27.3.09

I casini di marzo si vestono di nuovi colori

Il morale è basso. L’ora legale arriva. Bisogna risollevarsi, prima che il conteggio arrivi a 10. Ci sono un sacco di pezzi che vorrei condividere e alla fine il modo più comodo è raggrupparli in una sequenza croccante e colorata, che non so perché ma mi fa pensare molto alla seconda parte dei Novanta.



Light Through The Veins (Radio Edit) - Jon Hopkins
Growl’s Garden - Clark
Connections (Ewan Pearson Slo NRG mix) - Moon Unit
$tunt$ (Flying Lotus Remix) - Mr Oizo
Runaway (Radio Edit) - Grum
Skeleton Boy (Air France remix) - Friendly Fires

Di pastoral zampogna al suon festante (mix) - maxcar (mirror)

23.3.09

Your name’s not down, you do comin’ in

Lo scorso weekend ho mandato a quel paese le maledette primavere di Rockit e la bongol-noia di Mihalis Safras e mi sono intrufolato nel tutto esaurito dell’apertura della stagione operistica del Petruzzelli. Premessa: io non sono mai entrato a un concerto o a un djset vantando l’invito di chi stava sul palco e forse se la prima si fosse tenuta (come avrebbe dovuto essere) come inaugurazione del Petruzzelli e non in un padiglione della Fiera del Levante, difficilmente sarei entrato. Soprattutto dopo uno scambio come:

collega: Siamo ospiti del Maestro-segue-nome-del-regista
addetta all’accoglienza (scorrendo la lista): mi risultano due ospiti del Maestro, ma sono già entrati
collega: In realtà siamo ospiti dell’aiuto-Maestro
addetta all’accoglienza (scorrendo la lista): non mi risulta (interdetta), ma seguitemi comunque

Fortunatamente riconosciuti dal cognato del collega, ci siamo situati al fondo del padiglione e abbiamo seguito all’inpiedi insieme alla security una Turandot semi-scenica non sempre a fuoco per via dell’allestimento costretto (davanti a orchestra e coro pigiati come sardine i personaggi si alzavano da sedie in fila con fare più da teatro dell’assurdo che da fastosa opera esotizzante. Ai lati della platea le voci bianche e il papà di Turandot da una parte e gli ottoni in forma di banda dall’altra facevano venire il torcicollo) e dei contrattempi (Turandot sostituita all’ultimo momento da una soprano ‘con molta esperienza’ che ha eclissato l’inglese Calaf, la pioggia costante sul tetto di lamiera zincata che creava un effetto rumore di fondo stile dubstep). Tralascio le mie riflessioni musicali, che pure ci sarebbero, in favore della ridarola mentale per l’associazione di idee tra il mistero del nome e The Bouncer. La locandina poi sembrava quasi un flyer.



Tre Enigmi M’Hai Proposto! - Luciano Pavarotti
The Bouncer (original mix) - Kicks Like A Mule

19.3.09

Lov Fak'ers

Morivo dalla voglia di far sentire ai lettori di Inkiostro quella figata ti-amo-aphex di Fentiger di Nathan Fake, dal nuovo EP Hard Islands, ma dovevo pure inventarmi qualcosa ed è corsa in mio aiuto Sara Lov. Da queste parti invece si spacca tutto con l'originale.


Fentiger - Nathan Fake (link removed as requested by Nathan himself)
(ascolta dall'altra parte Touched by a Fentiger (Hi Low To Lov maxcar vibrato) - Sara Lov vs Nathan Fake)

18.3.09

Ieppa Ieppa (Animalaction)

Non andavo a un concerto da quasi otto mesi e se devo tornare indietro fino all’ultimo bel concerto visto i mesi crescono. Ho serie difficoltà nel trovare (e perché no, nel provare) quel movente che ti fa uscire di casa in cerca di gente che imbraccia strumenti e intona parole. In un certo senso i chilometri aiutano a mettere le cose in prospettiva, se non altro perché rendono le cose giusto un po’ più difficili. Fatto sta che sabato scorso ho fatto i chilometri e ne è valsa la pena.

A me sembrava di stare dentro il 2009. Dondolavo aggrappato all’arco superiore del 2, facevo uno slalom dentro gli 0 e sfidavo la gravità in un antiscivolo che dal 9 mi sparava verso l’alto. Solo per caso fuori un’insegna diceva Rolling Stone, ma era il presente, circondato da un posto morente, da gente che forse ancora non capisce e che di sicuro non balla perché preferisce esserci.

Alle otto e mezza Pantha Du Prince suona un vero campanello e da rumori di fondo solleva la sua techno pop tintinnante. Mentre ballo sul posto vedo intorno facce che dicono disorientate “Che c’entra la unz alle otto e mezza”, ma il buon Hendrik ha il merito di montare un set dall’energia crescente che smuove alcuni gruppetti, fossero anche solo in vena di mossette goliardiche, fino al finale con due ottimi pezzi nuovi, il primo con aperture vocali femminili alla Orbital e l’ultimo techno abrasivo e corposo.



Tra il suo shutdown e il primo bottone degli Animal Collective capisco perché certi posti devono chiudere: su quell’insensato pezzo hard rock per sonorizzare l’intermezzo avrei voluto lanciarmi in un reverse ram jam verso il selezionatore della piccionaia. Il palco è fico in parte: belli i drappeggi a nuvola dai quali sorgono i macchinari e la perpendicolarità tra i cosi di Avey Tare e quelli di Panda Bear, ma i due tengono avulso Geologist sulla sinistra, la palla non salta sul pubblico e non è una piñata, non ci sono i leddoni verticali e la copertina di Merrychristmas è sullo sfondo lontana, rabbuiata e soprattutto non illude otticamente ma sembra più la tappezzeria di un divano dei nonni.



I'm the dancer. In The Flowers comincia così come comincia il disco, giusto con le briglie più trattenute e meno detonante sul finale. Avey Tare che avanza crooneggiante verso il pubblico è simbolo di confidenza e confidenzialità, ma la vera gioia è nell’emozione che nasce da manopole e tasti premuti non come orpelli ma come strumenti che influenzano la scrittura e le possibilità. Lion In A Coma va e viene come uno scacciapensieri siciliano ed è solo con My Girls che alcuni tra gli smorti del pubblico si scuotono e saltano, coi campioni che svariano asincroni e un prolungamento che destabilizza ipnotico i fedeli dei limiti temporali della canzoncella pop. In mezzo i pezzi vecchi sono rimaneggiati all’occorrenza: Slippi è tirata a lucido dalle sporcizie blackdiciane, Winter’s Love è sospensione sentimentale e Chores parte solenne come un inno nazionale che all’improvviso esce fuori di testa. L’impianto che sembrava ottimo per Pantha Du Prince, messo alla prova mostra i suoi limiti acustici mancando di quella definizione che a Roma sarà stata ottima, ma è pur sempre meglio di certi altri postacci a cui purtroppo ormai si è fatta l’abitudine. Daily Routine è un dondolo e la corsa verso il finale è tutto un crescendo: il pezzo nuovo noto come Blue Sky inizia come Orb + breakbeat e si solleva piroettando con un uso circolare di un campione vocale che ricorda certe soluzioni del recente Jens Lekman. Il palpito arpeggiato di batteria di Lablakely Dress, variato nel passo, introduce una Fireworks che è lo stupore, i colori e la gioiapaura dei primi fuochi d’artificio visti su una spiaggia familiare coi tizzoni che ti cadono sui piedi e la rincorsa verso quel 2009 che è il finale. Brother Sport pesta e rincuora gli entusiasmi in vista del bis trasognato su Guys Eyes e su una conclusiva Summertime Clothes saltata a squarciagola. Gli Animal Collective hanno visto e incasinato tanto, ma (come su disco) sembra che solo oggi abbiano compiuto un cammino in cui la comprensione dei propri limiti e delle proprie possibilità ha portato al pop più bello che abbiamo in circolazione. Poi non ho avuto la possibilità di urlare Are You Also Frightened (ma forse era un momento troppo à la Flaming Lips da desiderare), non ho avuto la mia amata Bluish e soprattutto il primo pezzo post-concerto è stato Ulysses dei FranziFerdinandi (e non certo quella giuoia aphexata di Fentiger) che mi ha sfollato verso un meritato sonno già a mezzanotte, schivando il delirante volantinaggio di Rockit e pensando che è una di quelle serate in cui fai scorta per tempi sicuramente più bui.



Fireworks (live at Bowery Ballroom NYC) - Animal Collective

12.3.09

Acerbo è un aggettivo?

Qualche settimana fa avrei voluto scrivere di tormentoni da ep acerbi. Poi la vitareale™ ha preso il sopravvento, e non se n’è fatto più niente. Successivamente qualcuno ha cercato sul blog risposta alla domanda di cui al titolo, i Salem sono stati chiamati per Dissonanze e quel mito di Koze nel suo commovente mix per per Resident Advisor è partito con un pezzo di Mount Kimbie e allora ho avuto un rimorso per la mancanza di prontezza con cui negli ultimi mesi non ho parlato di Zomby, Salem e Mount Kimbie. Però, ecco, Zomby, Salem e Mount Kimbie sono ancorà lì verdi a tormentare con la loro spettralità così giovane da risultare quasi amatoriale e così imperfetta da sembrare programmatica nel suo fare a meno del concetto di padronanza, che tanto invece amo nel 90% di ciò che ascolto ultimamente. In ciò bisognerà riconoscere un merito al vomito continuo di demo dei Crystal Castles degli esordi.


9.3.09

In Particular

E comunque avrò pure riscoperto come tutti la house, ma i sassofoni mi fanno sempre orrore

Mi agganciavo ad alcuni particolari e l’ingresso in quell’enorme villa, luogo segreto di un party privato riservato a non più di quattrocento eletti, era la materializzazione di Bretistonellis a Palombaio, frazione di Bitonto, provincia di Bari. La ragazza alle liste al cancello fingeva di non trovare il nostro nome quasi a tenerci sulle spine e a esercitare tutto il suo potere rimbalzante. Dentro i posteggiatori mascheravano l’accento rivolgendosi con un inusitato “Signore” alla mia consueta imbranatezza che faceva scivolare per terra i pezzi da dieci centesimi con cui comporre i soliti due euro. Li ho tutti. Grazie signore, e buona serata. Entrati, avvolta nel fumo, ci accoglieva una reception in giacca scura e cravatta. Certo è una sorta di nemesi storica la tessera per i prossimi appuntamenti, un feticcio anni Novanta che torna a braccetto con la crisi e la necessità di fidelizzare anche quando si rifugge il divertimentificio di massa, ma il gioco è di attaccarsi a tutti i particolari fichi possibili. Per esempio a una consumazione compresa preparata con perizia da barman-in-livrea in bicchieri veri. Altro che quelle robe tutto ghiaccio in bicchierini di plastica versate dal solito fuori-corso brufoloso.

Probabilmente avvisato del nostro arrivo (eheh), Kalabrese iniziava dopo due minuti il suo djset. In un ideale collegamento col no-live-ma-djset della settimana scorsa di The Mole, Kalabrese si muoveva in modo diverso sullo stesso campo da gioco. Sempre house originaria con grossa carica disco, ma dove The Mole era fluido e più interessato a come declinare oggi quel gusto, Kalabrese sceglieva invece una via mimetica: mixato netto da dj fineOttanta-inizioNovanta, cantatoni feelgood, scelte d’esperienza e solo e soltanto bottigliette di acqua tonica Schweppes da 50cl una dopo l'altra. Non fosse stato che i pezzi alla Van Helden, i Soul Rebels della rivoluzione non teletrasmessa, la Contemplation di Josh One (sempre prezioso Luigi) e i tribalismi classici erano intrecciati con Pantha du Prince, l’onnipresente nuovo Moody(mann) e col Turkatech su Simon Baker, sarebbe venuto da pensare a una serata macchina del tempo. Agganciandosi solo ad alcuni particolari, Todd Terje al posto di Todd Terry. Il problema è che guardi la felpa di Kalabrese e pensi che non è Knuckles o Morales e che tu non vivi quegli anni con dieci anni di ritardo da un’altra parte del mondo. Che ci si diverte e che è pur sempre meglio di tanti set rompipalle, ma a questo punto la voce di Laurie Anderson ricoverata da Mandy e Booka Shade e triturata da Audiofly X non è che un virus che macina una cartella iTunes ormai troppo grossa per stare sull’iPod. Così felice e disilluso penso che le bordate di feedback che distruggono la triste gioia filologica di Blind nell’Hercules Club Mix siano la sintesi perfetta, e necessaria alla mia sopravvivenza, di questo essere immersi in troppa musica nel luogo e nel posto sbagliato, e così si esce e si torna a casa. A volte non puoi trascurare i particolari.



O Superman (Audiofly X Remix) - Mandy vs Booka Shade feat. Laurie Anderson
Blind (Hercules Club Mix) - Hercules & Love Affair feat. Anthony Hegarty

6.3.09

Più in basso del cielo

Scena 1: questo è quanto, ti abbiamo fregato. Inventatene una, se sei capace
Scena 2: ragazzine e ragazzini ballano la sigla di College e non erano nati quando tu lo vedevi alla tivù
Scena 3: The Mole! The Mole! The Mole! L’ultimo giorno il basso fu la speranza



Mai martedì fu più magro. Non sappiamo ancora il finale, ma siamo pronti a scrivere il terzo episodio della saga Cassa Disintegrata / Settimana Corta. Se avete una proposta in ambito intrattenimento da almeno duemila teste prenderò in considerazione anche voi. In poche parole niente Loco Dice che fa il Loco Dice di buon gusto. C’era un motivo, c’era.



Venerdì, primo di quaresima, non si dovrebbe fosforescere. Se pensate come me che fossero tristi i Bugged Out milanesi dell’anno scorso con le mezze calzette e Uffie all’Hollywood e il fluo e le kefiah fuori tempo massimo, non avete idea di cosa possa essere vedere tutto ciò oggi nella BAT provincia (non quella di Batman, quella di Barletta-Andria-Trani). Ti dici pure che c’avranno diciannove anni e avranno il diritto una volta ogni due mesi di sognarsi stylish e abdicare alla vittoria storica di Fabio Fazio e dei gilet. Poi però arriva un vocalist. UN VOCALIST. Con l’occhiale finto sfigato che urla come un ossesso come un personaggio di Fabio De Luigi. Io quando vado alle serate techno avrò pure intorno qualche ragazzino con la cresta, ma fortunatamente nessun vocalist rompe i coglioni. Nonlodireanessunononlodireanessuno, vaffanculo io lo dico a tutti. Fossi stato in Borut non so come avrei reagito. Tanto era il cattivo sangue, che alla fine ho apprezzato solo a sprazzi il suo set, soprattutto nelle parti che suonavano più di vecchio e del discone o che tentavano incisi minimalosi. I funzionali remix dei Soulwax e le svisate più londinesi (o milanesi?) come si sa ormai mi lasciano un po’ freddo e per il futuro dei Furano spero che non si indugi più di tanto da quelle parti. Hang the vocalist, comunque.



Sabato invece puro piacere. Il mio solito ingresso ad apertura porte avviene sul tepore crepitante di Freaky Mutha F_cker di Moody(mann) e The Mole è già lì che gioca a ping pong con Andrea Fiorito. Non saranno i fuochi d’artificio di cui si dice per i live set del canadese (compagno di merende della cricca Jonson/Cobblestone Jazz, uno dei miei favoriti dell’anno scorso con la sua destrutturazione/ricomposizione dell’house in salsa cosmica, un supergruppo tra Avalanches e Lindstrøm concentrato in un’unica pesona), ma quattro ore di back to back a tali livelli ripagano ampiamente della mancanza. Pur concedendosi entrambi un po’ quello che vogliono, è subito chiaro che Fiorito avrà tra le sue incombenze quella di mantenere il contatto con le necessità del pubblico, caricando ogni tanto i toni e mantenendo fluidità al tutto. Il risultato è che l’intricatezza di As High As The Sky viene svolta nei fondamenti in un misto di polvere d’angelo disco, break scintillanti e bassi bollenti. Nonostante l’aria a dir poco cazzeggiona, il buon Colin De La Plante ha mostrato una notevole pulizia tecnica, rovinata semmai dal ricorso all’equalizzatore, unico effetto impiegato in modalità togli i bassi prima delle parti senza bassi. Finisce tutto presto per il solito, col consueto gesto del proprietario quando il bar langue e senza un finale vero e proprio, ma ce ne vorrebbero di serate come queste capaci di carezzare e alleviare almeno un po’ le mazzate che arrivano, ormai, sempre più grosse.



Sunglasses (Scuola Furano@Night Remix) - 0131
Ain't The Way It's Supposed To Be - The Mole