21.1.05

In sides


Più di una volta mi hanno detto che parlo dei concerti in maniera laterale. Trovo che sia corretto per un incompetente evitare l'avventura sui terreni non propri della tecnica e dell'analisi, anche se non disdegno il facile balbettio sull'ordine delle canzoni, sulle stonature palesi, sui suoni diversi dal disco. Preferisco i particolari. Ai concerti viene fuori il mio lato osservatore, anche se in fondo mi concentro sul palco e non mi accorgo che a due metri da me c'è la futura attrice di teatro. Lustro il mio indice e vi parlo del concerto di Solex a Bari.


Ho sentito Solex per la prima volta circa due settimane fa, quando ho saputo del concerto. È stato un ascolto utile perché mi ha dato modo di riflettere su un'altra annosa questione: ti ricordi la prima volta che ascolti un disco? Perché a forza di scaricare e masterizzare e prestare e comprare oscilliamo tra l'estremo del distratto e l'estremo folgorato, passando per l'estremo dell'evento per cui non stiamo nella pelle. The Laughing Stock of Indie Rock sarà per sempre legato al momento del suo primo ascolto, al suo essere stato intimo sottofondo di una sera. A lato, altoparlante destro, altoparlante sinistro.


Solex su disco è scatoloni in vista di un trasloco, pieni sparpagliati con cui riempirai una piccola macchina. Solex dal vivo è giallo e rosso. Pur sembrando a tratti Iaia Forte che recita un bio-film sulla Tori Amos del Rogue Moog. Solex dal vivo è *movimenti di corpo = attorcigliamenti di voce*, quando batte il piede, quando si accartoccia sull'armonica, quando agita la stella coi sonagli. Corre però il rischio di essere soltanto quello, visto che è gia tutto suonato sul mac e non sembra nemmeno il solito musicista che aspetta un'e-mail importante. Due tasti di moog suonati, manopola e cursore, rotazione e traslazione.


Solex dal vivo però è anche la batterista energetica che fa le facce quando Elizabeth non muove muscolo facciale. Cambia le dinamiche ed è un toccasana per un bel concerto che avrebbe rischiato di essere freddo e involuto più che piatto. Certo è onnipresente e non sarebbe stato male che alcuni pezzi avessero mantenuto un andamento più frammentato e tenue. Ma è stata la scelta giusta del concerto e, soprattutto, ci ha fatto lo sconto sulle magliette.




Io guardo le scarpe anche se mi dà fastidio che mi si guardino le scarpe. Io non seguo chi va a fumare davanti all'uscita. Io apprezzo la versione vitaminica di Fold Your Hands Child, You Walk Like An Egyptian, di cui non ho mai capito i riferimenti del geniale titolo, i suoi uccellini e le sue zanzare, anche se alla fine lei esagera col moog. E poi p-pp-ppp-pere, aj aj ah aj aj ah. Clacson. Una canzone finisce e un ragazzo mima una chitarra con la voce.



Ferma il piatto appena colpito. Abbassa i volumi con rotazione antioraria. Fine.


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