fosse scomoda l’auto dei miei genitori (sarebbe un buon titolo per una vecchia canzone degli Arab Strap). L’auto non serve, non antiblocca e ha la feritoia della chiave dalla parte sbagliata. Ritorno con piacere però all’inventiva degli improvvisi zig-zag.

La processione del venerdì santo appare irregolarmente dalle traverse di Via Maqueda, meno affollata del solito.

Le passeggiate dei poco sopportabili ragazzi della “Palarmo Bane” in via Roma, nei pressi della chiesa anglicana Holy Cross, sono musicate dall’afrore di sfincione proveniente da chissà dove.

I soundsystem del centro storico sparano come al solito le ultime salve dell’onda sanremese. La canzone che dà il titolo al post è strana perché ha in sé qualcosa che mi piace, la batteria insistita e quelle chitarre che se non fossero state a San Remo avrebbero vissuto di strati, e qualcosa che me la butta giù, le parole e come si inerpicano in certi momenti sulle righe. Ho comprato una polo a righe, l’ultima della mia taglia. Ho trovato un paio di scarpe che mi piacevano, ed è un evento.

A Palermo le ragazze coi capelli rossi sono molte più del solito.

Comic Strip


Il disegnatore di Tank Girl illustra Common People dei Pulp
(via Chromewaves)

23.3.05

Human after all


[(Im)perfezione è il modo che ho per descrivere qualcosa di riuscito eppure di umano alla radice e per questo storto, obliquo, (im)perfetto]

In Piemonte c’è un liquore che si chiama Bicerin. Il Bicerin è un liquore di gianduiotto e in potenza sarebbe qualcosa di perfetto, l’unione di due grandi passioni quali l’alcool e appunto il gianduiotto. Non è così, almeno per me. Quando ho saputo di 13 & God ho avuto paura di potermi trovare davanti a due (im)perfezioni che non avrebbero fatto una (im)perfezione. 13 & God sono infatti i Notwist, ovvero melodie e canzoni in elettronica minima, e i Themselves della Anticon, ovvero l’unico approccio non strumentale che riesco a reggere nell’hip hop attuale. Per essere brevi 13 & God non è il Bicerin che temevo.

All’inizio una parte è più rispettosa e al servizio dell’altra: in Low Heaven i Notwist si occupano del crescendo del prefinale e dei cori, mentre in Men Of Station i Themselves sono presenti come controcanto a una canzone che recupera le visioni di treni e locomotive giocattolo dei Notwist. Se Ghostwork prosegue con questa idea dell’alternanza, quasi che gli addendi fossero lì ancora prima del segno di uguale, arriva Perfect Speed a fugare il dubbio: Notwist con beat hip hop teso alla velocità di insetti ronzanti. È la (im)perfezione che cercavo, nella sua veste forse più immediata. Più immediata perché il disco riserva altre sorprese come le melodie degli uni che si impadroniscono del rappato degli altri (Afterclap o la commovente Soft Atlas), come le voci che si compenetrano e confondono e vengono spezzettate in frammenti, come gli inni all’incerto dei se, dei condizionali e di ciò che non è urlato e chiaro (If), come Superman che fa pattinaggio su un ghiaccio troppo sottile descrivendo lenti archi, mentre vicino ai pattini si solleva minuscolo il freddo in polvere.

13 & God è un disco di gente fica in un momento di malinconia e incertezza e chi è fico (nota, non chi fa il fico) lo è anche in quei frangenti, triste forse ma pronto a guardarsi dentro e a fronteggiare le cose o a sfuggire, se necessario, per poi tornare. Un rapper che dice I don’t exist non è una contraddizione, è la negazione di una macchietta, la sostanza che i catenoni d’oro faticano non solo ad essere ma perfino a rappresentare.

22.3.05

Ieri: I’m (drinking) with the band


maxcar: Una rossa doppio malto media, grazie.
barTENDERess: Sei del gruppo, vero?
maxcar: Uhm, no.
barTENDERess: Vabbé, te la offro lo stesso.

Man Of Station

21.3.05

Non sono io ad amare la musica, è la musica ad amare me


(Questo è solo il solito post autoreferenziale stagionale velatament’intimista minimo nonsolarmenteprotetto sdraiato anzi stinnicchiato aggettivato copiato non salato volatile e, beh, un po’ contento)

Ho capito su una sdraio che l’entusiasmo è un ciclo. Sono le pause troppo lunghe a minarlo, il disinteresse o peggio l’idea che tutto quello che si sente sia troppo * per piacerti. Ho scoperto l’acqua calda il sole caldo, il primo sole caldo dell’anno sul terrazzo direte o l’ultimo sole caldo dell’anno sul terrazzo dico, su quel terrazzo. La musica è ritornata perché la musica ritorna sempre.

Chitarra e voce, basta anche solo quello. Non c’è niente che la musica possa dire per farci stare bene e niente che possa fare per farci stare diversamente da come stiamo e, sai, c’è la possibilità che ci si perda di vista con la musica. Capita quasi a tutti, quella cosa per cui quando hai cinquantadue anni scegli in tv un programma perché ci sono le canzoninonimportaquali e a me era quasi capitato ma mi sono salvato e mi illudo ancora che la musica mi amerà per sempre.

Sarebbe stato meglio per lei se fosse andata da un’altra parte, di certo. Avrei trovato un altro modo per aiutare me stesso, altre porte dietro cui lasciare incidenti minori ma lei sarebbe stata lì di nascosto per vedere se ce la facevo, se saremmo stati entrambi orgogliosi di noi.

L’armonica è uguale a questo soffio sulle guance. La passione sopra tutte le altre passioni con la testa tra le nuvole, insensibile ai miei maltrattamenti mi ricorda che mi amerà per sempre, con un’eco di disco vecchio, come se le cuffie fossero attaccate a un grammofono lucido.

(dove si prende a prestito e si maltratta con modi consunti una canzone)

18.3.05

enovecentocinquanta reprise
(just like “Honey, let’s go!”)


Se non fosse che qui si impiega il tempo anche in iniziative cinematografiche interessanti avreste letto su queste righe una gustosa dissertazione su 13 + God. In mancanza di ciò, ritorno sull’argomento nuovo singolo dei R(ave)onettes , visto che qui ci si è innamorati del suddetto oggetto di 194 secondi e si fa penitenza per aver apostrofato in passato il duo con il nome di Raviolones.

Si ritorna sull’argomento perché Ode to L.A. è più della canzone semplice che sembra, perché parla di un ‘posto col sole’ e chi nasce in un ‘posto col sole’ finge di amare la malinconia metereologica, perché è una tesi a orologeria sull’amore per i propri miti musicali che funziona più di un inutile saggio breve sulle ossessioni da cui non si può scappare.

Ode to L.A. contiene decenni di musica in carne e ossa e effetti e muri di suono. La batteria di Moe Tucker dei Velvet Underground si mimetizza influente con il pop dei gruppi di Phil Spector e della California dei Beach Boys, si rispecchia nel controcanto di miele solo a posteriori rubato a Jesus & Mary Chain e, mentre tutto sembra stare fuori dal tempo, introduce la voce di Ronnie ‘Ronette’ Spector matura e bellissima madre: Ronnie prende per mano la canzone e tuttò ciò che fino a quel momento era leggero diventa grande.

Sentire Ode to L.A. è come rivedere Dirty Dancing e pensare che quando (BeMy)Baby si innamora di Johnny in realtà si sta innamorando anche di Bodhi, il surfista di Point Break. O forse solo di un bel fantasma dotato di un’espressione unica.

Fino al fondo


Insieme a mondo oltro (lacrimuccia nostalgica sulla citazione odierna di Top Secret), l’attuale fornitore di minutaglia, gossip e frattaglie varie è Golden Fiddle che oggi mi delizia con una foto del 1991 di Nicole Kidman durante il suo periodo Tomas Milian e con l’annuncio di un libro fotografico erotico sulle donne ciccie di Leonard ‘Dr Spock’ Nimoy.

This Is Hardcore (una squallida marchetta)


il 21 marzo, cioè lunedì sera, attorno alle 21
(e non oltre, eh, che Cascade deve lavorare il martedì)
BARI, TAVERNA VECCHIA DEL MALTESE
:


FRONTIERA
il sound delle montagne, da aosta con furgone

+

IRIDIO
faster domenico modugno


bene. i frontiera tornano in puglia.
tra le città della puglia c'è bari, e tornano a bari.
tra i locali di bari c'è la taverna vecchia, e (guarda caso) tornano proprio lì.

chi sono i frontiera lo sappiamo(?), brava gente, onesti lavoratori e (soprattutto) uomini di chiesa.
vabbé, a parte gli scherzi. i frontiera non hanno troppo bisogno di presentazioni.

apriranno il concerto quegli sfigati (eh, sì eh...) degli iridio,
nota cover band dei duran duran.
oramai assuefatti alle critiche, non paghi degli insuccessi,
privati dell'unico vero suonatore
e ridotti a chiedermi un provino come cantante solo per il mio aspetto,
tornano (a suonare) a bari dopo anni e anni.

SE SEI NEI PARAGGI, SIICI!
Chi non viene è Nu Radical

17.3.05

enovecentocinquanta
(I need your sunshine like the loving)





Come on, let’s go to where it’s fun
I want a slice of L.A. sun
Uo-oh-oh
Uo-oh-oh

Honey, let’s go!










16.3.05

I remember nothing



Ieri in tre ascoltavamo i Joy Division e oggi mi passa questa cosa per la mente, il concetto ossimorico di figlia di Ian Curtis. Non m’ero mai soffermato su questa cosa, era solo un’informazione come tante lette in maniera distratta su biografie e racconti dell’epoca. Ian Curtis aveva una figlia, Natalie, e quando guardo la foto sgranata qui accanto mi accorgo che tutto è lì dentro, nella bellezza dei contrasti dei due sguardi.


Cosa sai fare?


Ti assumono per un motivo e poi fai altro. Questa è la storia del ventiseienne Dennis Hwang, uno dei manutentori di Google che da un giorno all’altro è diventato il disegnatore delle edizioni speciali del motore di ricerca.
(Il Chicago Tribune richiede registrazione gratuita)

15.3.05

Everybody needs a Beaterator


Vi scappa un ritmo e avete a disposizione solo internet? Ho quello che fa per voi. (Imprescindibile, ma non quanto l’action painting segnalato da Garnant)

Mutandine


Ma quale Bugo*, qui c’abbiamo Francesco Niente.

*Bugo sarà qui sabato. Quasi sicuramente invece di unirmi al CBGB’s (Comitato Barese Gambizzatori di Bugo), comunque qui sostenuto, andrò ad una festa di ingegneri.

Un blog è un blog


Abbiamo già fatto tutto.

14.3.05

Solstizi, anzi tempo


Sulla canzone del giorno. Che parla di inizi ma io l’associo alle fini, perché se fossi un diggei e fossero le quattro e mezza e quattro persone e mezza davanti a me non smettessero di ballare e il proprietario del posto volesse chiudere, se tutto questo accadesse io vorrei regalar loro un crescendo perfetto di parole già dette, l’ultimo sorriso scatenato, una fine che dice che è solo l’inizio. Poi la musica sembrerà fermarsi, rimarrà solo il basso e il bongo e poi poco altro ed è il segnale perché prendiate i cappotti e affrontiate l’escursione termica e i seguenti due gradi (di separazione) esterni. E poi ritornerà il coro, it’s only the beginning.

Agosto è il mese più crudele


perché è di nuovo qui a rimuovere gli amanti dai ponti e sono tornate le signore inglesi dell’altro anno cinquant’anni più vecchie per via della svalutazione della sterlina e delle leggi contro la segregazione razziale nel lavoro che hanno provocato l’ira dei dockers di londra nipoti snaturati dei famosi proletari che ci fecero credere nel manifesto sono tornate a svalutare le loro gonne le ragazze apolidi o svedesi (non si sa mai) le loro fette di coscia mordibili definitive per un apprezzamento strutturalista delle violazioni e il dumping di sottoprodotti del violino sui terrazzi

i giovani biondi mendicanti che dovevano diventare geni in ginocchio rifanno i loro velazquez di gesso sui marciapiedi tra ornamenti di fil di ferro gatti di lana quattro o tre monete e la gentaglia che arriva da tutto il mondo come se soltanto qui ci fossero ristoranti e donne decise lentamente a spogliarsi o a spogliarsi lentamente

ma di giorno non c’è altro da fare che andare a vedere il louvre e questo e si avvicinano scettici perché a volte si tratta di una poesia e si allontanano prudenti sorridendo perspicaci perché è scritto grazie in tutte le lingue e perfino in arabo risulta imbarazzante

ma in qualsiasi momento si può ricreare il disturbo come un cane chiuso in un attico che aspetta qualcuno che apra la porta dopo le ferie perché il quartiere latino è il solito con in più la polizia che solleva il selciato e ricopre con l’asfalto la spianata che c’è sotto perché la gioventù marxista-pessimista non si porti dietro la sua giustizia accumulata fin da maggio

ecco l’unica novità dell’estate e che troveranno senz’altro altre armi quando vorranno e che sto peggio come prima o più di prima se è possibile e che sentiamo la mancanza di quelle notti di fuoco ogni notte e ci sentiamo inutili davanti a tante automobili intatte monumento successivo all’animale pre-umano e la calma cotonata l’ordine come un’accusa

di quella festa della violenza che abbiamo avuto resta solo l’orgoglio di essercene infischiati dei limiti del possibile esigendo tutto il potere per l’immaginazione

lei adesso è la vera pazza della casa qualcosa avviene passa non è reale ancora e tuttavia è l’unica cosa vera

tu ad esempio

non ho altre risposte alle domande idiote della logica

(Qui si è tremendamente alla moda e le immagini poetiche di Jorge Enrique Adoum vengono svuotate del significato politico e usate in modo esclusivamente estetico-simbolico e immaginatele lette su Superheroes of BMX dei Mogwai da Government Commissions)

Queste lampade abbronzano la faccia


Il sodale definisce l’attuale andazzo, forse a ragione, come svolta elettrocazzona. Non sa il suddetto che qui nel frattempo va sempre peggio (o meglio secondo i punti di vista) ed è arrivata l’estate. Sul finto bagnasciuga portabile che ci segue ovunque, l’inno dell’estate è già il reggae di plastica di Brazilian Girls, quello col ritornello in punta di fioretto Pussy pussy pussy marijuana.

Oggi


Iniziestati.

La canzone del giorno


Beginnings – Astrud Gilberto

11.3.05

Master & everyman


Oggi è l’ultimo giorno, udito comunque dall’esterno.

10.3.05

Generazione di fenomeni


La comunità dei blog musicali crea fenomeni con cadenza ormai regolare, al pari delle riviste o delle webzine più famose. Dopo i Junior Boys ed Annie arriva M.I.A., figlia di un rifugiato dello Sri Lanka e interprete di un rap filtrato dalle sue radici senza per questo scadere nell’etnico, circondato di spazi vuoti elettrofratturati e figlio colto, decontestualizzato ma giudizioso dell’ormai defunto bulimico bastardpop. Da buon fenomeno M.I.A. miete recensioni positive, raccoglie articoli su quotidiani importanti e suscita polemiche come le ultime nei nuovi luoghi sacri della sega mentale soggettona sulla musica, riguardanti i risvolti politici, l’autenticità della sua musica e la sua credibilità di strada – spulciatevi se siete interessati gli articoli di Blissout-Reynolds e Christgau sul Village Voice, i seguenti thread su I Love Music e i botta e risposta via blog tra le parti in causa. Il suo nuovo disco Arular è il primo(?) caso di bastardpop al contrario visto che i pezzi, opportunamente ripuliti, provengono dalla mixtape bastarda Piracy Funds Terrorism Volume 1 di Diplo. In Italia per ora si sono accorti di lei i compagni di merende, già responsabili su altri lidi pre-blog di avermi indirizzato nello scorso agosto all’ascolto dei Junior Boys.

Le polemiche sulla credibilità di strada di Arular non sono peregrine ma sono inutili. Per quanto infatti M.I.A. faccia certa musica pur non essendo lo stereotipo della cattiva ragazza, quello che conta è il risultato e le sue sottigliezze. Il rappato di M.I.A. è sempre cantato e le reminescenze delle origini orientali non sono ostentate ma integrate e decontestualizzate come gli altri elementi etnici. La programmazione finto-povera crea spazi vuoti per mettere al centro la voce mai piatta e, soprattutto, sensuale senza essere mai vittima delle esagerazioni dell’R&B melodico. Nel disco si alternano momenti da ballo come 10 Dollar, Bucky Done Gone e Galang a invenzioni come il tappeto soffocato di Pull Up The People, l’esotismo femminile di Amazon e il finto latino di Hombre o il ritornello nasale di Sunshowers. Ho ripetuto troppe volte finto ma, ehi, chi lo dice che la buona musica deve essere anche vera?
(Continuate insomma a sorbirvi il mio periodo anti-folk, nel senso che a meno di ciò che ha passato il filtro nei mesi scorsi qui ci si tiene lontani da ragazzi e ragazze sole con la chitarra e si celebra una nuova fiducia nell’elettronica da divertimento e nel rock sgangherato)

9.3.05

Eternal sunshine of the spot mind


Lo spot onirico della nota marca di scarpe da ginnastica, hai presente? Sai che è di Spike Jonze e che il jingle originale lo canta Karen O?

Update: da Emmebi lo potete anche vedere.

Mario Merola and Mogwai battle Big Lucertolons


Queste righe si riconoscono un’utilità sociale: portare alla luce un disco introvabile, ancorché inutile. Le Peanuts erano due gemelle che partirono come cantanti con gli standard di fine anni Cinquanta per poi approdare al cinema della Toho con inquietanti incroci tra i musicarelli di quegli anni e l’horror giapponese alla Godzilla (cfr. Mosura, noto da noi come Mothra). Nel loro primo vinile del 1959 tra i tanti classici spicca una deliziosa versione di Come Prima*.
(*qui noi si gioca con le parole e in pochi possono afferrare)


Dark Matters


Oh, voi che mi state aiutando a cercare casa. Io abbandono un condominio in cui un vicino di casa agli arresti domiciliari sente a tutto volume canzoni napoletane con oscure linee melodiche rubate ai primi Cure. Non si accettano passi indietro, eh.

7.3.05

Frammenti


Rifletto sull’inutilità dei gesti. I segni della rottura propagano le loro venature in maniera circolare e poi sempre più irregolare. All’automobile davanti almeno hanno rubato l’autoradio, a me non hanno rubato nemmeno i cd che si accumulavano distratti nel portaoggetti. L’autoradio integrato è come un cuore che non riesci a spezzare. Penso ai fastidi dei prossimi giorni, ma i problemi sono quelli del momento. Quando il finestrino del lato passeggero è rotto, di notte il freddo non arriva dal lato che ti aspetti. Arriva dal lato opposto, quello sinistro, quasi dalle spalle. È una questione di aerodinamica, mi hanno detto.

Quando la mattina dopo devi liberare l’auto dai pezzi di vetro che sono finiti dappertutto ti accorgi che più grandi sono i frammenti, più facile è prenderli e gettarli nel sacchetto, se non hai l’apposito aspirapolvere. I più grandi non si erano nemmeno staccati dalla portiera e li avevi gettati via la sera stessa. I medi, volendo, li puoi prendere anche con le mani. Per i più piccoli devi ingegnarti, fogli di carta dimenticati nel cruscotto diventano utili palette instabili. Dopo un’ora credi di aver messo tutto alle tue spalle, ma quando passi la mano sul velluto azzurro scuro del sedile rimangono sulla mano delle piccole schegge che nemmeno riesci a vedere. Le togli con l’altra mano e ti rimangono delle piccole puntine di sangue.


4.3.05

A fake kick in the fake teeth


Siete fortunati. In questi giorni l’umore era da batterie morte (vai sul sito dei cimicioni mangia libri) e si progettava un post simil-problema di prima elementare in cui dovevate aiutare il sottoscritto a venir fuori da tre settimane in cui avrebbe dovuto fare un salto in Russia (ma se ne riparlerà ad Aprile, giusto in tempo per farmi perdere qualche concerto interessante), tornare a casa per Pasqua (perché qui non si è nostalgici ma tre mesi sono ancora troppi e si sono saltati due compleanni importanti) e trovare un nuovo alloggio per i prossimi mesi a Bari (questa vale ancora, si accettano proposte di monolocali o bivani a meno di trecentocinquanta euri). Il vincitore sarebbe stato premiato con la dolcezza di una visione perfetta (ehi, nel disco di Montag c’è anche Amy dei Broken Social Scene a testimonianza che in Canada è tuttunmagnamagna).
Poi gli eventi hanno avuto la meglio. La giornata di oggi ha preso una piega che più danzereccia non si può, in ufficio con le cuffie sparate e i simulatori che descrivono evoluzioni a tempo. Finora si è alternato il nuovo Fischerspooner (ascolta i suoi calci nei denti) con i Robocop Kraus e i loro finti ragazzi e finte ragazze. Tra un poco mi aspetto di finire dalle parti stupid-techno della colonna sonora di Le regole dell’attrazione (cfr scena delle vacanze in Europa). Ma non mi preoccupo, tutto ciò sarà bilanciato da un weekend rock’n’roll.

Come ti creo lo star system




Breve ma interessante saggio fotografico di Slate su George Hurrell

1.3.05

Esperando el nuevo sol


Oggi*, va tutto quasi bene.
Oggi* quando sono entrato in macchina ho abbassato il sopracciglio sinistro, quello che ripara il guidatore dal sole, anche se quel sole sarebbe stato lì per due minuti o poco più.
Oggi* ho acceso il lettore e dentro c’era un vecchio nastrone, quello con Ella Es Azul dei Volovan, che se li ascolti sembrano l’incrocio spagnolo tra gli Strokes e i Lunapop.
Oggi*, mi sono tolto i capelli dalla fronte.
(No, non li ho tagliati. Dopotutto, va tutto quasi bene)

*Ieri

Clonely


In Danimarca c’è questa Henriette Sennenvaldt che crede di essere Björk a meno delle esplosioni vocali, ovvero si limita al lato più introverso e trattenuto. Canta negli Under Byen e se proprio li volete ascoltare partite da Batteri Generator (eh eh). Io che però sono inciampato per caso nella ragazza, mi sono chiesto se Henriette copiasse miss Figliadellabuonaluna anche nell’aspetto. Beh, quella qui è lei.


(foto tratta da qui)

We’re not in our skin anymore


Ma lo sai che oggi inizia Sanremo?