31.1.05

Freezepop




Il sottoscritto partecipa al Frigidaire Contest
(clicca sul banner per vedere il mio frigorifero)

What the world (outside Hungary) needs now


Vilmos e video di pubblicità ungheresi anni Ottanta.

The weekend never starts round here



I
Da Feltrinelli per l’imbarazzante scioccheis di Lello Voce. Discussioni neutre su poesiamusica, artepolitica e Creative Commons anticipano l’inanticipabile. Lello Voce si soffia continuamente il naso rosso e si lamenta della sua voce, scusandosi per il gioco di parole. Introduce il pezzo che reciterà parlando di Carlo (sic, per il fatto di chiamarlo per nome) e del fatto che “Io ho fatto una controinchiesta, eh. Sono io che ho scoperto che in macchina non è stato Placanica a sparare”. Vabbè, comunque di seguito all’introduzione scatta la musica, una versione malriuscita dei Recycle su Remo Remotti. Il tizio dal dubitabile e retorico gusto nella scelta delle parole urla da un impianto eccessivamente amplificato che la condanna danna la panna. Anna, mi verrebbe da dire. Una suicide girl barese scatta foto da tutti i lati mentre io trattengo a difficoltà le risate quando, con fare à la Mangoni, Lello Voce urla paillettes. Si muore di fame e di obesità. Il cd della base salta due volte e allora Lello s’inkazza e smette di “cantare”. In un gesto di estrema protesta degno di Alberto Sordi io, il blogger che oltre a detenere il dottorato detiene un soprannome in quel di Palo del Colle, e la blogger misteriosa ce ne andiamo a mangiare zampine e involtini e a bere vino della casa in una macelleria di Cisternino, serviti dal caro cameriere catastrofe dallo sguardo inebetito.

II
Bari illude quando si propone come città mediopiccola che offre quattro appuntamenti differenti in tre sere al giovin signore. Illude perché al primo del giovedì non vai causa pacco dei coinquilini (ma tanto la serata Music Boom @ Super Stone - 4 Indie Rockerz only, nel senso di soltanto quattro persone presenti, non si è tenuta causa indisposizione di uno dei digeis). Illude perché al secondo nju-ueiv del venerdì non vai causa raptus alcoolico-culinario (ma tanto gli altri che c’erano hanno detto che non c’era nessuno e figuriamoci se quel nessuno ballava). Illude perché al terzo del sabato non vai perché si è snob contro-la-braga-calata™ e perché si preferisce il quarto. Vado insomma al concerto dei Blessed Child Opera, filiazione del chitarrista degli Ulan Bator. Non c’è nessuno a parte i soliti quattro gatti e, di questi quattro, tre abbandonano prima dell’inizio ritardato dagli organizzatori nella speranza di infoltire le fila. I Blessed Child Opera si ritrovano pure a dover interrompere per dieci minuti perché la corrente non arrivava sul palco. Per la prima volta assisto a un gruppo che chiede scusa perché farà dei bis. Nel dopoconcerto davanti a una birra nera e sgasata divento vittima dei peggiori luoghi comuni da parte di una nota razzista del luogo (prrrr) relativi alle categorie a cui appartengo, dall’ingegnere al siciliano, dal (quasi)trentenne al razionale-della-vergine. Una sorta di contrappasso morettiano per la deriva albertosordiana della sera prima.

28.1.05

The ghost of all the unkissed kisses*


Un Jour Comme Un Autre – Brigitte Bardot
(con la benedizione di zio Gainsbarre)


* e si ringraziano le stelle blu tremanti per il titolo


Approssimazioni


Un giorno a quattro anni ho preso un libro da uno scaffale e sono uscito sul balcone. Era domenica, la pasta era nel forno e il sole era bianco. Sull’altro balcone c’era il mio vicino di casa, un carabiniere in pensione che aveva la faccia di quelli che hanno sempre avuto i baffi e a un certo punto, a settantanni, decidono di non volerli più. Il mio vicino di casa si chiamava signor Ferrauto e l’accento va sulla u perché a Palermo il Ferrauto con l’accento sulla a è quello che aggiusta le macchine. La moglie del signor Ferrauto è nata lo stesso giorno che sono nato io, il 14 Settembre, però un anno diverso.

Il signor Ferrauto mi chiede “Massimiliano, cosa stai leggendo”, anche se il libro era sottobraccio. E io gli rispondo tenendo la ringhiera del balcone con una mano “Fisica Nucleare”. Nucleare per me non voleva dire piccolo, era una parola che si allargava. Poi io allora non pensavo ancora all’essenza delle cose e alle approssimazioni. Non conoscevo nemmeno The Essence, ma se li sentivo pensavo che i Cure facevano uno scherzo a tutti quanti, per ogni epsilon maggiore di zero.

24.1.05

Oggi (Il malinconico chirurgo)


Searching for some legal document as the rain beat down on the hood.

99 problems: #1 (God of cookery)*


In Italia abbiamo una decina di programmi televisivi in cui si cucina abitualmente, più rubriche varie dedicate all’argomento sparse un po’ ovunque. Il mio dubbio è: chi guarda questi programmi ha cambiato modo di cucinare? Le nuove ricette vengono utilizzate per la cena di tutti i giorni o si va comunque avanti a cotolette e patatine fritte? Insomma, il cibo in televisione è solo estetica ed eventuale titillio pre-pasto?

Now playing: Tagliatelle alle castagne e funghi porcini

*prova tecnica di nuova rubrica

21.1.05

These Will Be Our Years


Beck è tornato electro. I Portishead sono di nuovo al lavoro. I Daft Punk suonano nella mia casa.
Tutto è pronto per il ritorno degli anni Novanta. Ma anche in questo caso spunterà fuori la foca con la faccia di Red Ronnie?

In sides


Più di una volta mi hanno detto che parlo dei concerti in maniera laterale. Trovo che sia corretto per un incompetente evitare l'avventura sui terreni non propri della tecnica e dell'analisi, anche se non disdegno il facile balbettio sull'ordine delle canzoni, sulle stonature palesi, sui suoni diversi dal disco. Preferisco i particolari. Ai concerti viene fuori il mio lato osservatore, anche se in fondo mi concentro sul palco e non mi accorgo che a due metri da me c'è la futura attrice di teatro. Lustro il mio indice e vi parlo del concerto di Solex a Bari.


Ho sentito Solex per la prima volta circa due settimane fa, quando ho saputo del concerto. È stato un ascolto utile perché mi ha dato modo di riflettere su un'altra annosa questione: ti ricordi la prima volta che ascolti un disco? Perché a forza di scaricare e masterizzare e prestare e comprare oscilliamo tra l'estremo del distratto e l'estremo folgorato, passando per l'estremo dell'evento per cui non stiamo nella pelle. The Laughing Stock of Indie Rock sarà per sempre legato al momento del suo primo ascolto, al suo essere stato intimo sottofondo di una sera. A lato, altoparlante destro, altoparlante sinistro.


Solex su disco è scatoloni in vista di un trasloco, pieni sparpagliati con cui riempirai una piccola macchina. Solex dal vivo è giallo e rosso. Pur sembrando a tratti Iaia Forte che recita un bio-film sulla Tori Amos del Rogue Moog. Solex dal vivo è *movimenti di corpo = attorcigliamenti di voce*, quando batte il piede, quando si accartoccia sull'armonica, quando agita la stella coi sonagli. Corre però il rischio di essere soltanto quello, visto che è gia tutto suonato sul mac e non sembra nemmeno il solito musicista che aspetta un'e-mail importante. Due tasti di moog suonati, manopola e cursore, rotazione e traslazione.


Solex dal vivo però è anche la batterista energetica che fa le facce quando Elizabeth non muove muscolo facciale. Cambia le dinamiche ed è un toccasana per un bel concerto che avrebbe rischiato di essere freddo e involuto più che piatto. Certo è onnipresente e non sarebbe stato male che alcuni pezzi avessero mantenuto un andamento più frammentato e tenue. Ma è stata la scelta giusta del concerto e, soprattutto, ci ha fatto lo sconto sulle magliette.




Io guardo le scarpe anche se mi dà fastidio che mi si guardino le scarpe. Io non seguo chi va a fumare davanti all'uscita. Io apprezzo la versione vitaminica di Fold Your Hands Child, You Walk Like An Egyptian, di cui non ho mai capito i riferimenti del geniale titolo, i suoi uccellini e le sue zanzare, anche se alla fine lei esagera col moog. E poi p-pp-ppp-pere, aj aj ah aj aj ah. Clacson. Una canzone finisce e un ragazzo mima una chitarra con la voce.



Ferma il piatto appena colpito. Abbassa i volumi con rotazione antioraria. Fine.


Candy click


Ricordati di:

fotografare il frigo prima di cambiare casa.

(E nell’occasione spendo una parola per la cena con giancascheid dal nostro mecenate culinario preferito. La musica di sottofondo ha assunto direzioni schizofreniche condotte dal tasso alcoolico crescente fomentato da un vino inaspettatamente tosto. Per farla breve entro in casa e trovo The Hidden Cameras con Music is my boyfriend, una delle canzoni che apprezzo del disco, al punto che la metterei anche in un cddibuoncompleanno (nonsifannonomi). delio torna però indietro perché lui sceglierebbe The Fear Is On. Ormai provato, non so se più dalla musica o dalla ricetta del vodka martini according to 007, cascade di soppiatto sostituisce il disco con una compilation hardcore. Reggiamo poco, il tempo di bruschette allo strutto da party sciolto e al patè di fegato (aka spuntì), e sulla pasta coi crauti soffritti proponiamo un compromesso: Naked City. Dopo un po’ quando il cantante si è imbizzarrito, abbiamo deciso che forse anche quello era troppo per il convivio e la scelta è stata affidata a me, raccolta apocrifa di Serge Gainsbourg. Numero 5. Zuppa di polpo con patate. Palla a delio, Arto Lindsay - Noon Chill (urlo "il papà di occhialone!"). Cantucci, vin santo, crema di castagne. Per chiudere in bellezza, Iridio (ascoltateli, chiamateli dal vivo, sono amici – a lato discussione sui conflitti di interesse nel mondo musicale). Non ripetevo da così tanto tempo ‘è che siamo ingegneri’. Ho pure riservato alla tesi di cascade il trattamento che subisce ogni libro che finisce nelle mie mani per la prima volta (leggo l’ultima frase e faccio una faccia assorta). Alla fine abbiamo abbandonato delio che in crisi alcoolica sbatteva su infissi e soprammobili di porcellana.)

19.1.05

Senza zucchero


The velocity of time turns his voice into sugar water

Ieri la zona industriale esalava un odore dolciastro dalle ciminiere, uno di quegli odori che anche se tieni i finestrini chiusi in auto ti arriva dalle prese per il ricircolo dell’aria. Siamo abituati ad associare il dolce al buono, tanto che se voglio descrivere un dolce non gradevole devo farlo diventare dolciastro. Ma questo sottintende un retrogusto cattivo o un’esagerazione di dolce e ieri pomeriggio tutto questo non c’era. Non ero infastidito ma percepivo che quel dolce prima o poi mi avrebbe fatto male.

Ieri ho anche dimenticato le chewing gum in macchina. Se dimentichi le chewing gum in macchina d’inverno, quando poi ne prendi una, gli incisivi la spezzano e la dividono in due più qualche granulo del rivestimento. Se dimentichi le chewing gum in macchina d’estate, quando poi ne prendi una, quasi si scioglie in bocca e in bocca ti lascia un sapore dolciastro, senza zucchero come il dolciastro della zona industriale.

Oggi (da una lezione introduttiva a Linux)


LESS is more than MORE


17.1.05

Omeopatici cilici


Come si espia una notte passata a ballare il peggio degli ultimi trent’anni, compresa La Notte Vola di Lorella Cuccarini?
Tirando fuori gli scheletri dagli armadi e condividendoli.

Scorderai
Venderai
Tutto quello che ora sei
Se mi vuoi
Cercherai
Crederai
Capirai
Solo me vorrai
(Dolceamaro – Barbara D’Urso)

Tum Tum Tum


Per pubblicizzare l’uscita del nuovo disco di The Impossible Shapes, gruppo psych pop che ha nel cuore i miticiannisessanta, la Secretly Canadian propone il download completo di Tum, album uscito in poche copie ed esclusivamente in vinile.

The O.C. Effect


Non hai la televisione e non ti sai spiegare come mai all’improvviso gli artisti che ti piacciono diventano famosi come i Cardigans dopo l’apparizione a Beverly Hills 90210? La spiegazione c’è. Qui e qui chi beneficia dell'effetto osì.

(Sonorizza il tutto con Be still my heart, nuova b-side dei Postal Service gentilmente offerta dagli impagabili Scenestars)

14.1.05

Oggi (punteggiatura)



I wanna be the exclamation mark

Buon viaggio (e tanto spazio)


La mia amica Elisa sta per partire per Londra.
La mia amica Elisa mi ha regalato un fischietto d’argilla di Rutigliano.
Il mio fischietto d’argilla si chiama Mimesi perché le macchie sulla pancia del gatto seduto sulla mezzaluna di terracotta sono simili alla stella appesa sopra come una lampadina.
Con quel fischietto oggi fischietto per lei Parade di Kimya Dawson.

13.1.05

Musica da un mese fa


And these tales I tales I tell are tall
Every man is evil, yes, every man is a liar
Into sweet dark circles of beautiful eyes
Come into my house and we’ll pick bones

The curse of those red lips on me
I got no reason to lie to you
These are the great dust bowl days
You hold the skeleton key

Bring your blade and your gun
Everybody knows my movement in this town
Boy you lost your grip
This is your season for standin' still

Let there be no goddamn doubt


Potrei raccontare la musica che sono stato la scorsa settimana. La semplicità, quasi facilità, verdeacqua delle chitarre di On The Bus Mall dei Decemberists. Un inutile e dolce manonellamano. Potrei raccontare la musica che sarò la prossima settimana. Il passo indietro, quasi avanti, argenteo delle chitarre di Just Stand Back dei Low. Un inutile e deciso progresso. Potrei raccontare la musica che sono adesso, ma preferisco parlare della musica che ero qualche mese fa, quando preparavo la carne coi peperoni in cucina.



In Colorado c’è stato il 1981, nel febbraio 1996. Ho visto quello che ho visto. I concetti iterati sono il pane del predicatore e il vino del post-punk. Non so se si chiamano ancora saloon, ma lì il gruppo vestito di nero permuta le chitarre elettriche e metalliche con banjo e slide, anch’essi metallici, e pallidi peccatori ballano il coro dell’anima nera.

Lei ha freddo e ha la pelle da accarezzare come la schiena di un corvo nero.
Lei ha occhi e nomi diversi ad ogni sguardo e mi riporterà a casa.

La tastiera è quella di una fisarmonica. La batteria, dove non corre, è sinuosa come quella di un batterista jazz che suona country per ubriachi, per ubriacarsi anche lui a fine serata. Il violino stride. La voce scava fosse, spezza catene. Tela da sacco e cenere.

Non c’è nulla di più annichilente della fede.
Ti rende apocrifa perfino un’edizione europea.

But baby don't look down
Keep your, keep your arms around me



Questione di m-blogtiquette


Vuole l’educazione tra m-blogger che, quando qualcuno diffonde musica attraverso il proprio spazio su internet, non si debba rimandare direttamente al file ma al post dove è presente il file. Non sempre l’ho fatto. Comincio adesso, segnalandovi su Scenestars Winter In The Hamptons, anticipazione di Nashville, nuovo disco di Josh Rouse.

12.1.05

We love the city


Antonio e Milano. (Qui non si arriva ad amare la città, ma si è apprezzato)

10.1.05

7.1.05

La maglia verde


Dove non si parla di gran premio della montagna ma si scrive il classico post criptico e autoreferenziale per i cari commensali. Quella tonalità di verde l’ho scoperta io e voi siete soltanto dei copioni. E rilancio gli ascolti in mia assenza con un’ulteriore Speeding Motorcycle, sempre Daniel Johnston e Yo La Tengo, dal vivo insieme. Speeding Motorcycle che è anche la canzone-regalo di una nota blogger per il mio ventottesimo compleanno (veh, che coincidenze).

Of Angels And Angles


Oggi è proprio una bella mattina. Ringrazio àncora lo spacciatore.

Sulla spiaggia (An escapistic ode to sunburning)


Hey, hai freddo? Hey, hai passato gli ultimi due giorni col mal di gola e nonostante tutto hai dormito due ore per notte e vorresti essere sdraiato sotto il sole su una spiaggia semivuota? Hey, sei nato per sbaglio negli anni '70-'80? Ho il posto che fa per te.



Scorri le copertine di oscure orchestrine samba e bossa mentre ascolti gli mp3 della inestimabile sezione download. E scottati.


(Ascolta Homem Zero dei Brasilia Modern Six)

5.1.05

Almost Famous


Le cover spesso sono un attestato verso fonti di ispirazione o verso chi colpisce l’immaginario collettivo. Race Will Begin è un’etichetta che produce sette pollici virtuali liberamente scaricabili, secondo la licenza di libera distribuzione Creative Commons. Su RWH puoi sentire la cover glitchpop di Bus dei Radio Dept. ad opera di Mont Ventoux con la voce di Sophie Rimheden (altrove spesso legnosa, qui bambineggiante anche se vittima dell’immancabile vocoder post-Postal Service (cfr. Styrofoam)).

3.1.05

Train In Vein


Il viaggio non richiede una spiegazione ma solo dei passeggeri. I passeggeri di treni si dividono in quelli che prenotano il posto e quelli che cercano una volta su: i primi sfidano ogni volta il caso sulla scelta dei compagni di viaggio, i secondi hanno il gusto della ricerca. Io decido a seconda delle situazioni. Per esempio questa volta ho prenotato all’andata ma non al ritorno. O forse è il contrario e la prenotazione è la sicurezza di ciò che c’è quando arriva il 366esimo giorno, quella sicurezza che non devi avere in una mattina come quella del primo di Gennaio. Porto un libro da finire nel viaggio d’andata e uno che inizierò in quello di ritorno.

All’andata avevo davanti a me una ragazza dalla bellezza normanna. Le ragazze dalla bellezza normanna non sono rare a Palermo, longilinee bionde diafane dagli occhi azzurri discendenti di uno splendore multietnico che è anche il mio. La ragazza dalla bellezza normanna ha davanti a sé una copia de Il Codice Da Vinci, è alla fine del libro anche lei. Legge una pagina e si appisola. Ne legge un’altra, testa china, libro che scivola sulle gambe spiegazzando una pagina. Io fisso il finestrino e lo scorrimento di acqua-case-binariinparallelo assorto nel paesaggio piovoso con la malinconia delle otto di mattina. La ragazza dalla bellezza normanna ogni tanto mi sbircia sul riflesso del vetro con occhi che si fanno domande. Non trovando risposte prende da un sacchetto una vaschetta di macedonia e si ingozza gonfiandosi le magre guance.

Avevamo da poco superato Novara, quando alla stazione di Barcellona sono arrivate le mie cinque compagne di caso. Con fare minaccioso hanno intimato lo sfratto alla ragazza dalla bellezza normanna, che nel frattempo voltata verso di me mi guardava disperata per l’addio, o forse soltanto perché doveva spostare con sé una valigia pesantissima. Le cinque ragazze sono tre amiche più una zia e la sua amica, tutte in viaggio verso il capodanno romano. Hanno nomi strani le cinque ragazze: passi per Federica la riccia maschiaccia, vada per Domizia la lettrice della copia di fine anno di Visto, ma sulla rossa e taciturna Nancy ho cominciato a chiedermi se l’avessero chiamata così per la Reagan o per la Sinatra. La zia dal capello corto gellato si chiamava Pia e l’amica comica Pupa.

Eletto subito mascotte del gruppo (sennò come avrei mai potuto sapere i loro nomi?) ricevo un minimars in regalo e subisco un accurato terzo grado. Dopo alcune risposte Pupa mi chiede se non ho mica anche quarant’anni e non ho capito se mi ha detto questo in quanto unica caratteristica che mi mancava per essere il suo buon partito o perché nell’ultimo anno mi sono successe cose che a tanti succedono in tempi più dilatati. Per distogliere l’attenzione dai miei confronti, alla domanda sulla mia destinazione ho risposto che dopo mezzanotte avremmo ballato rock ed electro: frasi come queste hanno un effetto sicuro, senza dover scomodare l’indie.

La situazione non era però migliorata durante i discorsi che facevano tra loro. Erano giunte agli aneddoti contemplanti la cacca quando provvidenziale è arrivato lo Stretto di Messina, il traghetto, la libertà. Per mezzora. Da quel momento in poi hanno passato il viaggio alternando cibarie (avevano portato di tutto), sonnolenze e telefonate ai cellulari interrotte da gallerie in cui ricevevano informazioni sui duemila diggei che avrebbero messo i dischi alla Fiera. Foto di rito con me dotato di gesto della pace/vittoria indice-medio similgiapponese Ciao. Ciao. Auguri. Magari ci si vede sul treno del ritorno.

Il treno del ritorno parte alle 7.27 ed è vuoto. Non ho preso uno scompartimento vuoto per me, ho preso un intero vagone. Ho chiuso le tende sul corridoio, ho abbassato la tapparella davanti al finestrino. Ho spento le luci. Ho steso le poltrone e per la prima volta sono riuscito a dormire su un treno. Nessun rumore che mi desse fastidio, nemmeno il controllore che è entrato per avvisarmi che posso prendere un vagone per me, ma sarebbe meglio prendere quello più avanti di seconda classe, anch’esso vuoto. Poco prima del passaggio sullo stretto mi risveglia una telefonata e allora salgo sul ponte del traghetto e fisso le coste assorto, senza un pensiero esatto o compiuto nel mio assortimento.

We’re not deep (babapappapapà ba ba ba baaa)*

Nel frattempo tra queste dodici ore, altre dodici ore di belle facce, corse e musica che non ricordo. Non avrei potuto passarlo senza i veri e propri fratelli che mi sono stati vicini quest’anno durante i miei spostamenti sconclusionati. E comunque sarebbe stato infinitamente meno divertente senza gli altri cari, Benty, il gigante buono che ci ha guidati alla rivolta contro i matusa della metro, Enver il genio, dagli occhiali bianchi al pippobaudismo più anni ottanta che puoi immaginare e se non sei convinto del suo genio è soltanto perché non hai l’esclusiva compila in tiratura limitata per i protagonisti della serata che contiene un delirante e gustosissimo megamix che non vi sto a dire e la citazione clintoniana di fine anno, Fio, che insieme a me si dissociava felice dai brindisi anti-2004, Mammara, beatamente sdraiato durante Caparezza e miniera di racconti come quando ha parlato della partita di calcio con gli Housemartins, Max-IBDD, che reggeva poco alcune derive canore mosse dall’alcool ed ero d’accordo con lui fino a quando però non siamo finiti sugli ABBA (e non mi si tocchino gli ABBA).

La prima parte della serata è stata ambientata curiosamente in quei luoghi dove un anno e mezzo fa andavo a cambiare la mia vita. Terminata la festa alcolica con l'immancabile (dolceconretrogusto)amaro San Simone sui gradini di una strada frequentata solo da gente che cercava altre strade, ci siamo mossi in metrò verso Cinecittà. Ora, siccome sono figo, tacerò dei cori sulla metrò e ricorderò soltanto come ci avvicinassimo all’obiettivo cantando l’omonima canzone dei Baustelle. Poi siamo andati a ballare. Nel locale Fake, nomenomen, mi hanno fottuto l’unica spilletta che indoss(av)o sullo zaino (quella dei polaroidi) e ho perso la mia amata sciarpa. Ho ballato tutto il tempo con un’altra Fiorenza, (coincidenza, ma quante Fiorenze ci sono in Italia?), chimica dottoranda per giunta di Bari (a questo punto ho urlato al complotto e ho schivato un treppiedi). Alle sei di mattina eravamo diretti verso la stazione, ma non avrei potuto prendere il treno se non mi fossi fatto riprendere prima dalle telecamere durante il cappuccino.

* ebbene sì io avrei messo quella se avessi messo dischi