26.9.06

When Pop Heavily Rotates (Corsi e Ricorsi)

No, non è una cover degli Abba, ma il nuovo singolo dei Numeri Magici (ah, quei coretti: quanti ricordi)
Take A Chance - The Magic Numbers

Patrick Wolf che nel nuovo singolo parla di disgrazie scrollandosi di dosso il melodramma sta quasi dalle parti degli Architecture in Helsinki che duettano con un vecchio glam (trombetta style)
Accidents and Emergency - Patrick Wolf

Pietro, Biorno e Giovanni go dark. (tchk tchk tch, thck tchk tch)
Chills - Peter Bjorn And John

Non posso smentirmi. Progetto parallelo disco di Alex ‘Boys Noize’ Kid. (disco brillantini sulle guance inclusi)
Donnerstag - 909d1sco

25.9.06

Satur(ate)day (con coda provinciale)

C’è poca gente, mi dico. Tutti a vedere Peaches o Rapture, mi rispondo. Sì, ma Peaches era venerdì e i Rapture sono domani sera. Forse a Milano non sono abituati ai concerti nel fine settimana, figuriamoci a tre concerti degni di nota nel fine settimana. Troppo poco indie per il pubblico rock e troppo pop per chi si intrippa di elettronica? Aggiungi anche che sono i meno modaioli. Gli Hot Chip a forza di fare dance debole sono diventati l’anello debole, insomma? Se non altro ci evitiamo le modelle che ti avrebbero pestato i piedi coi tacchi a spillo e ostruito la vista con le loro spalline, nonché i personaggi dalla sessualità disturbata che ti avrebbero strusciato addosso vibratori pelosi (disturbata dato che per scegliere te come obiettivo di vibrazione bisogna essere disturbati). Smettila di farti domande e di risponderti da solo. Ok.

Gli Hot Chip sono disposti in fila, da quello che canta e suona i tamburelli, a quello che fa partire il playback. Esteticamente non tradiscono sfoggiando tre camicie orribili che potrebbero venir fuori dal mio guardaroba anni Novanta (una a righe bianche e azzurre, una panna e una a quadrettoni buoni per un picnic con tanto di sorpresa incorporata), una t-shirt di Threadless (griffe ormai da evitare in occasioni pubbliche) e una maglietta col pollicione tipica da orsacchiottone degli Hot Chip, indossata guarda caso dall’orsacchiottone degli Hot Chip. Visto che ne parliamo, l’orsacchiottone degli Hot Chip ha la luna storta: più volte si astiene dal controcanto, sembra svogliato ed imbronciato e, soprattutto, esibisce pochissimo il numero pelvico che tanto ce lo fa amare.



Nel caso in cui ci fossimo dimenticati di essere in un sabato sera, il fatto viene ribadito dall’andazzo ritmico del concerto. Una Careful che pesta ancor più dell’originale introduce un set che mette da parte tutti i momenti trasognati in favore del martellamento. Anche quando su disco si sta dalle parti del synth-pop, qui si indurisce il ritmo, ornandolo soprattutto negli ingressi e nelle uscite dell’armamentario percussivo della casa madre, ovvero di campanacci e bonghetti. Se dunque ne fanno le spese l’assente The Warning, in origine presente nella scaletta e poi depennata, la dimenticata Colours e l’antico fantasma Crap Kraft Dinner, d’altra parte tutto il passato che resta (The Beach Party e Keep Falling), il presente dei lati b (Plastic) e il futuro inedito (due-tre pezzi accreditati come Shake A Fist, Graceland e Out At The Cinema) vengono coniugati in maniera uniforme secondo lo schema di cui sopra.



Si balla, si canta e si suda, tanto che Alexis si sveste, rimanendo con una gustosa canottiera Nike slabbrata bianco-verde, ma la tensione ritmica non è uguagliata da una simile tensione emozionale. Da questo punto di vista gli unici sprazzi sono offerti da una Boy From School comunque meno brillante del solito (sentendola dal vivo si capisce come sia nato l’auto-rework del singolo) e soprattutto da No Fit State, che parte de-tonata e prima della coda anthem su un tappeto di sintetizzatore paga tutto il tributo alle radici New Order con le parole della tentazione (Oh you got green eyes, oh you got blue eyes, oh you got grey eys and so on).




Resta poco tempo per il bis perché il concerto deve durare poco (si, ma perché poi, visto che comunque la gente applaudiva?). Chiude una Over And Over punteggiata dagli unici assoli di chitarra della serata, altrove utilizzata in maniera umilmente ritmica. Parte subito l’hip-hop - io piango dentro perché il concerto non finisce con You Ride - e allora non prima di avere assistito a delle scene che non avremmo mai desiderato vedere (no, non parlo delle groupie degli Hot Chip), decidiamo di spostarci verso il fantomatico Hot Chip Aftershow Party. Ora, noi siamo gente di provincia e quando sentiamo la parola Aftershow abbinata a Milano pensiamo sempre a esclusivissimi festini dove l’intellighenzia sollazza ogni suo desiderio artistico, compreso quello di sentire una ventina di minuti di dj-set degli Hot Chip. Beh, forse mancava qualcosa (qualcuno?) e l’atmosfera non era per niente in linea con la musica degli Hot Chip, ma se non altro ci siamo esibiti in un mash-up tra Pirandello e Milanodabere: quando all’ingresso il gruppo (non gli Hot Chip, chiaro) ha fornito i nomi per entrare (sì, c’era una lista esclusivissima), ci siamo scambiati le identità coinvolgendo anche degli assenti, lasciando fuori il mio nome e cognome. A quel punto la pr, visibilmente in linea con quello che ci avrebbe atteso dentro, ha chiesto anche se ci fosse (mio nome e cognome). Le ho risposto che (mio nome e cognome) non era potuto venire.

No Fit State (live) - Hot Chip (purtroppo senza la citazione dei New Order)
Over And Over (live) - Hot Chip

22.9.06

How Do You D.A.R.E.? (Beck è irraggiungibile, chiamiamo i Gorillaz per stasera?)

You Ride, We Ride, In My Ride

Domani viaggio a Milano per gli Hot Chip. Non sto nella pelle peggio di una sciacquetta indie che perderà una puntata di OC per andare a vedere i Death Cab For Cutie. Sarà che in questi mesi sono stati tra i gruppi che meglio hanno raccontato il mio no fit state, sarà che amo i geek-nerd-secchioni-chiamatelicomevolete che ce la fanno (anche solo un po’), sarà che ci vuole grazia a essere leggeri: sarà che quando vedo uno steccato io penso alla pubblicità dell’olio Cuore, prendo la rincorsa e salto, da una parte all’altra e poi indietro, magari sbucciandomi anche il ginocchio. Se poi in tutti questi mesi ancora non vi h(ann)o convinto perdete sei minuti della vostra vita per sentire la versione live di Boy From School qui sotto: sembra un flusso di coscienza scaturito dalla lettura del riassuntino della storia della musica, ingenuo e tenero, che avevate scritto tanto tempo fa su un quaderno di terza elementare. Sorrisi, lacrimucce, due voci stonate e una cassa dritta.

Boy From School (live) - Hot Chip
You Ride, We Ride, In My Ride - Hot Chip

(se invece siete dei maniaci fate un salto a sentire il remix hotchippo di Steppin’ Out dei Lo-Fi-FNK)

21.9.06

Oci gallicia gios curumai

L’altra notte guardavo la replica di Sunset, una delle serate organizzate quest’estate da MTV. Tralascio l’approsimazione dei conduttori e che mi sia trovato nuovamente tra i cosidetti Skin, ma è stata una buona occasione per vedere all’opera i Soulwax come Nite Version e in finale di programma come 2 Many DJ’s. Evitando dotte discussioni sulla maniera più proficua di riprendere un dj set per la tv (magari ne discutiamo la settimana prossima quando All Music trasmetterà le registrazioni del Nokia Trends a Firenze), mi concentro su un frangente dello spettacolo suonato che mi ha colpito per maestria, semantica e non.

Guardavo distrattamente la tv, come forse molto del pubblico estivo “de passaggio” in spiaggia a Rimini, quando all’improvviso i Soulwax hanno attaccato il basso da You Gonna Want Me di Tiga. L’inquadratura è passata alla ragazza del chiosco bibite, improvvisamente colta da un attacco del ballo di sanvito che le faceva sventolare l’enorme cravattona su camicia scura. Mi immaginavo di essere lì e di sentire intorno a me un coro di “Ma allora questa era loro!”, quando già i Soulwax stavano suonando sopra al basso una cover del remix di Tiga di Washing Up di Tomas Andersson. Il fine passaggio è stato completato con un repechage di classe, ovvero i tastieroni tamarri da Anasthasia di T99 che hanno montato ancor più la tensione verso una finale e distruttiva Another/NY Excuse. L’arte del dj applicata alla categoria del concerto rock, ovvero come coinvolgere il temibile pubblico “de passaggio” degli eventi estivi.

Visto che ci siamo beccatevi qualche classico preso dai cd dalle cassettine* di Albertino e Digital Boy:
Anasthasia - T99
James Brown Is Dead (Dream On Mix) - L.A. Style
e dato che se parlava ieri
Insomniak, I Come Back - DJ PC
(ringrazio per gli mp3 la fonte Dalston Oxfam Shop)

Update: noooo, hanno chiuso il Deejay Time

* non a caso il blog in questione compra le cassettine usate al Dalston Oxfam Shop e le posta, a volte anche nella loro interezza

What ever happened to my hobo humpin’ slobo babe

Oggi mi chiedevo che fine ha fatto Cia Berg, nota anche come Cia Soro. Cia Soro-Berg era la cantante dei Whale, meteora elettro-punk-pop svedese che per breve tempo ricevette l’attenzione di pubblico, media e Tricky, per poi essere ricacciata nell’oblio. Quando mettevo su We Care la cosa più classica che mi capitava era un ematoma da danza contro mobile del soggiorno. Qua sotto Cia indossa l’apparecchio per i denti e lecca l’ascella di un baldo giovine.


Poi a fine anni novanta un disco sbagliato dal bel titolo “All disco dance must end in broken bones” e un cameo nel disco dei sardi Antennah (patrocinata da Soru? Ahahah) segnarono l’uscita dalle scene di Cia. Oggi mi chiedevo che fine ha fatto, ho aperto google e invece di trovare il presente, mi sono scontrato contro il suo passato. Prima mi sono imbattuto nel suo passato da presentatrice televisiva fatto di camicette improponibili, orecchini pacchiani e capelli a porcospino, poi in quello da spogliarellista con tanto di foto osée scattate in chissà quale strip-bar di Stoccolma o Malmoe. È stato come cercare notizie su una vecchia ex e scoprire soltanto le cose che non ti aveva mai raccontato perché indicibili. Finalmente dopo qualche clic a vuoto sono arrivate poche righe sul suo presente, dovute a un’intervista del 2003 alla tv di stato svedese. Cia Berg-Soro attualmente vive in Italia e questa è una sua foto recente.


20.9.06

Abitare presenta: La stanza del dj

Avete presente quelli che nelle recensioni, parlando di musica elettronica, tirano fuori l’immagine ormai stantia del disco nato in cameretta? Un giornale tedesco (scusate l’imprecisione, ma nel forum dove ho visto le foto non si fornisce il giusto e meritato credito) ha fotografato alcune camerette di dj di area tedesca e il risultato è un campionario di tic e variazioni dell’ovvio due piatti e tanti dischi. Di seguito commenterò per voi alcuni particolari per ognuna.

Ali Tiefschwarz

Tiefschwarz ama molto il bianco, ma spezza la scelta cromatica con una cassa della frutta azzurra. Data la posizione della “scrivania”, suppongo che preferisca l’utilizzo di giorno. La configurazione unpiattosolo senza computer fa pensare a una zona di esclusivo ascolto. L’ordine è simile a quello di camera mia.

Andre Galluzzi

Andre Galluzzi adotta una struttura mini-sala da ballo con annessi scaffali stile negozio di dischi e disposizione a irradiazione, simbolo dell’emanazione del proprio ego in festicciole private (a tal proposito “Sex is Good” sembra uscito dalla casa di Quagmire dei Griffin). Notevoli le cornici stuccate alla base del soffitto che fanno tanto casa dei nonni e che contrastano con il saldato di lamiera della scrivania. Si ignora l’utilità del palo sulla sinistra e si biasima l’illuminazione orientaleggiante con lampadario di carta.

Ata

Il boss della Playhouse non ha quasi dischi a casa, visto che li tiene tutti nella Playhouse. La passione per il calcio è affiancata da quella per l’arte, o forse dall’assenza di pareti su cui appendere quei quadri. La configurazione unpiattosolo più mac fa pensare a missaggi software e ascolto di white label da scritturare. Il tavolo è equilibrato col più classico degli espedienti, ovvero i foglietti di carta ripiegati.

Dj Koze

Koze addobba il suo vero e proprio mini studio con delle lucine di natale che fanno tanto indie. Molto meno indie è la ciabatta vecchia che non ci risparmia in primo piano.

Dj T

Dj T adotta un approccio sobrio ma quasi privo di personalità. Si segnalano come guizzi, il tavolino ribassato per la firma di nuovi contratti, una sedia da regista color crema e uno sventolino per i piedi freddi, che d’inverno sono sempre un gran problema quando si passa la notte davanti al computer.

Ellen Allien

L’ottimo bianco&nero dell’amata Ellen è variegato soltanto da una comoda salopette fucsia appesa alla maniglia, alternativa acida all’ormai fuorimoda pigiamone con gli orsacchiotti, e da una borsa fiorata modello studentessa universitaria fuorisede. Curioso il “Registratore di cassa in custodia”, notevole opera di arte-arredamento concettuale, mentre esprimo sconcerto per le buste dell’immondizia così in vista.

Dj Hell

Camera da ascolto anche per DJ Hell, dotata di poltrone simil-sala d’aspetto del dentista, con tanto di riviste su tavolo rasoterra per gli astanti. Studiato il contrasto tra gigantografie glam e attrezzi da palestrato decerebrato. Se andate a trovarlo state attenti al lampadario, che è un po’ basso.

Lawrence

Il bohemienne. Caro Lawrence, forse un giorno farai dei soldi ma tu non dimenticherai mai le pareti ammuffite, la poltrona consunta, le tende quasi bucate, il monitor vecchio ed enorme che ti ha distrutto gli occhi e soprattutto quella strana puzza di sottofondo.

Richie Hawtin

Ecco l’inevitabile mansardato. I pericolosi cavi sospesi e il florilegio di computer rimanda ad un’area di lavoro molto tecnologica dove il vinile arriva solamente di passaggio. Pessima la sedia da medico di famiglia e la tenda appesa alla bella e meglio per evitare il sole di mezzogiorno.

Sven Vath

Se i miei genitori fossero stati dj avrebbero avuto una camera come questa (soprattutto non si sarebbero fatti mancare il tappeto mucca che hanno orgogliosamente ostentato fino a metà anni novanta). I piatti incastonati nell’arredamento sono a metà tra la cucina componibile Scavolini e l’arredamento retrò-seventy. Il vecchio modernismo di queste soluzioni è ripreso dagli obbrobriosi altoparlanti gommosi. Sulla scrivania anche alcuni volumi del Reader’s Digest.

Ricardo Villalobos

L’inclinazione di ogni singolo vinile è stata studiata per creare microvariazioni nell’umore degli astanti. Vestigia delle radici e del vissuto rimangono come sempre qui e là, nella sedia (etnica in modo non grossolano) e nelle scarpe comode che non ha abbandonato al primo accenno di popolarità.

L’insonnia remixata

Per tanto tempo ho convissuto e amato la mia insonnia, il mio desiderio di non dormire mai, o di dormire almeno pochissimo. Poi i ritmi e i fatti della vita hanno cambiato il mio modo di essere e soprattutto messo così a dura prova il mio fisico, che non ho più problemi ad addormentarmi per le mie consuete cinque-sei ore. Il sonno è il nuovo sesso, gli uomini ci pensano ogni sette secondi, scrive Inkiostro nel suo template e sono d’accordo con lui. Poi però capita un mal di denti o un altro piccolo dolore e sperimenti qualcosa di nuovo, l’insonnia con la voglia di dormire, col terrore che due ore dopo starai davanti a una scrivania in una sorta di trance galleggiante in cui, a un certo punto, al posto di muovere il mouse tiri a te il lenzuolo perché la luce intorno è troppo forte.

Insomnia (Âme Remix) - Rodamaal

15.9.06

Trenta e Møller

“L’amore del futuro non avrà la carne. Una pillola più soddisfacente dell’orgasmo stesso tingerà di blu le skin dei nostri lettori. Le voci degli amanti saranno compresse secondo la nuova codifica ITU-T G.799, non più con perdita percepita secondo l’indice di qualità MOS. Il futuro sarà modernissimo, e così l’amore.”
[Herbert Riedler, “L’Amore Modernissimo” , Forcebooks 1976]

L’amore del futuro, oggi, è al massimo moderno. Si attacca sbrindellato ai bit di giornate uguali a quelle della settimana prossima, cicliche di badge in ingresso e uscita, di compulsivi controlli di mail più veloci della frequenza automatica impostata e di malcelati pattern della mensa per illuderti che gli accoppiamenti non sono mai gli stessi. L’amore, nei giorni del futuro, è una disperata ricerca di umano nel nostro battito sempre più fioco e frammentario. Direbbe Alberoni se fosse nato trent’anni fa. È una disperata ricerca di umano nella techno minimale, direbbe lo svedese Erik Møller, ovvero Unai.

A Love Moderne è un tentativo di svincolarsi dall’estetica astratta e drogo-referenziale della techno minimale. Unai la sposta dalle parti del nuovo aristo-pop sintetico, figlio della lezione degli anni Ottanta e fratello delle propaggini emo-zionali di certa musica da ballo. Lontano (non troppo) dal formalismo estetizzante ma talvolta vacuo di Luomo, il dub pop di Møller sceglie una strada a metà tra le non-canzoni dei Junior Boys e la non-dance di Trentemøller, spillando ove necessario soul da cubicolo e malinconie passate al setaccio di modem capaci di pochissimi bps. La riuscita dei singoli pezzi è alterna, giocata sul binomio coinvolgimento/distacco e come tale vittima/carnefice della predisposizione umorale dell’ascoltatore e di un'aleggiante necessità di sospensione del senso del ridicolo. È come leggere una serie di sms amoreggianti altrui che procedono per invenzioni incrementali, un bel gioco che rischia di essere poco interessante, se non bellissimo, se non noiosissimo. Arrivati in fondo però, sul finale triste, si spera. Si spera che la storia, iniziata con parole pronunciate sulla strada per casa a orecchie provate dai volumi eccessivi della pista da ballo, termini zoppicante sull’aritmia di una puntina che non segue più i solchi del vinile soltanto per amore di concept.


The beginning: Oh You And I - Unai
Half(a)way: Blissful Burden - Unai
The end: Exit Wounds - Unai (triztissima ma stupenda)

14.9.06

L’esaltazione della croce

È rassicurante avere qualcosa in comune con Pavlov (quello del cane), Badalamenti (non quello di Lynch), Renzo Piano, Franco Califano e Pier Vittorio Tondelli.

13.9.06

Forbici da taglio e cucito

Tra pezzi intitolati “L’altra sponda”, cloni di Goldfrapp, il fantasma di Elton John, canzoni chiamate Paul Mc Cartney e persino delle code che tendono alla psichedelia tornano (inserire articolo) Scissor Sisters. Al solito, non è la mia cosa, tranne due o tre momenti. Chissà però cosa diventerà, una volta remixato, il pezzo da funked che inizia come Around The World.

Ooh - Scissor Sisters

11.9.06

Just like Tiberio Murgia

75% sardo di maxcar: Che cacchio c'entra un carrello circolare in una fiction sul banditismo sardo?

25% siciliano di maxcar: Se pensi che dopo due minuti i banditi si parlano tra di loro nel solito italiano con le doppie, sai perché. Ah, già che ci sei, evita l'altro canale, ché non ho mai visto dei siciliani così pallidi.

Cose che rischiano di rovinarti la vita (o di spingerti all’acquisto dell’ennesimo hard disk esterno)

You Tube è il male. O almeno lo credevo fino a un tranquillo lunedì mattina in cui ho scoperto come salvare i video di Youtube.

7.9.06

Some Ninjas Skate Better Than Others

C’è in giro nei video musicali un’epidemia di roller-skate dancing, ovvero di scene in cui si balla sui pattini. Attendo con ansia che sociologi e commentatori sviscerino il fenomeno.


(Troppo facile mettere i Rapture o Madonna, se clicchi qui sopra ti ritrovi i Walter Meego di Romantic)

6.9.06

E voi, vi scopereste la figlia dell’uomo che venerate?

Disclaimer: forse non si può leggere nello spazio di una cacata Gasogramma di Serge Gainsbourg e subito dopo trattare da parco da divertimenti il nuovo disco della figlia

Comunque. Comunque immaginate che sua figlia canti le parole di Jarvis ‘volevo essere suo figlio’ Cocker e Neil ‘anche io anche io’ Hannon in un disco in cui le musiche scritte dagli Air siano una continua allusione, mentre il padre di Beck porta in dote all’incesto i violini rubati dal figlio con la complicità di Nigel Godrich e le batterie di Tony ‘Afrobeat’ Allen. Poi lo ammetto, non fa una grinza se mi dite che il mio immaginario musicale è così da vecchio porco anno millenovecentonovantaotto. O nineteensixtynine, in the sunshine.

5:55 - Charlotte Gainsbourg
The Songs We Sing - Charlotte Gainsbourg
AF 607105 - Charlotte Gainsbourg









Update: avevo dimenticato la cosa, ma ora che me ne ricordo penso che Charlotte rischi il ruolo di (anti)icona della seconda parte del 2006. Non ricordavo infatti che sarà Stephanie insieme a Stephane Gael Garcia Bernal in The Science Of Sleep del regista di Eternal Sunshine Of A Spotless Mind, Michel Gondry. I miei interrogativi a riguardo sono due.

1) In Italia intitoleranno il film Se Scappi, Ti Addormento?
2) Come mai dal trailer francese sembra un film francese e dal trailer americano sembra un film americano? (ommadonna, i det cheb biforcuti anche lì)

Trailer merigano
Trailer francese

4.9.06

Never been kissed


Springfield (DFA Mix) [radio rip] - Arthur Russell
(mp3 removed as requested by label)


Il team della DFA ci stava lavorando su da più di un anno. La Audika Records aveva affidato nelle loro mani le oltre quattro ore di registrazione di Springfield, inedita composizione di Arthur Russell, per farne il commovente pezzo electro che avrebbe dovuto essere. Goldsworthy e Murphy sembrano seduti per terra, con le gambe incrociate, intenti a guardare delle fotografie sparse sul pavimento, mentre fuori passa l’estate. Lo so, l’mp3 termina bruscamente. Dieci secondi prima della fine.

They Might Be The Pipettes



La cosa più divertente del concerto delle Pipette è stata ascoltare i commenti sferzanti di gente che pensava di essere andata ad un live dei Sonic Youth. Hai voglia a sfottere le sedicenni vestite da Pipette, quando un tizio accanto ripete per dieci volte che l’indomani stroncherà il tutto in radio e per motivi artistici. Invero il concerto è un gioco di ruolo, come ci si aspettava: supportate da anonimi garzoni le tre fanno la loro cosa, ovvero si agitano in coreografie minime sulle loro non-canzoncelle sixties ad uso divertimento collettivo. La pipetta con gli occhiali si esibisce nel campionato nazionale di facce buffe e mosse da ubriaco, la versione gallese di Karin Schubert conduce la baracca in maniera scafata mentre in parallelo sudata e spettinata riassume il campionario delle fantasie maschili dell’italiano medio degli anni Sessanta e il clone di Rory Gilmore fa appunto il clone di Rory Gilmore per tutta la serata. Eppure, senza scadere nel ridicolo di chi rispolvera un frasario critico vetusto del genere “Non hanno voce”, ci si chiede perché a volte venerdì sera la gente non batteva le mani perché ne voleva di più. La risposta forse è che in certi momenti le Pipette non ce la fanno a essere Pipette con tutti i loro pezzi e soprattutto anche con chi non è andato con l’intenzione di ripetere le mosse viste sul palco. La distanza tra l’atmosfera di cinque canzoni rispetto al resto è palpabile e non basta una stecca o l’assenza di viulini e trombette per spiegarle. A parte questo, mi sono divertito abbastanza, anche senza aver indossato il preventivato abito a pois (la scelta mi era sembrata troppo finto-punk e allora ho optato per un’anonima maglietta bianca-e-rossa da fratello maggiore della famiglia Bradford).