22.2.08

Di sGuincho

Non credevo che a febbraio 2008 una recensione positiva di Pitchfork muovesse ancora le ricerche su internet.

20.2.08

Avevamo un conto in sospeso (e forse ce lo abbiamo ancora)

Avevamo un conto in sospeso. Quel venerdì sera di metà Agosto a Stoccolma i Black Devil Disco Club suonavano dal vivo e invece altrove tu tenevi interminabilmente a mezza altezza la tua unica birra omaggio, mentre ascoltavi zitto i tuoi amici stranieri. Per ore. Io scoprivo che in Svezia, a differenza che in Italia, puoi vedere in trasparenza attraverso un bicchiere di vino rosso. Per ingannare il tempo in attesa del tuo dj set passavo da una Jimmy sulla pista principale alla Rozzalla (‘Faith in the power of LOVE’) nella sala revival-non-siamo-svedesi-per-caso. Condivo il tutto con un hamburguesa (il bello delle discoteche svedesi estive) e con una Nastro Azzurro (‘Sì, ma avete una birra appena un po’ più forte?! Yeah, Nastroh Azzouroh’). La tua birra era ancora a mezz’altezza. Tu hai messo sei pezzi in croce. SEI ES DRUM. Sei pezzi che tu avevi utilizzato nei tuoi dischi, ma sei dannatissimi pezzi. Sei andato a mettere i dischi con una custodia da dieci, cazzo. Poi hai pure avuto il coraggio di andartene via su un taxi nero. You killed the party again, Goddam. Goddam.



Avevamo un conto in sospeso. Dovevamo eiaculare il nostro amore per Arthur Russell, a Ferragosto. Anteprima del documentario, anteprima dell’EP. Tu, Victoria Bergsman, Verity Sussman e Joel Gibb. Io non avevo capito i manifesti e non volevo chiedere. La tua bassista mi dava lo zucchero filato. I due cantavano i pezzi di Arthur da soli, due o tre pezzi degli Hidden Cameras, due pezzi delle Electralane. Due volte You Can Make Me Feel Better. Poi mi hanno spiegato del rimborso. Il volo decollava prima. Il giorno dopo, quando chiedevo anticipatamente il rimborso per un questione di principio, tu attraversavi la Kulturhuset con un bustone blu dell’Ikea e non sembravi malato. Cosa ci tenevi dentro, l’attrezzatura per lo zucchero filato?



Avevamo un conto in sospeso (e forse ce lo abbiamo ancora). Soprattutto ora che non siamo in vacanza, tu ripeti la solita storia che tra un po’ (dopo la fine del concerto) ci canterai il resto, ed è l’una e fuori fanno due gradi sotto zero. Avevamo un conto in sospeso, ma io domani lavoro e non ho voglia di raccontarti tutto e torno a casa. La casa dell’Azienda. Goddam. Goddam.



P.S.: mille grazie ai LeGo mY eGo: Niobe di Caribou è da sogno per introdurre un concerto. Purtroppo quelli sono andati per le lunghe. Forse anche Strange Things Will Happen avrebbe avuto il suo senso. Sui Magnetic Fields ho capito che bisognava attendere. Subito dopo mi hanno esclamato nelle orecchie “I Postal Service!!!”, ma cazzo, dovevate urlarmi prima “Caribou!”. Invece si è iniziato con i Books più Prefuse ’73 (a meno che non mi sia confuso). Caribou, Caribou, Caribou. Goddam, Goddam.

E non se ne possono restare

Una delle cose che ho sempre invidiato ad altri che come me provano a raccontare il piacere di ascoltare uno che mette i dischi è l’esperienza della durata infinita. Quei set che iniziano alle tre e finiscono alle nove di mattina, che sono discorsi che non basta un mp3 a raccontarli. Stava per succedere venerdì scorso e non a Milano con il coincidente Villalobos, ma a Torino con Solomun. Su un’intelaiatura di techno non troppo pippotica e mai fredda o cattiva, il bosniaco spargeva ogni tanto sprazzi melodici come il C#1 Movement Remix di Tides di Beanfield o il bootleg della chiacchieratissima Enfants (celo, ma Sei Es Drum rischia alla nascita di configurarsi come l’etichetta dei tools di Ricardo). Soprattutto si adoperava con fare da dj e non come un produttore che spende a questo modo la sua fama. Per farla breve, dopo le consuete due ore di set Solomun si concedeva una ventina di minuti di pausa per poi riprendere in mano la pista che non si era svuotata. Già pregustavo il sole sul Po, quando dopo una risicata mezzora una mano infausta abbassava il volume e i BPM. Se non altro avevo avuto il tempo di gustare su un impianto appropriato, il gusto pizzicagnolo di Solomun, hommo capace di vestire la maglietta del mercato sulla canottiera del mercato. [Collane d’oro not included]


Feuervogel - Solomun And Stimmung

19.2.08

Jens fa surf

Inizia dicendo: “Questa è una canzone sul chiudere con tutta la merda che”. Più avanti solleva il dito medio al cielo. Certo ora ha uno che gli lancia la drum machine, ma…

12.2.08

Packs Of Dear

Il dj set barese di Matthew Dear as Audion ha soddisfatto tutte le aspettative della vigilia, smontandole una a una. Si attendevano montagne russe di crescendo e precipizi ai limiti della sostenibilità e invece il set ha compresso quantità energetiche via via crescenti giocando più sulle densità che sui picchi. I filmati della data romana di dicembre lasciavano intendere l’impiego dei singoloni e dei popolari remix per scatenare la folla e invece il buon Matthew ha incrociato con due piatti, manopole e MAC inediti, pezzi vecchi e techno altrui, ricreando comunque l’atmosfera ai limiti del nome Audion. Le prime file continuavano a indicare le labbra con l’indice e la sua concessione è stata appena un accenno a basso profilo della rilettura Mund Zu Mund. La sua faccia tranquilla, sorridente e attenta e il saluto gentile alla fine (felice come un bambino di dieci anni che torna a casa dalla partitella pomeridiana giù in cortile) rimandavano più all’immaginario di un Sufjan Stevens, che al disturbante labirinto oscuro audionesco. Inquietante anche questo, a suo modo.


Bees Please - Matthew Dear (As Audion?)

3.2.08

Bonanza

Ieri sera a Bari si poteva scegliere se andare a sentire Alex Smoke o Dave Mancuso e la sensazione (in piccolissima scala) era di quelle che, immaginavo, avrei provato solo a Londra, o Bologna. L’offerta e la libertà di scelta – (e il ‘tanto poi è molto probabile che tornino’) – si sono quindi tradotte in un turno di riposo casalingo a base di spiedini di ‘nghimiridd e braciolette di agnello alla griglia*, cannonau e un telefilm che non si può nominare (e non è Bonanza). Perché qui già si stanno raccogliendo le forze per il dj set barese di Audion, sabato prossimo.

* appurato che chi viene a Bari per un concerto indie viene portato in osteria (soprattutto VeC), ci si chiede: anche Matthew Dear sceglierà nel menù completo a base di patate, riso e cozze, fave e cicoria, polpo arrosto e braciola di cavallo al sugo?


Olga Dancekowski (Audion Paradise Cafe Mix) - Matt John