28.7.06

Águas de Nazareth

A volte le coincidenze: chi l’avrebbe detto che la vacanza in Portogallo sarebbe partita con una Residencia in quel di Lisbona dal nome così Justicccccce. Ora come minimo mi aspetto che domani alla reception mi attendano urlando “Porque nós somos seus amigos, você nunca estará sozinho outra vez”. Eppure sento di non essermi preparato sufficientemente sul lato musicale attuale portoghese. Per esempio ignoro chi siano i vari Marcelo D2, Boss AC, Dezperados, Buraka Som Sistema, Loto, Los de Abajo, Pedro Luis e a Parede, Houdini Blues, Rock Group Tiger, Mundo Secreto che affiancheranno Daft Punk, Who Made Who, Madness e Jimmy Cliff(!) nell’unica giornata di Sudoeste che ci attende. Ma forse dovrei preoccuparmi del fatto che ancora non abbiamo prenotato un posto dove dormire a Zambujeira do Mar. Vabbe’, ci risentiamo tra qualche giorno (magari da lì). Adeus!

27.7.06

Questa volta mi merito una camicia di forza con il colletto alla Sandro Ciotti



Ancora non ho ascoltato tutto Eurolove di Hypnolove, creatura della Record Makers degli Air, pompata sul sito con un esilarante namedropping (per esempio, Tiga che dice che l'ha suonato alla festicciola di compleanno di un suo amico e ha spaccato), ma mi è bastata una trentina di ascolti per cadere vittima di Madamoiselle, l'anello di congiunzione pippopparo tra il french touch e i cantanti confidenziali anni Ottanta francesi. E pare che il remix di Play Paul sia anche meglio. Avec moi, ce soir!

25.7.06

E.M.I. Virus

No, non è il titolo di uno dei filmacci catastrofici che Canale 5 ama tanto nella stagione estiva. Catalogate il post alla voce ‘ci hanno preso anche questo’. Qualche settimana fa in alcuni posti strategici si iniziava a sentire un pezzo electro-funk discreto con uno strano rap alla fine, ad opera di una voce abbastanza riconoscibile (ma in giorni di mash-up selvaggi, si pensava anche a quello). Il pezzo, chiamato Rudebox, veniva descritto come white label sconosciuta persino nell’Essential della BBC. Nello stesso tempo venivano fatte circolare copie della suddetta white label come questa, contenenti mix di Soul Mekanik, Chicken Lips e Riton. I blogger hanno cominciato a parlarne e parallelamente è comparso un sito chiamato Rudebox74 che istigava i visitatori a sottoporre i loro balletti sul ritornello. Non contenti i navigatori hanno cominciato a mettere su Youtube e Google Video i propri video in cui ballano il Rudebox e in poco tempo è diventata una celebrità la vecchia che fa lo spogliarello e resta vestita con la maglietta dell’Inghilterra. Che guarda caso si dice che in realtà sia la voce riconoscibile del rap della canzone, opportunamente truccato. Insomma, signore e signori, ecco come la EMI sta lanciando il nuovo singolo di Robbie Williams, senza nominare Robbie Williams.

24.7.06

The season has arrived

Non so se sia un punto di arrivo. La voce con le rughe e le cicatrici di Bob Corn squarcia per un attimo il velo dell’eterna giovinezza, il velo che svolazza ancora al vento della brezza marina degli Austin Lace o tra le brume autunnali dei Mixtapes & Cellmates. Solo in una camera, per t che tende a infinito il presente che non esiste diventa il passato pesante, il non vivere diventa l’aver vissuto troppo, come in una di quelle canzoni di Bonnie Prince Billy, dove a un certo punto il personaggio principale volta le spalle e si allontana, dove voi non andate (o dove tu non vai, se preferite).

A Century of Covers è il disco tributo di cover dei Belle And Sebastian della net label italiana Kirsten’s Postcard. Perché, in fondo, molti di noi sono cresciuti con le canzoni dei Belle And Sebastian.
(Leggi anche il bel post di Polaroid)

Ease Your Feet In The Sea - Austin Lace
Photo Jenny - Mixtapes And Cellmates
I’m Waking Up To Us - Bob Corn

21.7.06

Ci rissi ‘u surciu a’ nuci…

La sapete quella che io non riesco mai a vedere un concerto dei Mouse On Mars anche se me lo organizzano sul terrazzo di casa? Ecco, quest’anno lo avevano organizzato quasi sul terrazzo di casa e mi stavo rassegnando all’idea che avrei bruciato anche questa tappa di avvicinamento al cammino della maturità, quando è spuntato fuori il concerto delle Pipettes a Roma. E tra topi e pipette si sa chi preferirò. Tanto i Mouse On Mars organizzeranno un live nel mio monolocale nel prossimo inverno e io non potrò che non esserci.

20.7.06

Brand Retro, You’re New



E alla fine è arrivato. Non è un remix, è più un'edit*, impalpabile come la polvere psichedelica che gli aleggia intorno. Paradossalmente meno orientato alla danza dell’originale, con sottigliezze più da ascolto che da pista. Come un fenomeno atmosferico visto da un punto di vista che si scosta dall’originale solo per pochi radianti. Sembra poco, eppure alla fine si vorrebbe che non sfumasse.

*in realtà pare che questa sia la radio edit. L'attesa continua per l'extended

Gente un po’ distratta

Ma ci si può rendere conto soltanto adesso, a ventinove anni miei e a diciassette anni dall’uscita, che all’inizio di Rich In Paradise Paolo Dini dice qualcosa come “Ehi tu…ehi tu. Non fare lo sciocchino, metti il preservativo sul tuo guglielmino”?

19.7.06

Teacher’s PET


How The Leopard Got Its Spots (Blake Miller Remix) – Portugal. The Man
(Portogallo. L’uomo, nelle mani del tizio dei Moving Units alle prese con uno dei libri de Kipli, sentito da Big Stereo)

La Menteuse – Mr. Suitcase ft Angelique
(I’m losing my edge to the kids from France and Sweden. Leggi il report su Popaganda, visto da Polaroid)

K-Hole (Mustapha 3000 Remix) – Ali Love
(Cercando il famigerato re-animation extended di Young Folks capita di imbattersi in Mustapha Erol Alkan che dovendo remixare una canzone chiamata K Hole pensa bene di perdersi nel k-buco, citando i maestri fratelli chimici d’antan)

18.7.06

Falcidia e Martello

Ad Arezzo per la serata finale di Elettrowave. Ad Arezzo entriamo soltanto per chiedere indicazioni per arrivare al centro conferenze o centro direzionale che dir si voglia. Scopriamo subito che la domanda più ricorrente da lì al nostro ingresso riguarderà come si arriva al campeggio del festival. Immaginiamo perché. Il parcheggio enorme di Largo Spallanzani è ancora semivuoto, i furgoni promozionali dell’aranciata non sono ancora all’opera e dentro il prefabbricato di legno si prepara il botteghino per la serata. Decidiamo di andare verso quello che sembra un piccolo bar circondato dal vuoto della periferia aretina, un bar sotto un traliccio dell’alta tensione. Entriamo nel recinto e la sensazione è quella di un posto strambo alla Twin Peaks: un circolo apparentemente non privato con tavolate da cena all’aperto, ping pong, interni in legno e un enorme traliccio che sembra scherzare quando un suo cartello recita poco convinto “Pericolo di morte”. Ci guardiamo intorno per capire chi sono quelle persone – nessuno sembra lì per il festival, almeno all’inizio – e ci accorgiamo che c’è gente di tutte le età che chiacchiera segmentata in gruppetti non anagrafici: giovani donne in minigonna parlano con vecchiette arzille mentre due o tre bambini giocano con un pallone tra i tavoli. Forse sono radioamatori, forse sono camionisti. Sembra una serata non diversa da quella degli altri finesettimana per il bar sotto il traliccio, eccezion fatta per i tre anziani che mettono su una piastra e preparano diverse decine di panini con salsiccia o bacon. Uno di loro indossa un cappello verdegiallorosso dal quale scendono lunghe treccine rasta finte. Si percepisce qualcosa di inquietante, ma non si sa bene cosa, e l'insieme è così composito che i due-tre gruppetti di festivalieri potrebbero benissimo essere dei frequentatori abituali del bar sotto il traliccio. Forse i frequentatori del bar sotto il traliccio mi fanno pensare al miscuglio bislacco di gente che via via arriva nel parcheggio: giovani discotecari post-costantiniani, spaesati indie-kids, fricchettame agée, punkabestia al lavoro e persino un enorme cantante death-metal con sopracciglia rasate e aspetto vagamente simile a The Undertaker.

Facciamo il biglietto. All’ingresso i gorilla ci tolgono dalle mani il biglietto integro senza lasciarci un certificato di ingresso. Succede così a una quindicina di persone intorno me. Forse i poveretti hanno stampato pochi biglietti, mica penserete che vogliano fare la cresta sulla SeeAE o che vogliano pagare meno tasse?! Nel frattempo si pone la questione di ingannare il tempo fino alle due e mezza. Le stanze si aprono poco alla volta, si sente rumore di jack inseriti nelle prese, si sente il suono di un anonimo inizio d’accompagnamento. Gli spazi enormi sono ancora vuoti e parallelepipedi col toro dell’orrida bibita campeggiano totemici. Esamino una a una le installazioni che legano immagine, suono e danza e gioco, pervenendo alla convinzione che i palloncini fanno sempre la loro porca figura. Ci stravacchiamo nell’ormai solita zona chillout pseudo-balneare e mi chiedo segretamente se a Ibiza le zone chillout hanno i pupazzi di neve e gli slittini al posto delle palme finte e dei giochi da spiaggia. Nel frattempo accendono le luci della main room e noto che anche lì sopra, sul palco circondato da enormi maxischermi, c’è un piccolo, dannato, frigo dell’orrido beverone taurino: secondo noi dentro quel frigo ci sono finte lattine contenenti acqua brillante, cedrata e passoda, che in Sicilia chiamiamo passito consci del bisticcio tra i nomi.


Slow Down (Remix) – Uniquetunes
(niente a che vedere col festival, ma mi serviva un incipit musicale coerente a quanto sopra)


Ben presto ci accorgiamo che la main room è troppo tamarra per le nostre vezzose orecchie. Rientriamo spesso ma troviamo sempre gli stessi tre suoni con Cassino e Laben e di seguito Samuel Kakatone Subsonica – abbiamo sceneggiato tra di noi il momento in cui comunica il nome del suo progetto a Boosta e agli altri – è così preso dalla sua idea perniciosamente grezza di dance che si porta dei tamarri pure sul palco, di quelli che in discoteca fanno il gesto coatto con mano a conchetta oscillante di venticinque gradi, detto anche “Daje, ammojajela”.
Preferiamo dirigerci allora verso le altre stanze, incrociando nel tragitto anche Karl Kikkoson: decisa l’impraticabilità della Super Room in mano a Signor Andreoni per il calore insopportabile e la sua mancanza di aria, scartata la Cabaret Electronique dove un gemello amerigano di Raiss separato alla nascita cantava in napulitano con un complessino elettro-jazz, optiamo per la Different Beat dove assistiamo a una doppietta non male. Eliott Lipp della Hefty mischia del breakbeat con gustosi squarci melodici. La sua andatura non è troppo sostenuta, forse fatta apposta per ondeggiare, ma due ragazze giapponesi ballano di gusto nel vuoto della pista.
Il suo set è seguito dallo scoppiettante Daedalus della Ninja Tune, frac bianco, basettoni e fare aristocratico da maestro (o da grande maggiordomo del beat). Daedalus rinnova l’estetica del laptop set con un accrocchio di legno con le lucine sopra che sembra alternativamente un display per le votazioni al parlamento e una console (si dirà così?) per gli offertori in chiesa. Con l’accrocchio comanda battiti e strumenti, genera loop e scatena effetti. Il pubblico risponde, balla, chiede bis e alla fine si fa fotografare con lui. L’immagine c’è, bisogna valutarlo su disco. Intanto sono quasi le due e mezza e la Different Beat si sposta verso rap e grime.



Il mucchio DFA è già sul palco: Marcus Shit Robot Lambkin è il signore anonimo, Juan Maclean ha lasciato per qualche minuto le riprese di un film d’azione e Tim Sweeney ha l’aspetto del geek simpatico uscito da una terza stagione di X-Files, capello alla Cobain e occhiale con montatura d’ordinanza. La doppietta Atto d’Amore (dub) di Serge Santiago + In White Rooms (Neo mix) di Booka Shade piazzata da Juan Maclean suggerisce una doppia speranza, ovvero che i set dei tre riflettano in qualche modo il loro stile e che ci sia spazio per un miscuglio di energia, suoni, sensazioni e, perché no, chicche. La speranza si mostra vana e i tre scelgono di alternarsi con frequenza di venti minuti: la conseguenza è che il tutto presto si sposta sui binari del martello uniforme e piuttosto anonimo, con gran parte del pubblico che esulta non per i pezzi quanto per l’unz unz che ogni volta riparte più deciso. Niente psichedelia da Lambkin, allora, niente rock o disco da Sweeney e quando Juan tocca il suo repertorio sceglie il più duro e grigio dei remix di Give Me Every Little Thing. Sono professionisti, hanno capito chi hanno davanti e si divertono a pestare duro. Noi usciamo fuori a prendere un po’ d’aria e fortunatamente quando torniamo Sweeney giustifica il pagamento del biglietto sottolineando quello che sospettavo, ovvero la parentela che lega il Carl Craig remix di Delia & Gavin con Rez degli Underworld: pomeriggi interi ad immaginare per gioco come sarebbe bruciarsi i neuroni come fiammiferi.

Poi alle quattro e mezza arriva a chiudere Justice. In console i Justice diventano un solo Justice, Xavier, total look nero elegante e faccia da svagato compagno di scuola. Parte subito col Martian Assault edit di Jupiter Room dei Digitalism e si esibisce nel numero dell’ “Abbasso il volume fino a zero, voi non capite che sta succedendo, poi quando parte la chitarra digitalista alzo a tutta potenza finché non vi esplodono le orecchie”, fortunatamente ripetuto poche altre volte. Tira fuori quello che ci si aspetta da un set di Justice, ovvero i nomi che si citano anche qui spesso (la Ed Banger, la Institubes, i Boys Noize, Bongo Song su cui piazzare Never Be Alone per poi farla diventare We Are Your Friends), qualche trovata strappa-sorrisi che porta indietro fino alle medie (in questo caso Pump Up The Jam dei Technotronic), qualche novità (Justice e SebastiAn riuniti come Ed Banger’s All Star per un remix durrro e purrro di La La Land di fratello Play Paul) e qualche ovvio revival (Renegade Master seguita da Smack My Bitch Up). Il tutto spesso ultra-distorto, mixato con pessima tecnica, ma con un compiaciuto senso del divertimento. La collocazione come set finale ha influito notevolmente sulla presenza del pubblico: dopo un’ora molti hanno preso la via di casa o del campeggio, alcuni sono collassati sul pavimento e altri, come un sosia di Girolami in polo a righe davanti a me, ciondolavano senza forza comunque apprezzando. Quando Carpates è sembrata terminare è partito anche un applauso e per tutta risposta JuJu l’ha fatta riprendere centrifugandola con Smoking Kills e proseguendo fino alle acque di Nazareth per un ulteriore quarto d’ora, chiuso da un pezzo lento che non ho riconosciuto (pass (o dance) the night away nel ritornello cantato da voce di donna o di uomo pitchato). Alla fine dopo il solito rumore di seghe elettriche arrugginite, è partito dal pubblico un provocatorio po poppo po popo po, mentre io mi giravo dalla poltrona gommosa dove avevo passato gli ultimi dieci minuti e mi accorgevo che fuori la luce era già alta e grigia ed era ora di ripartire in macchina verso sud.

14.7.06

Let’s make a trip and dance to Death From Above (nel senso di DFA)

Qui si è in partenza verso l’imperdibile serata di sabato ad Elettrowave. Il tempo di completare la formazione con una sosta a Roma e poi la crociata potrà continuare con The Juan Maclean, Shit Robot, Tim ‘Beats In Space’ Sweeney e soprattutto la bedroom-disco dei Justice. Chissà se si imbucherà anche James Murphy, il giorno dopo in Corsica con gli Hot Chip (Hot Chip in Corsica?! E non si poteva averli sul mainstage al posto della Bandabardò?). Grande rammarico perché stasera ci si perderà Erol Alkan: di certo non si sarebbe atteso il pezzo che ha prodotto per i Long Blondes (appena qualche coro Bugged In e la ritmica con la bacchetta come firma), quanto l’ormai famigerata versione psichedelica estesa di Young Folks di Pete, Bjorn and John col suo progetto Beyond The Wizards Sleeve. Comunque, domani sera potrete riconoscere il sottoscritto dalla sua amata maglietta ‘Break Dance’ e dall’andatura incespicante dovuta a inesplicabili e misteriosi acciacchi. In the basement that’s where I’m gonna stay, e chi non viene è buono solo per Veronika Logan.



(movimenti previsti durante il pezzo:
- pizzica tarantolata
- (h)e(a)d banging come a un concerto dei Nazareth
- gamba sì gamba no sul posto come in Flashdance (meniac, meniac, on the dansflo)
- la coreografia di Ciuri Ciuri imparata alle elementari)

7.7.06

Metti un SJ Esau a cena

Domanda scema: ma se ti arriva l’avviso di un concerto in una trattoria e non viene specificato l’orario, cosa fai, ti presenti all’ora di cena?

Ephiphany Coming Through The Wall - SJ Esau

5.7.06

C’è dell’acido in Danimarca

(ovvero l’angolo della spudorata autocelebrazione europop)

Quando su queste pagine faccio uscire un mio mash-up non sono mai troppo serio. In primo luogo perché per carenza di tempo e tecnica mi fermo quasi sempra alla fase “abbozzo di partenza”, in secondo perché la mia cialtronaggine ha quasi sempre la meglio sul proposito di fare qualcosa di ordinato. In realtà il movente è spesso un altro: evidenziare possibilità e connessioni nascoste, segnalare senza parole suoni che mi hanno colpito o imbastire situazioni comiche sull’immondizia di attualità. È stato stranissimo allora oggi quando dalla lettura delle statistiche ho scoperto che in Danimarca una dj, Djuna Barnes, suona il mio mash-up di Riot In Belgium e The Whitest Boy Alive e lo ha inserito nella sua classifica di Giugno. E tutto questo senza essere neanche amici su Myspace!

Se ne parlava? Arieccolo!
The Acid Never Inflates (Gelatina di Agrumi maxcar mix) - The Whitest Boy In Belgium

4.7.06

La Femme D'Or

Cio D’Or è una dj. Potrebbero seguire le solite banalità su genere e dj, ma ve le risparmio. Cio D’Or è una donna inquietante, anzitutto. Per quanto le foto che circolano la mostrino in maniera codificata (bianco e nero, baricentrica espressione tra Crudelia Demon, inquietudine bergmaniana e morbosità à la Fassbinder), per quanto ostenti sempre e comunque un bocchino da sigaretta e sia circondata da scenografici vapori di nicotina, Cio D’Or è per davvero un oscuro fantasma. Chi l’ha vista in giro, ha descritto la sua espressione come aspra e scontrosa, non necessariamente in senso negativo. Persino nelle foto promozionali più ammiccanti, c’è un sottotesto angosciante, quasi che il fantasma Cio D’Or pregusti il momento in cui ci farà tutti a pezzettini, come quando in Lichtblick una convenzionale progressione techno è minacciata per tre volte da ronzanti tenebre bianche. Un consiglio però per lei, sperando che non venga a grattuggiarmi i piedi di notte: licenzi chi le scrive le sinossi pseudo new-age dei suoi pezzi.

3.7.06

Broken Social Twee

Cosa ci fa nella stessa canzone un crescendo post rock di quelli alla Godspeed You! Black Emperor, una ritmica+chitarra scioccamente danzereccia come nei peggiori Killers, le vocine coi campanellini alla Architecture in Helsinki, un cantante che sembra preso in prestito dal peggiore dei gruppi brit da pub e una manciata di soliti indie-slogan? No, non è una barzelletta, sono Los Campesinos! (col punto esclamativo, guarda caso). Usciremo vivi anche da questo?