31.10.04

Quattro giorni prima che le cose (ti) cambino


Giovedì, concerto: Il gruppo con gli occhiali strani
Il mio secondo concerto jazz-core in meno di un mese mi conferma che il genere riesce bene quando lo scherzo e il gioco evitano gli effetti nefasti di una miscela cervellotica. Gli Bzbzueu (se vuoi sentire, sentili) leggono da un foglietto tra un pezzo e l’altro, ma secondo me sul foglietto non ci sono i nomi delle canzoni, c’è scritto quando devono mettersi gli occhiali strani. La loro sassofonista ogni tanto suonava contro un angolo, come se fosse in castigo, dando le spalle al microfono: più che a una ricercata trovata sul rapporto artista-pubblico, mi ha fatto pensare ai ragazzini che ripetono la poesia a bassa voce prima di dirla davanti a tutti. Alla fine un divertentissimo punkabbestia barese ha cercato di riportare il gruppo sul palco per una canzone al grido di “Eddai, fatene un’altra, così la registro sul cellulare”.
Nell’antefatto del concerto si è discusso di tutto un po’. Io e un indieblogger sodale del quale non rivelerò il nome nemmeno sotto tortura abbiamo sparlato in tono cospiratorio degli Offlaga Disco Pax. Tantissime ragazze parlavano in tedesco.Ah, a proposito, quando delio parla in tedesco pronuncia le parole italiane come le pronuncerebbe un tedesco. Io invece sono quello che: mi viene presentata una ragazza di Dortmund, lei mi chiede se conosco Dortmund e io rispondo “Certo, Borussia Dortmund”.
Il giorno dopo una ragazza che lavora dove porto avanti il mio master mi ha invitato a ballare latino-americano. E invece

Venerdì, cinema: Film-acher / L’autunno del nostro discontento
Peggio di una ragazza che ti invita a ballare latino-americano c’è una ragazza che sostiene la necessità di una serata più varia, un po’ latino-americano, un po’ house e un po’ divertentismo. Il divertentismo come genere codificato esiste solo a Bari, ma se siete milanesi potete immaginarlo come il sabato sera al Loolapaloosa sul tardi (quando sono già tutti ubriachi) o il venerdì sera al C-Side ex Propaganda (lì ci vanno i trentenni-quarantenni e loro il divertentismo lo reggono anche da sobri). E invece io ho preferito il cinema etn(ord)ico disadatattato.
Alla rassegna Filmaker hanno dato dei titoli alle giornate: la prima si intitola L’inverno del nostro discontento ovvero film su gente che ha freddo e per questo se ne vuole andare da dove abita. Capita a fagiuolo, tranne che siamo in autunno e qui si gira ancora con le maniche corte. Nonostante delio abbia sostenuto via mail la spendibilità del film tagiko d’apertura in una possibile futura conversazione colta, ho preferito attardarmi a casa per una cotoletta. Non so perché ma associo alla parola “tagiko” le pernacchiette fatte con l’ascella. Venite anche voi in Tagikistan, il paese delle pernacchiette fatte con l’ascella!

Il secondo film è Lilja 4-Ever, svedese ambientato in Russia e Svezia. Avevo apprezzato in passato la mano leggera con cui Lukas Moodysson descriveva il disagio giovanile. In L4E invece Moodysson non ne azzecca una. In sintesi il film segue le vicende di una sedicenne russa fan delle T.A.T.U. non brava a scuola che viene abbandonata dalla madre, che è costretta dalla zia a vivere in un tugurio, che sniffa colla e beve sciroppo per la tosse, che inizia a prostituirsi, che viene violentata da un cliente, che trova un fidanzatino che la fa andare in Svezia non prima che la violentino alcuni ragazzi del quartiere, che in Svezia scopre di essere stata venduta dal fidanzatino come schiava sessuale per vecchi deformi e che alla fine si suicida. Per dare un’idea, a un certo punto Lilja regala un pallone da basket a Volodja, amichetto maltrattato dai genitori e futuro suicida per suo amore: il giorno dopo il padre di Volodja taglia in due il pallone senza alcun motivo. Vi giuro che a un certo punto mi aspettavo che in puro stile surrealista Moodysson facesse entrare qualcuno in sala che dicesse “Lilja, non hai pagato il biglietto, vai fuori dalle balle!”.
Lontano dalla poetica della sfiga di Von Trier, il regista in un primo tempo si affida alla cazzimma documentaristica, adottando i precetti del Dogma solo per tratteggiare i personaggi: la povertà culturale-materiale viene resa con non-recitazione, non-battute e una piattezza fastidiosa almeno quanto gli zoom sulle facce dei personaggi. Meritevoli invece le citazioni dei video di musica techno russa durante le sniffate di colla. In un secondo tempo, preso dal suo intento di denuncia, Moodysson spinge in maniera sempre più estrema la violenza affiancando a questo un binario che nemmeno l’autore medio di una fiction RAI oserebbe pensare: l’amichetto suicida che torna in forma di angelo con tanto di ali erette. Taccio sulla scritta alla fine del film. Dopo un’ora e mezza di simile strazio apprezzerei qualunque cosa.

E il qualunque cosa si presenta sotto la forma di Noi Albinoi, film islandese su un giovane albino disadattato. Se conoscete musicalmente un po’ l’Islanda, la troverete fedelmente riprodotta qui: freddo dal punto di vista visivo, ma delicato; introspettivo di minimo e superfici. La svolta finale e due o tre scene da comica lo elevano al di sopra del remake nordico di Forrest Gump. La colonna sonora originale ricalca i piacevoli dilatati di certi Sigur Rós e quando si entra in macchina con Noi troverete di tutto, dal reggae al death metal. Menzione anche per la bellezza della protagonista femminile (era una cosa che avevo sempre sognato di dire (non intendo la nonna)).

I due film avevano un nome nel titolo e descrivevano anche dei luoghi. Questo mi ha fatto pensare una cosa. Io non so descrivere le persone che ho conosciuto e i luoghi che ho visitato. Deve essere una sorta di vendetta storica del destino nei confronti della mia abilità nel giocare a nomicosecittà. Durante il ritorno a casa ho beccato su Radio3 una gustosa diretta del concerto dei Pan Sonic e ho girato a vuoto in macchina finché non è finito. Il giorno dopo la rassegna è continuata con la giornata Le Regole Dell’Attrazione, piatto forte il film La Moglie Dell’Avvocato. E invece

Sabato, discoteca: Istuest
Ma gli Zerozen li ricordiamo solo io e Red Ronnie? E invece siamo andati in un posto il cui anagramma è Zerozen a vedere Richard Dorfmeister mettere i dischi. C’è qualcosa di sbagliato in ciò, non si va a vedere il set di un dj: un dj o ti fa ballare o si occupa del sottofondo per le tue chiacchiere. I pochi che sono andati lì per vedere Dorfmeister si potevano riconoscere perché, dopo essersi salutati tutti tra di loro, stavano immobili rivolti verso la consolle, commentando ogni tanto col vicino. Intorno, gente vestita con altre (dubbie?) velocità, danzava incurante. Non so se ricordate, ma a me tutto questo rimandava al bellissimo quinto pezzo del secondo cd delle K&D Sessions, Boogie Woogie, quello che il Windows Media Player chiama in maniera incorretta Eastwest [Stoned Together]: gente che va al rallentatore circondata da mucchietti ipercinetici, come in un pessimo video musicale. Fatto sta che Dorfmeister, lì insieme a uno dei Madrid De Los Qualcosas, invece di fare Dorfmeister ha messo una selezione di piatta house music (no, delio, le ultime cagate riminesi sono ben altre cagate). A Dorfmà, ma quant’eri figo su la copertina der g-stonato e quanto ce pari un chiatto turista austriaco in vacanza, mo’. Il dramma però è che io avrei anche ballato se non fosse stato lui (ehm, c’ho lo stomaco un po’ forte, forse). Il giorno dopo c’è stato il concerto di Patti Smith a Bitritto, che sarei andato a vedere perché non sono l’indieblogger che mi dipingono, signora mia. E invece

Domenica, treno: Meet Next Life
E invece ho preso un treno. Quando vuoi essere conscio e sicuro di fare una scelta, prendi un treno. Sembra lo slogan di una pessima pubblicità, anche perché potresti prendere benissimo un aereo, una nave o la tua macchina per quella cacchio di scelta. Però il treno è funzionale alla scelta perché non ti fa dormire, perché dilata le distanze e ti vengono in mente i pro e i contro. In aereo è diverso, forse è simile soltanto quando non danno i cracker e il succo d’ananas a metà viaggio. Sul treno però non sono riuscito a fare niente di quello che avevo in mente: la lucetta personale del compartimento era rotta e non ho letto quello che volevo leggere. Ho dimenticato le batterie ricaricabili nel caricatore e non sono riuscito a canticchiare Ticket Out Of Town di Styrofoam prima di partire (phew che fortuna, non ho ancora capito quello che dice).

Lunedì, colloquio: Epilogo
Sono diventato un progettista elettronico e in contemporanea un uditore esterno del master che stavo frequentando. Posso decidere se fare per un’ora lo straordinario o no. Starò a Bari per un po’, forse ogni tanto mi potrebbe capitare di fare un salto a Torino. Mi hanno fatto fare anche il passaporto per ogni evenienza. Perderò qualche concerto che avevo in mente di vedere durante novembre e dicembre. Io però i Decemberists me li vado a vedere lo stesso, a Firenze.

20.10.04

Il lamento del legionario / Ho combattuto una guerra


Qualcuno diceva che la diaristica è il rifugio del pessimo scrittore. Va bene all’inizio, ma se poi non hai una vita elevata a forma d’arte tendi ad annoiare e se non annoi è solo perché la peste dei nostri giorni è il riconoscersi nei personaggi, nelle canzoni, persino negli oggetti a volte.

È ipocrita la frase ‘scrivo per me’: sono in pubblico e se vado sul personale non sono diverso dagli ospiti di C’è Posta Per Te. Uso il mio personale, con molta o poca grazia, per uno scopo. Quale scopo? Fare apprezzare quello che apprezzo? Raccontare la mia immagine distorta a chi non mi conosce? Diventare ricco con tutto ciò? Il vero unico diario è quello conosciuto alla morte dello scrittore.

In tutto questo si inserisce la due giorni che aprirà la prossima mia settimana. Si va a crescere un po’ di più di quanto si è cresciuti, si spera. Si prende un bestione di ferro che toccherà in maniera scaramantica tutti i luoghi importanti di questi mesi, Baribolognamilanotorino, accompagnati dalla scimmietta che suona la musette e che ondeggia la testa a destra e a sinistra. E poi si ritorna indietro in attesa di una risposta, come sempre. Si.

Andrò senza la cravatta che volevo. Volevo una cravatta che non fosse più larga del mio viso, che potessi indossare tuttiigiorni e che non si comprasse in uno di quei negozi con Prada scritto sull’insegna. Non l’ho trovata. Andrò e quella sera non potrò vedere Patti Smith al Palatour di Bitritto. Peccato. Ero così eccitato dall’idea di raccontare un giorno ai miei nipoti di aver visto un concerto al Palatour di Bitritto. Be back again.

19.10.04

Expectations or exploitations?


Lisa, il ragazzino del circo, la volpe nella neve e tutti gli altri nei fumetti dei Belle And Sebastian?

18.10.04

Gabbiani svedesi


Un giorno perso a cercare l’mp3 di Ett Liv I Solen di Anni-Frid Lingstad. E ho trovato solo i trenta secondi iniziali.

15.10.04

Incompreso


----- Original Message -----
From: EIDOS
To: ffwd76@vene.ws
Sent: Friday, October 15, 2004 12:00 AM
Subject: Corso Gratuito per maxcar.blogspot.com

eidos

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Lo staff di Eidos Communication

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #10


Niente. Non è successo niente. […]. O qualcosa del genere.

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #9


Nell’appartamento vuoto suono la seconda canzone che ho imparato. The world is full of noise, yeah

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #8


Potevo sentire i Kings Of Convenience nella mia città, in un ambiente raccolto, insieme a un numero discreto di persone, pagando 3 euro. Li sentirò qui, in un palasport con l’acustica di un palasport, circondato da gente vociante, pagando 20 euro. Not exactly The Luckiest Guy On The Lower East Side.

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #7


C’è chi ha la maglietta dello scazzo. Io invece ho proprio la faccia dello scazzo.

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #6


L’altro ieri non sono andato al cinema a vedere il film di Almodovar e alle undici mi sono rifugiato sotto i miei plaid anni settanta. Ieri non sono andato al concerto di Black Forest/Black Sea e alle undici mi sono rifugiato sotto i miei plaid anni settanta. Oggi non andrò a vedere Hero e i miei plaid anni settanta mi reclamano già dalle undici di mattina.

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #5


Curioso come ragazzi tra i ventisei e i ventinove ripetano dinamiche fantozziane nell’organizzazione del tempo libero.

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #4


I’m never gonna dance bad music again. (seee, non ci crede nessuno)

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #3


Tarda mattina di domenica: un mio vicino di casa ricarica il camper dal suo appartamento.

Ricarica

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #2


Tardo pomeriggio di domenica, non chiamiamolo tramonto. Abbasso i finestrini e respiro il co2 della marmellata di traffico all’uscita del parcheggio dell’Ipercoop. Il silenzio di Thalia Zedek è stato qui e se n’è andato (tnx delio).

Dieci piccoli post figli dello scazzo: #1


Oggi: Pane e spleen.

13.10.04

El Mariachi


Ieri ho deciso di imparare a suonare. Non ho deciso di imparare a suonare uno strumento, ho deciso di imparare a suonare le canzoni di un unico disco. Uno dei miei coinquilini, Marco, ha una chitarra classica Eko ed è rinomato perché sa suonare bene i primi quaranta secondi di tutte le canzoni che conosce. Tra i soprannomi che gli ho affibbiato l’ultimo in ordine di tempo è falò interruptus. Marco è un traviato, ascoltava già buona musica ma adesso gira in macchina con i cd dei Radio Dept., dei Kings Of Convenience, di Belle & Seb e si interroga su come possano essere le versioni originali dei pezzi meno noti di Nouvelle Vague. In casa abbiamo anche la chitarra acustica Ibanez di Fabrizio, il coinquilino ispanocentrico di sinistra dell’Opus Dei. Fabrizio vuole imparare a suonare solo La Canzone Del Sole e ha chiesto aiuto pure lui a Marco.

In una mattinata rilassata ho trovato soltanto tre tablature, contenenti peraltro anche qualche imprecisione. Forse è difficile e anche inutile distillare dal magma gli accordi, ma sono testardo e credo che quelle canzoni siano fatte per essere suonate anche in altri modi, anche ispanocentrici: nella fatta ispecie l’altro modo in questione è “seduti in due con le spalle appoggiate sull’intonaco grezzo e la notte intorno”. Le corde appena sfiorate. Lo sguardo che saltella sui mattoni ruvidi, sul punto più distante che riesco a vedere e sulle mani, non le mie perché non devo vederle mentre suono.

Avevamo solo cinque minuti prima di uscire e ho imparato ad avere tra le mani una mitragliatrice. So suonarla nonostante la mia idiosincrasia verso il barrè: quando arriva quel momento suono solo le corde centrali, almeno finché non supero il mio odio verso quella forma di tortura al dito indice. Mettere le mani sulle corde ti svela lati nascosti delle canzoni che ami: la mitragliatrice è fatta di dita che scelgono una posizione e poi una si alza e va via o cambia posto.

Di sera uno dei tizi del posto che bazzico per vivere inaugurava casa. Dopo la pizza due chitarre celebravano il trito rito che appesta le spiagge nelle notti d’agosto, senza il conforto venefico della puzza di bruciato. Con lo sguardo sbarrato assistevo all’esecuzione dell’intero songbook di Ligabue sulla chitarra che aveva visto muovere i miei primi passi. In un solo colpo si vanificava il mio proposito di evitare per il futuro tutto ciò che va contro i miei gusti (anche se il proposito contemplava una seconda parte che lo completava). Era come se, nella stessa serata, avessi perso la verginità e mi fossi beccato l’AIDS.

11.10.04

Le Immagini Mentono: Caldobagno


[Inserisci titolo del disco] è come una doccia in un bagno dove l’acqua calda arriva da uno scaldabagno. L’acqua scende calda e tu sei lì sotto, nudo come un verme. Ma l’acqua calda finisce, ottanta litri, e per quanto lo scaldabagno provi a riscaldare altra acqua, i rubinetti chiedono troppo. Tu chiedi troppo, lì da trenta minuti. E allora la temperatura si abbassa, non lo senti subito, te ne accorgi dalla pelle che a poco a poco si arriccia e dalle gocce che solcano la condensa sulle pareti del box doccia. E quando tremi è troppo tardi, perché hai chiesto troppo a [inserisci titolo del disco], ma la colpa è un po’ anche sua.

Una campagna di inutile sensibilizzazione:
‘Le Immagini Mentono’


Non ho tempo per scrivere perché scrivo altro e, forse, se lo avessi avuto non lo avrei impiegato. Il tutto si incrocia col mio, momentaneo spero, risentimento verso tutto ciò che mi circonda: in un’ottica pan-di-stelle (visto che panteistica mi sembra esagerato) il risentimento verso gli altri e verso la città che ora mi accoglie non è altro che una proiezione del risentimento che provo verso me stesso.
Nello splendore della condizione che mi pervade e che, per mia iniqua e gratuita cattiveria, non risparmia chi mi ha incrociato negli ultimi due giorni – ma domenica ho scelto di non vedere anima conosciuta per ventiquattrore – sono stato colto da un ripple nichilista. Ora, molti di voi ignoreranno il significato tecnico di ripple e si chiederanno perché non ho utilizzato il termine italiano. Credo che non ci sia. E visto che stiamo sviando, la derivata del jerk non ha un nome codificato e tutti la chiamano con un monosillabo differente.

Comunque.

Comunque sto facendo i conti col piacere di scrivere e con le mie cattive abitudini. Una di queste è lo smodato uso di immagini per descrivere la musica. Non dico che sia sbagliato, ma è un trucco che rende tutto più facile e che a volte ci allontana dalla musica, se non ci rende ridicoli. Per questo quando mi verrà in mente un’immagine con cui potrei descrivere un suono la getterò via, la brucerò come una fotografia.

1.10.04

Waves At Play


I just lost it for a while

Today Futures (M-eno male che c’ho gli m-blog)


Faster than they did yesterday

Costretto da una connessione iper-veloce, con barriere architettoniche. Che poi ci sono riuscito e Soulseek ha superato tutte le protezioni e scarica alla fantasmagorica velocità di 0.1 Kb/s (= any decent socks5 proxy?). E allora ci si rituffa nel mondo degli m-blog e capita che in mezz’ora scarico mezz’ogiga di mp3 di gruppi fino a quel momento sconosciuti o di nuggets. Mi chiedo se sentirò mai il disco intero di questi carneadi, mi chiedo anche se sentirò il singolo mp3. Un altro livello, forse anche oltre quello del p2p: è l’esplosione del sistema. Ho vicini di casa che suonano in cantina, in cameretta o in parrocchia persino a Turku. Io alzo le mani e mi arrendo.
In tutto questo spesso rimane attaccata alla rete a strascico solo la fuffa. E forse è giusto così, mi sono pure stufato di decidere. Controllo ogni giorno le cover strane. Accolgo con un sorriso mattutino la citazione australiana di Gianni Nannini su Fat Planet. E vorrei che fosse già Natale, anzi Capodanno, per chiudere un mio set con Miracle On Threadneedle Street. E tutti che ballano.