10.3.05

Generazione di fenomeni


La comunità dei blog musicali crea fenomeni con cadenza ormai regolare, al pari delle riviste o delle webzine più famose. Dopo i Junior Boys ed Annie arriva M.I.A., figlia di un rifugiato dello Sri Lanka e interprete di un rap filtrato dalle sue radici senza per questo scadere nell’etnico, circondato di spazi vuoti elettrofratturati e figlio colto, decontestualizzato ma giudizioso dell’ormai defunto bulimico bastardpop. Da buon fenomeno M.I.A. miete recensioni positive, raccoglie articoli su quotidiani importanti e suscita polemiche come le ultime nei nuovi luoghi sacri della sega mentale soggettona sulla musica, riguardanti i risvolti politici, l’autenticità della sua musica e la sua credibilità di strada – spulciatevi se siete interessati gli articoli di Blissout-Reynolds e Christgau sul Village Voice, i seguenti thread su I Love Music e i botta e risposta via blog tra le parti in causa. Il suo nuovo disco Arular è il primo(?) caso di bastardpop al contrario visto che i pezzi, opportunamente ripuliti, provengono dalla mixtape bastarda Piracy Funds Terrorism Volume 1 di Diplo. In Italia per ora si sono accorti di lei i compagni di merende, già responsabili su altri lidi pre-blog di avermi indirizzato nello scorso agosto all’ascolto dei Junior Boys.

Le polemiche sulla credibilità di strada di Arular non sono peregrine ma sono inutili. Per quanto infatti M.I.A. faccia certa musica pur non essendo lo stereotipo della cattiva ragazza, quello che conta è il risultato e le sue sottigliezze. Il rappato di M.I.A. è sempre cantato e le reminescenze delle origini orientali non sono ostentate ma integrate e decontestualizzate come gli altri elementi etnici. La programmazione finto-povera crea spazi vuoti per mettere al centro la voce mai piatta e, soprattutto, sensuale senza essere mai vittima delle esagerazioni dell’R&B melodico. Nel disco si alternano momenti da ballo come 10 Dollar, Bucky Done Gone e Galang a invenzioni come il tappeto soffocato di Pull Up The People, l’esotismo femminile di Amazon e il finto latino di Hombre o il ritornello nasale di Sunshowers. Ho ripetuto troppe volte finto ma, ehi, chi lo dice che la buona musica deve essere anche vera?
(Continuate insomma a sorbirvi il mio periodo anti-folk, nel senso che a meno di ciò che ha passato il filtro nei mesi scorsi qui ci si tiene lontani da ragazzi e ragazze sole con la chitarra e si celebra una nuova fiducia nell’elettronica da divertimento e nel rock sgangherato)

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