29.10.07

Rosvita, rosvita

I Rondò Veneziano. Il fratello di Sylvester Stallone per Staying Alive. Dreams are my reality. Cantanti per le mamme come Julien Clerc, freak synth-pop gemelli separati alla nascita di Carmelo Zappulla come Daniel Balavoine e una spruzzata di epigoni. Sembra una ristampa di una compilation Bimbo Mix della Baby Records e invece è il futuro Fabric Live dei Justice. Posso dire una cosa? Finito tempo di liso, ola tempo di mixage.

Rosvita (video)
Love Juice - SymbolOne*

* come AlbertOne

22.10.07

Living the ice age, buried in the sand

Sabato sera sono andato a vedere i Canadians, qui a Bari. Sono carucci. Sono precisi. Eppure con lo scorrere dei minuti, e col piede che ogni tanto batteva il tempo, sentivo che mancava qualcosa. Come un’assenza di agitazione. Dato l’immaginario tutt’altro che glaciale e atarassico delle canzoni, cercavo il calore, l’estate tutto l’anno e non apprezzavo questa privazione sensoriale ed emozionale. Dietro di me in tanti si muovevano verso il bar, come quando sulla spiaggia piove e ci si rifugia sotto una tettoia sovraffollata. Non c’erano stelle, o forse erano nascoste dalle nuvole.

18.10.07

Married with drumkits

Mi immagino la scenetta a casa Dapayk And Padberg

Cara, quando stasera torni dai tuoi photo-shooting per quelle dodici-tredici riviste e dal tuo ruolo di ambasciatrice (si è aggiunto qualcosa oltre a Unicef e Mercedes?), magari dopo cena, dobbiamo completare le registrazioni per il nostro disco techno.

Cara, lei


Caro, ma non è che facciamo una roba minimal tipo quei nerd rinchiusi nelle loro camerette berlinesi. Cioè, tipo, va bene un po’ minimal che fa moderno ma non voglio che Gisele mi prenda in giro per una roba troppo cafona. Cioè. Voglio un qualcosa che suoni allo stesso tempo lussuoso e di strada, antico e techy. Con la faccia che guarda in un punto a caso fuori dal campo dell’obiettivo.

Cara, a me piace tanto Matthew Herbert.

Caro, non è che facciamo una porcata finto intellettuale vetero electroclash tipo quelle che non lasciano fare più nemmeno a Roisin Murphy?

Cara, tranquilla. C’abbiamo il singolo contro gli mp3 e a favore del vinile con le voci filtrate come va di moda, uno o due pezzi per i pasticcomani e una chiusura sviolinifera con la tua voce d’angelo degna dei migliori Lamb.

Caro, i Lamb si sono sciolti. I due hanno divorziato. Lou Rhodes ha pubblicato un disco solista acustico.

Cara, tra le disgrazie hai dimenticato che gli adolescenti italiani associano i Lamb a Step che svergina Babi.

Caro, forse avrei dovuto trovarmi un filosofo al posto di un musicista elettronico.



16.10.07

A guide to recognizing your beasts (La vita, Avril Lavigne, Eric Roberts e le vacche)

Assente giustificato. Ho lasciato tutti qui, ma nessuno mi ha mai lasciato. Durante la scorsa settimana sono stato un messicano addetto al nastro interiora vestito con una tuta depersonalizzante che scaricava le sue tensioni una volta al mese durante il negro day. Unica consolazione, una storia di amore adolescenziale con Rosario Dawson, ma a sedici anni per quanto l’istinto cerchi di pizzicarti la coscia, preferisci perdere tempo in attività infruttuose tipo riallineare i genitori con la realtà che li circonda, la musica in tv, gli stati dissociativi indotti da videogame e la scrittura di temi di attualità. Ero uno specialista dei temi di attualità uso chiusura ciclo di studi, fin da quello degli esami delle elementari, in gran parte ispirato dalla raccolta di figurine del WWF, completata anche attraverso l’invio dei punti dei succhi Valfrutta. Durante l’anno non mi abbandonavo mai a una simile tentazione, vuoi per il mio professore di Italiano delle medie fissato con l’economia politica, vuoi per la professoressa di Lettere del biennio di liceo che cercava di traviarmi con tracce letterarie sul Novecento dai temi ispirati e che prevedevano l’uso di moderne tecniche di analisi, vuoi perché la prof. del triennio proponeva noiosissimi titoli sulla realtà che ci circonda (il consumismo, i giovani, la crisi dei valori, Satana). I miei tre sconfinamenti nel territorio del chiacchiericcio su foglio protocollo avevano bene in mente una e una sola cosa: un tema di attualità non funziona se lo scrivi come un tema di attualità. Devi scombinare le carte, altrimenti la gente non arriva alla sesta pagina delle tue tredici sulla genetica e sulle libertà della scienza per l’esame di maturità. Ma non basta, Richard, altrimenti saremmo soddisfatti di Avril Lavigne che spinge vacche. Un minuto di macellazione con sottofondo dei Friend Of Dean Martinez che sembrano dei Sigur Rós grigliati al sangue strapperà anche le lacrime delle sciure della city fan del vegano biologico, ma a noi sembrano solo un mezzuccio: in Sicilia da secoli castriamo gli agnellini e fino a che non sono arrivate le pistole elettriche, i crasti venivano uccisi con taglio alla giugulare e morivano per dissanguamento tremando di freddo fino alla loro fine. Ti perdono solo perché passerei ore intere a guardare un film intitolato "160 Ore di Tuta Depersonalizzante – Parte IV" e tu nel frattempo del coso sugli hamburger e del coso su Dick che sembra un’auto che cerca di spuntare in seconda sommavi facce su facce su facce e io ho sempre il problema che non so mai se salutare qualcuno perché non sono fisionomico e ho sempre il terrore di salutare qualcuno che in realtà non conosco o che non si ricorda di me.

Come quando la si mette sul personale. Meno parli di te stesso, più gli altri si interessano. Più sei in fuga da te stesso, meno difficoltà trovi a raccontarti. Ma quello che racconti è spesso un noioso tema d’attualità egotica. Come questo paragrafo fino a questo punto. Gli altri non ci interessano, è il concetto di fondo. L’unico modo di mettersi al centro dell’attenzione è allora diventare emanazione altrui. Dei tuoi santi, per esempio. Una certa musica indie col fuzz morbido di sottofondo. Un sintetizzatore diamantato che scartavetra una lavagna. Poi ti stufi e corri da un’altra parte. Che tu li abbia scelti o no, loro intanto ti hanno salvato e raccontato. E se avrai voglia e ritornerai, saranno ancora lì con un sorriso sornione a mostrarti come sei cambiato.

Serve infine il trucco della somma delle parti come in HighSpray Musical 2. Io mi sono scaricato la colonna sonora la mattina dopo la visione per rinfocolare in ufficio la voglia di sradicare le poltrone del cinema e ballare sul posto coi capelli tirati indietro con la saliva, ma le canzoni sembravano prive di dinamica e di trasporto. La cosa bella è che erano così anche al cinema solo che erano riprese con telecamera fissa e zoomante stile tv anni Cinquanta ed eseguite su coreografie neanche troppo inventive. Gli attori erano candeggiati rispetto agli originali per il pubblico familiare accorso in sala, eppure il trucco della somma delle parti funzionava e se solo avessi avuto i muscoli avrei roteato a mulinello il seggiolino sul finale. Somma è bello, ma non sempre riesce. Per dire, Villalobos continua nella sua operazione di etnologo recuperando Santiago penando estas di Violeta Parra: i giovincelli tedeschi eiaculano e si scambiano sottobanco il cd-r della sua registrazione live (ammetto, la possiedo anch’io). Quello che fa è encomiabilmente politico sotto certi aspetti, ma funziona solo grazie al trucco e a come la presenta dal vivo. Poi arriva un Sanim, fa la stessa cosa senza che la somma delle parti funzioni con simile grandezza, col risultato che a me sembra una parodia e ai tamarri del mondo il successo dell’estate tanto che diventa pure sottofondo della pubblicità di un automobile con Linus e Nicola Savino. In mezzo si situa Onur Özer che va per suonare la malinconia turca di un seraglio antico e Bang & Olufsen allo stesso tempo e ottiene invece soltanto una scena alla Ozpetek, paragone che avrebbe senso se solo mi fossi convinto a vedere una volta un film di Ozpetek. Risultato? Se riesci a girare un film che fa piangere i maschi a partire dall’orrore del ‘tu che dirigi un film basato su un testo che hai scritto su te stesso”, da Shia Lebouf e da una manciata di banali canzoni contestualizzanti, non è soltanto perché a un certo punto spunta Eric Roberts e noi tiriamo fuori la trombetta da hooligans e la consumiamo tutta sul suo sorriso sornione mentre cerchiamo di spiegare la nostra piccolezza. È perché, fortunatamente ancora un’altra volta, qualcuno racconta storie altrimenti trascurabili rendendocele importanti e nostre.


Seraglio - Onur Özer
Baker Street - Gerry Rafferty

8.10.07

Muri ribaltabili, bicchieri col latte disegnato su e il pianista che spilla il the dal rubinetto del termosifone

Qui siamo tutti straight-edge e quindi il problema non si pone, eppure il 2 Ottobre è stata approvata la legge contenente “modifiche del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione”. La legge contiene un emendamento di un gruppo di parlamentari di AN che prevede la seguente cosa:

“Tutti i titolari e i gestori di locali ove si svolgono, con qualsiasi modalità e in qualsiasi orario, spettacoli o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all’attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche,devono interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2.00 della notte ed assicurarsi che all'uscita del locale sia possibile effettuare, in maniera volontaria da parte dei clienti, un alcool-test” […] “L’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 2 comporta la sanzione di chiusura del locale da sette fino a trenta giorni, secondo la valutazione dell’autorità competente.”

Non sono stato in un locale nello scorso fine-settimana (e quindi non posso rendervi conto dell’effettiva applicazione della legge), ma mi chiedo quali conseguenze avrà una tale decisione in termini puramente non-alcolici: cambieranno le abitudini orarie e si adegueranno a quelle di altri paesi proibizionisti (alcuni stati USA per esempio dove le persone si sfasciano ugualmente ma fino alle 2)? i gestori si lamenteranno di possibili crisi e ne approfitteranno per salare gli ingressi? si assisteranno a scene a metà tra il proibizionismo e il punkabbestismo di ritorno (giovani donne con bottiglie di plastica di tavernello dentro la borsa Louis Vuitton, bottigliette da collezionismo di Caffè Borghetti in tasca, il ritorno del Barone Birra)?

On a (not so) totally unrelated note, nel terzo album della Border Community, Fairmont opera un mirabile scarto e, tra gli albatross, gli atolli e il surf volemose bbene dell’etichetta, immagina come sarebbe la techno se, invece di solleticare la chimica, nascesse da un qualcosa più rock’n’roll come una vecchia e sana dipendenza dall’eroina. Ne esce fuori una ballatona triste con una voce strozzata dal laccio emostatico. Abbassare le tariffe notturne dei taxi e avere un servizio di trasporto pubblico notturno efficiente no?

I Need Medicine - Fairmont

Doggystyle

Ho fatto anch’io il test-one quale ‘Eroe’ sei: sono uscito Mr. Babbani!



Doggystyle - Archigram

5.10.07

Dead Slippy (sun goes down, temperature drops)

Ogni minima intenzione di opinione su Oblivion With Bells, il nuovo disco degli Underworld, è impedita da Beautiful Burnout. Beautiful Burnout è fredda e sconsolata come la consapevolezza della Fine. Dopo di lei c’è il resto del disco, ma non importa. Si rimane imprigionati. Karl Hyde mormora sotto multipli strati di ghiaccio che diffrangono la sua voce. Beautiful Burnout è l’inedito Dino The Leggy e, ribaltando la forma, qui è il passato a congelarsi fino a diventare il presente. Alcune scelte sulle prime sembrano discutibili:lo slap bass sintetizzato e po’ plastificato, la produzione lineare che rimanda a quegli Underworld dei poveri che erano i Fluke, la tentazione continua di cantar sopra Sky di Sonique. Come gli altri eroi elettronici dei Novanta, sembrano ormai capaci di sfornare solo pezzi discreti che avranno remix superiori all’originale. Eppure Beautiful Burnout supera le miserie del giudizio razionale applicato alla musica. Un po’ per quei particolari inutili di cui ti chiedi il perché (la diamonica solitaria e i rumori di campo della sezione iniziale, le variazioni sulle due note di sintetizzatore), un po’ per quel giro di bongos con cui riparte dopo la pausa, primordiale come un’ultima danza prima della Fine. Di sicuro per quella voce seppellita nel silenzio a metà pezzo, che una volta cantava sui poster eccessi non nostri ma da noi vissuti come cartoni animati e oggi ci ricorda che siamo cresciuti. Passati. Forse finiti. Finché il battito non riparte, to a new tension headache.


Beautiful Burnout - Underworld

3.10.07

Corso Sempione 50 e il Guardian scoprono la minimale

L’alfiere del t-logging prende a pretesto una polemica tra privilegiati per cantare le lodi del suono minimale: “Proprio l'imposizione di un limite ti costringe ad utilizzare al meglio le risorse che hai a disposizione”.

Il giornale inglese si spinge oltre e racconta la minimale ai colleghi del lavoro e ai blogger di mezza età: “At the heart of minimal techno is a yearning for liberation”.

Curiosamente entrambi utilizzano la metafora dello spazio da esplorare e citano nomi che forse c'entrano poco col genere (tipo Bach e Kylie Minogue), ma mentre loro scoprono il magico mondo delle pernacchiette generate in random e frullate con Ableton, l’APRI (Associazione PR Italiani) assicura che il prossimo inverno sarà tutt’altro che minimale e all’insegna, come la scorsa estate, di cori da stadio, fisarmoniche e mezzi-soprani ispanici.

2.10.07

Il declino del Giovin Signore

Ascoltare di continuo musica dance forse fa davvero male. Ti ritrovi in automobile e quando non hai voglia di attaccare l’i-Pod ti costringi a giochi perversi tipo “Cataloga il palinsesto di M2O secondo i tuoi canoni di accettabilità al netto della forma che non è propriamente rivolta a te”. Cominci con il distacco ironico ascoltando le repliche de Il Cammino di Gigi D’Agostino, abbassi le difese con Real Trust: A tempo di Roberto Molinaro (che sarà anche kitsch, ma in fondo le selezioni non sono malaccio) e finisci a canticchiare il jingle “è la storia di uno, di uno regolare, che alle sette in punto lui si doveva svegliare” dallo show della mattina Risveglio muscolare. E poi la techno ottunde. Prima sapevo bene l’inglese. Lo capivo e lo parlavo, come da più classico dei luoghi comuni, grazie ai testi delle canzoni. Certo avevo un vocabolario completo sull’essere sfigato ma interessantissimo in una cittadina di provincia scozzese o dell’entroterra di un qualsiasi stato lontano dall’oceano, ma questo è un dettaglio di poco conto. Ora, ascoltando musica quasi esclusivamente strumentale, il mio inglese è tornato ai livelli delle medie (cioè di quando avevo un inglese paragonabile alle canzoni dei Black Box di Limoni-Davoli-Semplici). Ma la cosa peggiore è internet: leggo nuove webzine, nuovi forum e leggo news e recensioni a tema nei posti che frequentavo prima. La conseguenza di tutto ciò è che mi trovo davanti di continuo lei. Labbra aperte in un’espressione ai limiti del rincoglionito. Piumino bianco con la pelliccia. Frangettona con quei due-tre centimetri di ricrescita sotto le sopracciglia a mascherare una fronte probabilmente bassa. Abbronzatura di centro estetico fatta al martedì per risparmiare. Sguardo nel vuoto che nella migliore delle ipotesi attribuisci a una qualche droga e nella peggiore al fatto che per davvero lei, quando torna a casa dall’after-party alle undici della domenica mattina, invece di andare a dormire e a contenere occhiaie e occhi gonfi in vista di una noiosissima nuova settimana, va sul sito in questione a comprare gli mp3 dei pezzi che ha sentito (nominare) la notte precedente. Di fronte a tale estetica, tutte le alte considerazioni filosofiche sui miei recenti ascolti crollano miseramente. Secondo me indossa anche i bermuda e le calze color carne con le ballerine.


Chemical Girl (The Field Guitar Mix) - The Fine Arts Showcase

1.10.07

This house is not a motel

Non sono né un conoscitore, né un amante della house. L’ho assorbita in maniera inconscia attraverso gli influssi sul mainstream di quand’ero piccolo, niente di più. Col senno di poi ho recuperato qualcosa, ma ho sempre preferito le sue estremizzazioni: la tech e la deep erano come lingue di contatto con Detroit e Chicago e suoni preferiti, la garage di Larry Levan era il ritorno del soul in nuovi e luccicanti scantinati elettronici. Poi c’era la tribal che non ho mai capito se era tutta una finta e la dream che in fondo a Robert Miles ci ho sempre voluto tanto bene. C’era anche il video di Another Chance di Roger Sanchez. Ne andavo pazzo e lo trovavo terribilmente twee. La sorella sfigata di Kate Winslet va in giro con un cuore enorme, così grande che è difficile trascinarlo, e nessuno la vuole per questo. Non la fanno entrare nei sushi bar, nei taxi e nemmeno nelle discoteche. È triste e il suo cuore si rimpicciolisce fino a che non lo tiene con facilità tra le due mani. A quel punto incontra un bel giovane che le chiede se quello è il suo cuore. È grande, no è piccolo, prima lo era molto di più. La invita per un caffè e passano la serata insieme. Il giorno dopo il cuore di lei è nuovamente gigante, ma quando lui passa a prenderla e vede quel grosso coso rosso fa un passo indietro e non si presenta all’appuntamento. E lei rimane da sola, a New York col suo enorme cuore rosso. Comunque i giovani dicono che la house ritorna. Quelli cattivi ascoltano il Bob Sinclair Show su Radio Deejay il sabato notte mentre vanno in disco, quelli buoni che sanno dicono che Jerome Sydenham sarà per il 2007 quello che Carl Craig con la techno è stato per il 2006.

Jerome Sydenham è nato e cresciuto a Ibadan in Nigeria, da genitori inglesi e giamaicani, ha studiato in Inghilterra e poi è volato a New York negli anni Ottanta. I successi nel sottobosco dance underground lo portarono a fare il mestiere più odiato dagli indie: l’A&R per le major. Praticamente quello che prende i cocchi della scena e li rende odiose bestiacce improduttive. Scherzo. Poi Jerome a un certo punto ha fondato la sua Ibadan Records (come se io fondassi la Palermo Dischi). Deep house di base, ma in realtà un gran miscuglio che accentuava ora i lati più elettronici quasi techno, ora le influenze afro, ora le radici disco. Fino ai giorni nostri in cui Sydenham prende sotto la sua ala talenti del nord Europa come Tiger Stripes e Rune e tira fuori alcuni remix gustosi come quelli per Len Faki e Argy. In breve mi appassiono al suo repertorio attuale. Poi in questi giorni mi capita sottomano il suo mix contenuto nel secondo cd di Museum Thalia. Lo ascolto al lavoro e non mi piace. Inizia come se fossimo già al culmine della serata con Serenity di Tiger Stripes e la trovo fuori posto. Poi con gli ascolti successivi cambio idea. In fondo è la house a essere un genere che ama sempre essere col cuore troppo grosso, sia che spari violini, voci negre, grandi bassi o bonghetti.

Così Serenity col suo crescendo dal pizzicato ai violini scarto di una sala di registrazione di disco svedese funge da introduzione verso una serie di alti e bassi continui. Le profondità di Sandcastles e i cori dell’infanzia portano verso il secondo alto disco. The Back Door allenta la tensione verso il Sydenham & Tiger Stripes remix di In The Trees, che mi è sempre sembrato una disco annacquata rispetto alla grattugia techno di Carl Craig. Qui sta il mio problema con la house: quando è troppo leccata non mi piace, mi sembra roba da viveur new-yorkesi se non da papponi fine anni Ottanta. The Undertow riporta sottotono il morale (bene!) privilegiando le percussioni fino ai violini di Stockholm Go Bang!. Depongo le armi, questa è musica per chi le discoteche a metà anni Ottanta le vedeva solo nei telefilm americani (ri-bene!). Elevation e Son Of Raw scaldano fino al riff sempre uguale e in crescendo e all’urlo primordiale di Timbuktu. Qui parte Elephant con Rune ed è quasi techno. Grande pezzo e movimento da ottimo centrocampista. Passando per Nikola Gala la corsa prosegue verso lidi meno amati: ok la storia ma il pezzo dei Ten City per me è troppo. Non è cosa mia. Così come la successiva chill-ata. E di lì Kerri Chandler ed è come quando in discoteca pensi di andartene ché ormai non ti stai più divertendo. Si chiude ancora con Tiger Stripes, dub house senza bassi e un riff tristissimo. La house rimane lì col suo cuore così grosso che sembra finto e io non so se voltare l’angolo, oppure no.

Elephant - Rune & Sydenham
Timbuktu (Âme Original Mix) - Ferrer & Sydenham Inc.