31.7.09

La Canzone Del Parco

Ondata di caldo, heatwave. Per gli inglesi i trenta gradi umidi sono una specie di evento mai visto. Ovunque i ventilatori dicono che non potrà succedere ancora. Ventilatori sui saldi. Ventilatori nei pub dove la gente, quando non trepida per le semifinali di Wimbledon, preferisce la zona antistante, sempre più un pollaio da batteria circondato da cordoni e ripreso da telecamere a circuito chiuso dove puoi portare solo bicchieri di plastica, starnazzare e fare l’uovo. Ventilatori blu nelle stazioni della metro, enormi e circondati da grate (anti-furto o anti-infortunio): sono un’attrazione davanti alla quale fotografarsi, per ricordarsi in qualche modo di questo avvenimento. Il sindaco avvisa la popolazione con manifesti ovunque (“bevete tanta acqua”), mentre sugli autobus e sulla metro continua a funzionare il riscaldamento. Un gruppo di ragazze in bikini al parco tira indietro le pance in sincrono davanti al fotografo che le ritrae per il free-press della sera. Il sole scende e ad Hyde Park, fuori dal recinto, in migliaia ascoltano il primo dei due concerti dei Blur a Londra.


Photo by p-m


Il giovedì doveva essere una toccata e fuga di puro stampo logistico. Conviene più l’arrivo da Hyde Park Corner o da Marble Arch, ci saranno più ingressi, saranno puntuali? Da Hyde Park Corner non si sente niente, a parte il vociare dei bagarini. Via via che circumnavighiamo l’area si comincia a distinguere l’audio gentile del ritornello di Badhead che si chiude. Alcuni ragazzi scavalcano i tre-quattro metri di recinto verde scuro e non capisci se abbiano scarpe artigliate. Domani arriviamo da Marble Arch. Il giro di chitarra di Beetlebum è perfetto per la crescita dei watt percepiti e siamo davanti. In migliaia fuori dal concerto. Una coppia studia, circoli da quattro cinque bevono, il caldo ha bruciato l’erba e il giornale sotto il culo non serve, freak spiritati, i grupponi di ragazze e ragazze neri sono coloratissimi e si lanciano occhiate fumiganti e poco si curano della musica mentre tornano a casa con le buste piene dei saldi, i grandi comodi della sdraio, una bruttina balla da sola, se vai indietro riesci a vedere i maxischermi, l’ultimo pezzo mentre entri alla metro perché sai quale sarà. (a rileggersi con uno stacco di qualche settimana prima di postare eviti certe anafore che sembri Ligabue)



Di notte un temporale scaccia il caldo. Alle tre suona l’allarme anti-incendio del nostro albergo. Suonerà altre quattro-cinque volte nei giorni successivi, ma è sempre per finta e dopo quella nel sonno della notte e quella della pennica-da-mezzora pre-concerto non ci faremo più caso e non usciremo più in ciabatte su Argyle (sipronunciargoil) Square. Il tempo variabile della mattina torna sole potente per il nostro ingresso al parco. Tragitto dalla metro + fila che più rapida non si può all’ingresso + gran puntualità = niente Deerhoof e niente streaker (genio). Peccato ma non penso proprio che siano adatti a una spianata con tanto pubblico davanti. La birra quasi calda è in bottiglie di plastica che presto diventeranno protagoniste.


Photo by p-m


Mentre Florence And The Machine vestita con un copridivano ocra porta avanti la sua mezzora senza rompere troppo, esploriamo il circondario dove il premio “Esercizio più innovativo dell’area concerto” va a un miniBoots che troverebbe la sua collocazione perfetta per il Sonar o nei prossimi giorni per il Traffic (Primal Scream, Underworld e un cocktail di sciroppo per la tosse, sidro di pera e pasticche anti-acido). Solo secondo lo stand di un noto rhum dal quale si muovono individui con brocche marroni di dubbia provenienza (alcuni dicono english breakfast deteinato con ghiaccio). Il sole non sembra frenare insomma quelle vecchie spugne degli inglesi, tanto che con l’afro-funk di Amadou e Mariam si intravedono i primi balli - atmosfera fichissima, viva il Mali, ma non fanno Sabali che è un pezzone e dal vivo me l’aspettavo col cassone alla Radioclit e ogni intro sembra la nemesi per gli inglesi dei loro gruppi che qui cercano di parlare in italiano, ar iu fil gud, ar iu fil orait.



La versione sbiancata e hipsterica a seguire dei Vampire Weekend produce un nuovo fenomeno, appartenente al ceppo del pre-Vascorum publicum: dove il pubblico di Vasco tirerebbe le bottiglie contro chiunque si presenti sul palco prima di Vasco, compreso Vasco stesso travestito da Thom Yorke che suona comunque i suoi pezzi, questo pubblico invece lancia le bottiglie di birra di plastica che ha a disposizione contro se stesso, sublimando l’indifferenza verso chi sta sul palco in un gesto di autolesionismo controllato. A parte gli scherzi, i Vampiri fanno anche ballare e come gli altri prima non rompono più di tanto, semmai manca loro un po’ di furore, qualcosa che non faccia sembrare il tutto un compitino inerte, insomma il funk o il groove o il sesso o come lo volete chiamare. Quando terminano scegliamo una posizione che a leggere certi recosonti successivi si rivelerà saggia: non nella bolgia ma a centro-sinistra, lontani abbastanza da sentire bene, vedere qualcosa muoversi sul palco ed evitare i pugni in testa grandi protagonisti delle prime file.


Photo by Waldopepper




Il primo concerto messo in vendita (si vive di simboli e chi lo sapeva sette mesi dopo cosa sarebbe successo). L’ingresso è sul valzerino di Debt Collector, cripto ironie per soli fan. La partenza è inizio degli inizi (She’s So High) più inizio di Parklife coi ragazzi e le ragazze verso la Grecia. La chiamata e risposta col pubblico di Tracy Jacks è seguita da There’s No Other Way che come la precedente S’sshigh fa purtroppo a meno del fumo passivo degli acidi in favore di un abito diritto e asciutto . Su Jubilee Albarn si sbatte a destra e a manca, anche se poi confesserà di temere il contraccolpo fisico della doppia data – c’ho n’età. Badhead ha un mood perfetto per il sole che piano piano si rilassa tra le trombette, tanto che Albarn si lancia in un “chilavrebbedetto davanti a ‘sto tramonto e il parco e Crystal Palace e il milleottocento” davvero da sceneggiata.




La coda di Beetlebum, con le bordate di Coxon, segna in qualche modo la fine di una prima sezione e il passaggio alla sezione meno brit e più matura. Out Of Time è perfetta nel suo essere dolente e minore e riesce nel mettere d’accordo contro di me i distratti super-fan-ommioddio-think-thank-no e i distratti conosco-solo-i-successoni-che-passava-mtv. Trimm Trabb nel transitare tra l’inizio acustico e il rumore che la ingoia nella seconda parte ha un Albarn cupo e purtroppo sembra più moscia rispetto alla data del giorno prima fino a quando esplode e rade al suolo. Il finale di Coffee & Tv, invece, dopo tanta minaccia deraglia in un contenimento tale da stupire il pubblico. La sezione è chiusa da una Tender in cui ho la triste visione di avere anch’io il mio megaevento da anziano col pubblico che canta prima del cantante, con il gruppo che la tira per le lunghe in maniera esasperante e, oh my babe, mancano solo gli accendini. Però come on come on come on, get through it, love’s the greatest thing that we have.




Country House e il suo intermezzo tutto in mano al pubblico ha però un finale infetto da Coxon che risolleva dall’ovvio piacere. Seguono la pazzia megafonica di Oily World (ogni sera la stessa pantomima ma non si stuferà della sirena rotante? No, per il momento direi di no), il saliscendi ferma riparti di Chemical World e l’ondeggiatesta nanana di Sunday Sunday con intermezzo sempre più veloce fino a spetasciarsi su una padella come un uovo fritto. Poi arriva Phil Daniels e viene giù tutto e penso che essere Phil Daniels mentre urla Parklife davanti a sessantamila persone deve essere una figata degna di essere invidiata. Via verso la prima fine.


Parklife (Live In Hyde Park 03/07/2009) - Blur and Phil Daniels


- “And the mind gets dirty as you get closer to thirty”
- Ormai…

Forse credo in maniera un po’ forzata che questo concerto rappresenti un passo importante verso la mia rimozione totale di ogni forma di giovanilismo tardivo (essendo stato peraltro sempre poco giovane, da giovane), ma End Of The Century e le sue formiche mi fanno quest’effetto, anche se forse parla più di conformismo e labbra secche. To The End e il suo “sembra” mi commuovono e di più non dirò perché non voglio scadere nel personale. Albarn indica la luna e This Is A Low, fintofinalestorico che non fa male, ha quell’amaro che accetti perché verrà riscattato da corposi bis.

Il primo trancio di bis è a forma di martello. Popscene e Advert pestano duro e l’intro di Song 2 in crescendo ritmico tra le urla porta a un minuto e mezzo con la chitarra che suona come se l’amplificatore fosse rotto o come la somma di tutte le discoteche rock scrause che per te sono il male.



Altra pausa e nel secondo trancio l’incedere funebre di Death Of A Party con la sua amarezza è l’ennesimo dei finali impossibili, così come For Tomorrow che è volemosebene, ma in qualche modo minore rispetto al più ovvio dei finali. The Universal e il suo genio. Rivoltato come un calzino, non mi resta che lasciar scorrere via i giorni e camminare fino alla fermata di Green Park.


The Universal (Live In Hyde Park 03/07/2009) - Blur


Camminando pensavo ad alcune delle mancanze nella scaletta a me care e alla fine più o meno tutte rientravano nel genere ballata minore amorosa. Good Song, On The Way To The Club, No Distance Left To Run, Strange News From Another Star, Yuko And Hiro e soprattutto Sing (una scaletta da piagnone, ahah). Sing è strana perché è la foto del Big Bang da cui sarebbero venuti fuori sette album e nonsoquante canzoni: una somma di frammenti minimali da canzoni che saranno tra loro diversissime nei dodici anni successivi. Tutto era già lì, i giri di chitarra, i cori e il parlato, i bassi, le distorsioni, il piano, gli effetti, in una tormentata dichiarazione preventiva di insensatezza e bellezza. Come un’eco al contrario. Mentre tornavamo in albergo canticchiavo tra me e me Sing.

Sing - Blur


Bonus Track
La sera dopo mentre mangiavamo curry giapponese a Soho, le coppie reduci dal gay pride amoreggiavano a fianco alle nostre zuppe di miso. La scelta era davvero ardua: Sascha Funke ed Efdemin al Fabric (ok con Radio Slave, ma tanto non lo avremmo degnato di nota) o Juan MacLean e Kim Ann Foxman di Hercules And Love Affair? La warpata con Plaid, Luke Vibert, Tim Exile e Clark o Lee Jones dei MyMy? Siouxie Sioux che mette i dischi per il Pride al matter o una data del quale scopriamo a posteriori l’esistenza di Theo Parrish? Insomma, non potrei vivere a Londra. Abbiamo comunque optato per un party dei Disco Bloodbath in un posto segreto con Pilooski ospite (bugia, ho scelto contro un’opposizione che optava per la DFA). Secret location party è il nome altisonante per “serata in palazzo abbandonato di Shoreditch”. La selezione di un presunto DB è stata variegata (discomusic oscura, electro, pezzi di Chicago, brandelli di acid-house), ma vittima di un tenore cocainico che ultimamente ravviso spesso nei djset diciamo hipster per capirci e che mi agita e mi infastidisce. Di seguito almeno fino alle tre e mezza Pilooski si muoveva sulla falsariga precedente, forse appena più dilatato e tendente all’acidhouse, mentre lo zoo misto di modelli alla Brüno, commesse di Floral Street, giapponesi solitari con lo zaino rivolti contro uno degli altoparlanti, ammiragli di vascello (giuro) oscillavano tra il ballo sovraeccitato e la chiacchiera annoiata. Un po’ annoiati anche noi abbiamo detto basta prima del primo edit e siamo andati a esercitare la pronuncia di Argyle col primo tassista disponibile.

23.7.09

Professione Vacanze

Bentornati al magico mondo della crisi’n’musica! Se avete passato un Natale di apprensione al suono di Cassa Disintegrata e avete tagliato il vostro monte ferie con Settimo Cielo, adesso siete pronti per qualcosa di serio. Quando devi fare cassa (e non parlo di legna), ogni taglio è buono. Progetti innovativi, sedi decentrate e tutta una serie di parole orribili come ‘nuovi paradigmi’ sono un buon lusso quando l’azienda va bene e magari c’è un qualche progettone capisci’a’mme a sostenerli. In momenti come questi, tutto torna al centro e se sei fortunato (e non sei proprio schiavizzato come i poveri ragazzi di MTV) vieni riassorbito negli headquarters a testimoniare dal vivo i contratti a tempo determinato non rinnovati,a passare le mattinate in cassa integrazione e a rincorrerere le voci incontrollate sull’autunno. Non c’è visibilità però e allora resta il qui e ora, nove giorni di lavoro in un mese e sabato le ferie che iniziano, lunghissime (tre di chiusura sede più una fortemente consigliata).

Uno degli ultimi bagni a mare prima di salutare la Puglia è stato a Cala Corvino. A Torino la gente fa la fila alla domenica per le piscine all’aperto o se ne va nelle valli a camminare per ore. Io non lo farò mai. Durante queste mattine libere ho avuto un umore che definire escapista è poco. Quando mi sono accorto che Professione Vacanze stava prendendo la piega di un Rohmer meets Acid House, tra una Xena crocifissa con Olimpia e tutti quegli anziani che ballano le canzoni di una volta e mangiano la pasta sulla tovaglia di carta, il remix vanziniano del singolo dei Gossip ha cercato di scuotermi. È stato solo un attimo però ed avevo già gli occhi sbarrati davanti al nuoto sincronizzato. Queste vacanze saranno lunghissime*.

Professione Vacanze [mirrors] - maxcar

Sunshine – John Talabot [Hivern Disc]
Keep Me In My Plane (DJ Koze remix) – Who Made Who [Gomma Records]
Come Home (Andrew Weatherall mix) – James [Fontana/Phonogram]
Reckoner (Rollmottle’s Pacifica remix) – Radiohead [Sentrall Records]
Shove – Sven Weisemann [Artless]
Barefoot Through Hell – Chelonis R. Jones [Systematic]
Heavy Cross (Fred Falke remix) – The Gossip [Columbia]
Beach Buggy – Tiger Stripes [Urbantorque Recordings]

maxcar presents Underwater Love (del nuoto sincronizzato)
Moth – Burial & Four Tet [Text Records] vs
Amo Alucinor – Jesse Somfay [Archipel] vs
Oh Reality – Richard Youngs [Sonic Oyster Records] vs
Porc #2 – Moderat [BPitch Control]

Sky And Sand – Paul & Fritz Kalkbrenner [BPitch Control]

[Contiene tracce dei Drops]


Professione Vacanze [mirrors] - maxcar

*Ovviamente avevamo preso dei biglietti per la Turchia con Myair.

10.7.09

Ho tutto sulle dita ma non riesco a scriverlo

Il qui presente is now based under the Mole, in preda alle angherie dei dannati torinesi, con un filtro iraniano su Blogger e cassintegrato per metà del mese. Ho in sospeso tanta roba da raccontare (lo scorso weekend londinese, il Traffic), ma l'appuntamento per il momento è rimandato. Se stasera nelle prime file davanti ai Primal Scream vedete un furioso con una maglietta raffigurante una madonna nera con un bambino bianco, salutatelo.