27.4.06

Guarda come dondolo, guarda come dondolo, ballo il twist


Sarà che li sto sentendo in parallelo, ma al DFA remix di Relevée di Delia & Gavin con le sue voci femminili fighette con la g da analcolico finto biondo al locale ibizenco di Sandy Marton, preferisco lo Shit Robot remix di Dragon di Dondolo con il suo finto-contrabasso+bonghetti+acido+vocefemminilevirago che sembra un sotto-plot cyber-beatnik di un film di John Waters.

26.4.06

Punching mirror ball(oon)s


Jimmy Tamborello (Dntel, Postal Service) nel 2001 va in tour in Europa coi Lali Puna e l’autista del pullman, un’appassionata di techno, porta con sé soltanto tre o quattro cassette di techno melodico-minimale (fate conto Kompakt o Parfum). Allora sono nati i pezzi di Mistake, Mistake, Mistake, Mistake, technopop appunto melodico con cantato molto sparso. Cinque anni dopo Tamborello in veste James Figurine ha ripreso in mano quel materiale, ci ha lavorato su con John Tejada e lo ha via via rimpolpato rendendo gran parte dei pezzi vere e proprie canzoni, grazie anche alla partecipazione di svariati ospiti come Jenny Lewis, Sonya Westcott dei Rogue Wave ed Erlend Oye (non vedo l’ora di sentire il pezzo in questione). Per avere un’idea, il primo pezzo aggiorna le tematiche postali al giorno d’oggi, mentre il secondo rispecchia maggiormente lo spirito alla base della nascita del disco. Non datevi troppi pugni in testa.
55566688833 - James Figurine & Sonya Westcott
Apologies - James Figurine

Sucking Punch dei Fujiya & Miyagi rispolvera un mio vecchio interrogativo: ma il funk è capace di rendere fico chiunque?
Sucking Punch - Fujiya & Miyagi

O dell’importanza nell’orizzonte cultural-musicale della giovane Inghilterra di oggi di The Streets. Prendete per esempio un gruppetto di Sheffield di quelli che ce ne sono milioni uguali agli Artic Monkeys e fate loro cantare l’ultimo singolo di Mike Skinner. La musica ideale per musicare le vostre risse.
When You Wasn’t Famous - Bromheads Jacket

In Svezia tutti i ventenni per ora cantano di periodi ipotetici riguardanti Neil Tennant e allora che fanno le ragazze? Vorrebbero essere Nena. Because pop is nicer Auf Deutsch.
Auf Deutsch - Tanzmusik

Viuuuuuuleeeeeeenzaaaaa.
Fist Fight At The Disco - L’Homme Moderne

24.4.06

La-Bassa-GVNTù


Per tutte le prossime righe non farò altro che sottolineare quanto loro siano giovani e io sia di un’altra generazione, quindi chiedo scusa in anticipo. Non che ciò mi metta al riparo dall’accusa di giovanilismo nel cantare una mia proiezione generazionale verso Boylife dei ragazzetti svedesi Lo-Fi-FNK, ma ritengo che, nei giorni dell’onda quadra al potere, la loro sintesi di indie-pop, onda quadra e incoscienza riproponga per certi versi quel sentimento di contiguità e organicità pop al sentire dance ed elettronico che avevo già vissuto verso la fine degli anni Novanta: per dirla con una proporzione, con le opportune differenze dovute alla distanza geografica e al massimalismo e al faidate odierno che tanto amiamo, i Lo-Fi-FNK potrebbero rappresentare rispetto a gente come Justice o sebAstian la connivenza parallela dei Phoenix nei confronti del french touch. Io comunque quest’anno compio trent’anni e loro ventitrè.

Tutta questa pippa mentale lascia il tempo che trova, lo ammetto. L’unico motivo per cui valga la pena di sudare e cantare Boylife è una questione di educazione ludica: mentre i genitori radical post sessantontini spegnevano la televisione ai loro pargoli e regalavano loro perniciosi giocattoli di legno dipinti a mano da puericultori indios della bassa Mazzonia, noi poveri ragazzini della classe operaia ricevevamo tastierine mono-zanzara Made In China con batteria piana argentea simile a quella degli orologi, con unica scala e sul quale suonavamo con singolo dito al massimo il tema della pubblicità Barilla di Franco Godi (provateci, è la cosa più immondamente facile da imparare, eppure fa tanto casa) immaginando davanti a noi la platea sterminata dell’arena di Lignano Sabbiadoro. I primi bambini da grandi sono diventati Cocorosie e Devendra Banhart, si sono accoppiati e vivono felici nelle loro capanne prive di elettricità e gli altri siamo noi, come cantava Umberto Tozzi – ma sei scemo, non sai nemmeno cosa regalavano dieci anni fa ai Lo-Fi-(in)FNT(i), fai anche qui la figura di quello che si vuole disco-infiltrare a una festa delle scuole medie, FORZA PANINO / CALACI IL POLPO, chissà chi saranno gli Elio E Le Storie Tese dei giovanidoggi.

L’Intro dice Boilaif! In fondo poi i Lo-Fi-FNK possono sembrare giovani, ma già si permettono l’esclusione di singolacci dai loro dischi (cfr Change Channel) e il riciclo di temi portanti su più fronti (cfr. we love the City, that’s where we belong dove singhiozzano di saltelli à la Chobin la linea melodica del loro remix di After Dark di Le Tigre) – certo perché secondo te loro sanno chi è Chobin, mah. Mi ricredo subito però sentendo il loro concetto di canzone d’amore in cassa dritta, Adore, pargola come tutto il disco di suoni che iniziano nel momento stesso in cui finiscono come istantanei amori di un giorno di durata. Avranno anche loro una Jane Fionda (ehi, ehi, notata la citazione eh?) che userà Steppin’ Out e il suo meraviglioso giro vita (o-oh-oh vita) per registrare le sue lezioni di aerobica in vhs? Boilaif! Bilanciano la noiosa revisione dell’R’n’B di System con la nostra preferita What’s on your mind?, di cui parlammo già in precedenza col suo ritmico percorso di liberazione, ripresa dalla battimanesca Louder (ma prima non si chiamava Unighted. Wake Up, Heartache e l’altra Louder attendono soltanto una nuova Sofia Coppola che tra dieci anni scelga tra di loro per la colonna sonora del nuovo Lost In Translation. Il tutto concluso con una tautologica End, perché prima o poi arrivano sempre le cinque di mattina e ogni fine non è che un nuovo inizio party. La fine dice Boilaif!



Ascolta
Adore
Wake Up
The End

PS: scopro ora che la versione definitiva di Boylife ha un’ordine leggermente differente e pare che i due pezzi chiamati Louder non siano presenti, in favore della tarantella A.D.T.

20.4.06

L’altra notte il nano di Fantasilandia ha salvato la mia vita


L’amorevole suono dell’energia statica è quello che fa rizzare le carni al tatto. Il gruppo che nel nome ha uno dei peggiori giochi di parole degli ultimi tempi viene preso per mano dai Junior Boys, che nel loro prossimo disco si confermano come la cosa più simile ai Blue Nile col suono di adesso (cfr. Like A Child) ma che qui confezionano un andante pop sintetico rotondo e trattenuto come un palloncino che sfugge alla mano di un bambino in chiesa. Sta in alto verde, ogni tanto si abbassa e poi si rialza a toccare il tetto della navata secondaria. Attirerà, fino a quando non incontrerà uno spigolo, l’attenzione di altri bambini che, annoiati dalla messa, rivolgeranno lo sguardo verso l’alto. Il 1996 non è un’opinione.
The Loving Sound Of Static (Junior Boys Remix) – The Mobius Band

Quelli che ne sanno non fanno che parlare di The Girl From Botany Bay quando spunta il nome degli svedesi Minilogue. Non bisogna però dimenticarsi di quando su un loop di Everything In Its Place dei Radiohead sequestrarono una vocalist di Moby, le tapparono la bocca col cloroformio e per chiedere il riscatto registrarono con una videocamera i suoi tentativi di divincolarsi.
Certain Things Around You Part II – Minilogue

Quando l’ho sentita, mi è sembrato di atterrare su Marte e devo ringraziare Copy, Right? per ciò. I Giganti prendono Space Oddity di Bowie e la cantano in italiano alternando cosmiche bosse a decolli psichedelici. Al solito se avete dimenticato a casa il casco da astronauta, va bene anche la boccia del pesce rosso, previo suo trasferimento in apposito sacchetto di plastica.
Corri Uomo Corri – I Giganti

Gli SCSI 9 sono russi e titolano in francese una cicloide sul tentativo di trattenere a sé forse invano il proprio cuore. Fredda, labirintica, sembra di passare sempre dallo stesso vicolo cieco. Tanto dopo sette freddi minuti labirintici finisce ripassando dal via, in un accenno di inutile ripetizione infinita.
Pour Ne Pas Perdre Le Cœur Dans L’Abîme – SCSI 9

La voce ha ancora la banda ridotta della linea telefonica, affogata al solito nello sfrigolio circostante. Un suono che è l’angolo rassicurante della casa, con una pianta anonima e uno stereo che agli altri sembra rotto. Prima o poi leggerò quello che dice, per ora mi dondolo nei volumi alti e nelle membrane vibranti degli auricolari.
Every Time – The Radio Dept.

Il post nasce da questo pezzo, che musica anche i suoi titoli di coda. Gloriosa canzoncella per melodie circolari sulla sospensione dell’incredulità applicata alla vita di tutti i giorni spiega l’insenso delle cose, di queste cose. Ecco come si canta insieme al nano di Fantasilandia e al suo smoking bianco perfettamente stirato e al suo enorme farfallino nero, prima che spenga la luce di tutta l'isola.
For The Actor – Mates Of State

13.4.06

Cosa sarebbe il periodo pasquale senza una fiction religiosa?



Lux Vide
in association with
Maxcar
and
Radio Campus Paris
presents

Justice vs Mustapha 3000 (aka Erol Alkan)
[quarantasei minuti di biblica ruvidità,
capaci di ripescare persino Good Life di Inner City]

12.4.06

Tempi cupi (Dark Is The New Black)


Pare che tra i diggei più in vista di oggi sia d’obbligo suonare un pezzo dal sapore post-moderno e con la voce di Robert Smith dei Cure. Con tutte le differenze del caso, ripenso a intere generazioni di dj in erba stigmatizzati da noi spocchiosi per il loro facile ricorso a iniezioni del cortisonico per riempire la pista.


Trentemøller
Digitalism
Tiga

10.4.06

Stereo Totalitarismi


I don’t like pills,
I don’t like coke,
I don’t like the pretty folk,
Can’t stand the DJ,
Don’t like the records that he plays, no!

I hate everybody in the discotheque!


Françoise Cactus sale sul palco dei Candelai con una borsetta a tracolla, un astuccio plastificato per le bacchette della batteria, indossando un cappottino rosso scozzese. Tira subito fuori dalla tracolla due quadernetti vissuti sui quali a penna sono scritti testi e introduzioni in italiano per ognuna delle canzoni. Il casco di capelli dissimula il suo inciccirsi e per tutto il concerto l’impressione è quella della professoressa di francese della scuola media, che riceve alunni ormai solo grazie alle classi bilingui e ai sorteggi d’ufficio tra i troppi amanti dell’inglese. Vestigia di malizia suscitano i suoi occhi e i suoi sguardi, talmente penetranti da non sembrare di circostanza, sono il sogno azzurro di noi studentelli ormai troppo cresciuti. Brezel Göring entra vestito da Fidel, ma si libera subito del guscio in favore del ruolo di bambino cattivo del gruppo, pungolando la socia che talvolta preferirebbe mantenere il tutto su binari meno estremi. Gli Stereo Total a Palermo riempiono il posto e per giunta di gente che sa a memoria i testi delle canzoni e che non li lascerà andare via facilmente dopo il terzo bis.



Già alla fine della seconda canzone l’entusiasmo circostante costringe Françoise a liberarsi del cappottino in favore di una camicia stampata strategica a maniche lunghe su pantalone gessato. Si giocano quasi subito (come terza canzone) una delle mie preferite Party Anticonformiste che trasforma la platea in una massa danzante sfrenata, mentre Brezel bacchetta tutto il bacchettabile sul palco. L’uso di basi non inficia la naturalezza e la ruvidità, ma si mischia bene con la semplicità garage della chitarra di compensato e la ritmica di accompagnamento vicina. Molte canzoni vengono risolte con parti in italiano, con esiti talvolta comici (“Sono nada, ehm, nuda”), e gli aspetti scenografici come il pupazzetto del coniglio o l’invito di un ragazzo con scene da trenino dell’amore per L’amore a tre sono teneramente ironici e sul filo come gran parte della produzione del gruppo.





Poi però trovo il tempo per una piccola delusione. Il sodale mi aveva parlato di concerto interminabile con durate superiori alle due ore, ma Françoise si è mostrata provata già solo al quarto rientro sul palco. Il monitor saltato, una non perfetta condizione della voce e soprattutto il torrido clima del posto prima l’hanno spinta a chiedere per favore il termine del concerto e poi le hanno conferito lo sguardo stizzito verso il compare ogni volta che, esaltato per il delirio che aveva davanti, questo faceva partire le basi mentre lei stava già lasciando il palco. Al terzo bis concedevano finalmente Furore, Miau Miau e da lì in avanti spingevano molto sulle cose più trascinanti come I Hate o Push It. I proprietari del locale provano a interrompere l’entusiamo spegnendo le luci, ma il pubblico trascina il duetto fino alla sesta tornata di bis con una conclusiva e sprofondhouse Joe Le Taxi. Dopo tutto novanta minuti per un gruppo con canzoni che in media durano tre minuti è tanto e forse avremmo dovuto avere un po’ più di pietà con la povera Françoise che alla fine si mostrava provata anzichenò.


Music to watch goth-girls by


The Brainwasher (Erol Alkan’s Horrorhouse Dub) - Daft Punk

E così la triade si è completata e i tre remix minacciati qualche tempo fa sono arrivati. Con l’Extended Rework di Boy From School degli Hot Chip, il suo preferito, Alkan ha condotto un’operazione di mimesi della struttura tipica di un remix DFA, sovvertendola con il profumo delle Baleari. Un arguto cerchiobottismo tra complessità e cafonaggine, trattenuto in modo da non svaccare nell’uno o nell’altro. Il Dur Dur Durr Edit di Waters Of Nazareth dei Justice, secondo in ordine di preferenza del creatore, è quello caratterizzato dalla ballabilità più aggressiva, ottenunta con un lavoro di lima e di estremizzazione sull’originale. A tratti torrido come una fornace. Infine arriva l’Horrorhouse Dub, forse il più debole dei tre, tanto che si dice che ci abbia lavorato su fino all’ultimo. Più di un segnale suggeriva di non confidare troppo sull’epicità del titolo e a giudicare dai primi ascolti si mostra infatti tutt’altro che ardito. Certo è vero che sapientemente giocato sembra simile a quelle scene di horror anni Settanta in cui il ritmo non diventa forsennato, ma viene sepolto vivo in un territorio di mezzo dove la tensione è compressa in uno spazio via via più angusto. Pare poi che una delle tendenze sulla pista da ballo per i prossimi tempi sia proprio l’introduzione di elementi gotici in ambito sintetico. In sé però gli echi di Fade To Grey e di certi Prodigy primigenii non depongono a favore del lavoro, se non in termini di facilità di fruizione.

9.4.06

Com’è dura, la mistura


Ve ne sarete accorti, ritengo che ultimamente le proposte più interessanti arrivino dalle zone di confine tra l’indie e la disco, tra la techno e la psichedelia, tra il pop intelligente e il sintetizzatore demente (e viceversa per quanto riguarda gli aggettivi). Per alcuni versi sembra di essere tornati in certi anni Novanta, con la differenza che intorno si respira una piacevole aria di sconsideratezza giovane, dovuta anche all’età media di tanti dei nostri ultimi beniamini. Gente scanzonata che si prende poco sul serio e tira colpi bassi quando appunto meno te l’aspetti. Gente che ha capito che bisogna vaccinare l’indie con sane dosi di autoironia, che bisogna tornare a stupirsi. Insomma, non so voi, ma tra la palla mostruosa di Colin Meloy che canta le canzoni di Shirley Collins e i Lo-Fi-FNK che in What’s Mind? (dal nuovo Boylife) cantano a un timido cronico “Why don’t you tell what’s on your mind, nothing’s gonna sceing if you keep on whispering. Why don’t you tell what’s on your mind, there’s no reason to be all that boring”, io so da che parte stare. Ma tanto aveva capito tutto James Murphy prima di noialtri per questo 2006: le canzoni più pop che mai infiltrate di sintetico battito, la cosmicità da ballare in fuga verso l’ignoto e l’art-rock totalmente fuori di testa. (En passant. ieri ho sentito il nuovo Liars ed è davvero un discone)

Detto ciò, il ripescaggio del giorno riguarda un giovane duo svedese che più o meno un anno fa pubblicava pezzi che avrebbero sguazzato in questo calderone. Dalla Service, la stessa etichetta di Jens Lekman, viene un duo di Gotheborg chiamato The Tough Alliance. Maglietta Gucci e cappelli da baseball, pop nel fiore della pubertà affogato di gadget inutili che non disdegna le divagazioni di genere e uno dei due balla sullo sfondo come nei primi video degli 883. Il loro The New School (eheh) l’anno scorso si apriva con un’intro scintillantemente buffa come Tough II. Il loro pezzo più famoso, Holiday (anche in video), sembra un viaggio di ritorno da una gita in pullman con le cassette degli Housemartins e dei Beach Boys e il naso arrossato dal sole. Nel singolo Koka-kola Veins canzonano il disimpegno e nella splendida cover degli Embassy Now That’s What I Call Indulgence camminano sul filo di tenerezza e bollore. Altrove tentano persino divagazioni rap (Come On) o reggae (Babylon). Acerbi, forse superflui, deliziosi.

Sarabanda Discorock


Chi sa cosa potrebbe essere questa cosa, ne vince l’ascolto completo.

5.4.06

Le idee in giro sono sempre quelle


Come Inkiostro, come Polaroid, potevamo anche noi fare a meno dell’aggregatore di video della musica che gira qui intorno? Visto che però il tempo latita sempre, il format sarà una frase + un fotogramma + titolo/autore. Buona Visione!

Come quando a scuola si facevano i quadretti con la polverina dorata e la sabbia in rilievo
And I Was A Boy From School – Hot Chip


Eterogeneo come una classe delle elementari
You Can’t Fool Me Dennis – Mistery Jets


Cheapster
Gravity’s Rainbow – The Klaxons


Shaver’s Delight
The City – Jamie Lidell


Stop Making Stop Making Sense
You Don’t Have To Shout – The Robocop Kraus


L’anello di congiunzione tra il futurismo russo e i video della rana pazza
Perfume – The Sparks


Canottierine bianche, aerei giocattolo, uccellini a cartoni animati e sfondi rosa
It’s Not The End Of The World – Le Sport

3.4.06

Pink days and not black dice
(un post pre-elettorale bifronte)


il Nord, il Sud, il Caimano, lo sBoom, il (non) replay
Sabato scorso nel corso principale di Bari, il comizio di Calderoli e una mail con una sua indiscrezione carpita a un concerto di Matt Elliot ci lasciavano intravedere la nostra triste prigione: Legnano è meglio di Bari. Saltato insomma l’evento Black Dice non resta che tornare alla pessima musica senza pretese, con la faccia del cronista che nello speciale sul crollo dell’ecomostro di Matarrese si dilungava in una lunga spiegazione sul rito delle tre sirene che avrebbero preceduto l’implosione, mentre una nube di polvere si alzava alle sue spalle senza avvertirlo. Tanto c’è il replay. Si spera solo che domenica sera non saltino anche gli Stereo Total in Palermo, perché è vero che si sopportano 14 (quattordici) ore di viaggio in treno con lo sconto del 60 (sessanta) percento per fare i bravi cittadini, ma per questo motivo si perdono anche quelli della Border Community a Milano. Passi quest’ultima ulteriore sventura, ma vorrei focalizzare quelle 14 (quattordici) ore, il doppio rispetto al tragitto verso Milano elevato alla potenza delle ferrovie ioniche e di quelle sicule: siamo insomma d’accordo con Bertinotti (“Chi parla di Ponte sullo Stretto dovrebbe prima farsi 1000 (mille) chilometri sulle ferrovie siciliane”) e lo parafrasiamo in “Chi parla di Ponte sullo Stretto dovrebbe prima realizzare 1000 (mille) chilometri di TAV sulle ferrovie siciliane”. La cosa più divertente della visione cinematografica di venerdì erano le facce di alcuni spettatori. Colonna sonora Cataratcact di Schneider TM, ovvero la bonaria parodia del replay glitchtronico, e due che hanno il coraggio di fare i nomi (i propri) come Fujiya e Miyagi.

Non è la fine del mondo (noi siamo come un lato B migliore di un mediocre lato A)
Ce ne facciamo una ragione e torniamo alla pessima musica senza pretese. È l’orizzonte italiano attuale direbbe il Cane Rex e noi in questo momento stravediamo per il Cane Rex e per tutta la sua estetica post-twee e post indietronica. Gioia, gioia, è arrivato il sintetizzatore. La stessa gioia dei pupazzetti di plastica del Moz e dei Pet Shop Boys che in Svezia i ragazzi della Song I Wish I Had Written praticano con ignoranza degna di un manga su gai pokemon sonorizzato con Shooting dai giapponesi Sonic Coaster Pop. E insomma, se non avete goduto appieno in DJ (ri)Scalcia del brano di chiusura dei Le Sport nel remix di Mr Suitcase perché avete orecchie ancora indie-addormentate, magari fa più per voi la versione Vapnet di It’s Not The End Of The World e non sarà certo la fine del mondo se non apprezzerete nemmeno quella.