31.8.05

Making Cover Floppy



Ma com'è geek-chic riciclare i 5e25 come copertine di cd
(aspettatevi 'ste cose anche come packaging ufficiale).

30.8.05

Piano giocattolo


Va bene che Extraordinary Machine di Fiona Apple ha subito dei ritardi nella pubblicazione, ma non sapevo che il materiale fosse stato composto così tanto tempo fa.

(Guarda il video di Fiona Apple bambina mentre suona la melodia di Parting Gift - Trovato su Goldenfiddle, che ringraziamo anche per la foto di Courtney Love in versione Britney finto rock, paiuuura).

29.8.05

Ad esempio


Gli Acid House Kings hanno reso disponibili gli strumentali di Sing Along With The Acid House Kings ad uso karaoke (e perché no, diciamocelo, ad uso remix per i più giovani). Dall’operazione verrà tratto un EP con le versioni inviate al loro sito internet. Intanto io mi diletto in ufficio con Tonight is Forever, sognando Emmaboda.

A vita bassa


Venerdì sera in kebabberia. Ragazza sedicenne, ragazzo sedicenne. Lui sfoggia dieci centimetri di mutanda con scritta DATCH sopra il pantalone, lei si avvicina e gli tira su il cavallo. Lui si incazza, si rimette a posto la mutanda e la scritta. L’istant-cronaca diverte gli spettatori, a patto di tenerla lontana dalle canzoni. Insomma, che gusto c’è a crescere per Monica se da una canzone dei Baustelle finisce in una di Simone Cristicchi? Meglio voler lavorare in fabbrica. E l’universo è inutile.

26.8.05

Rilkean Grace


Einzig das Lied überm Land
heiligt und feiert.


Ho sempre avuto un debole per Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, e non solo musicale. Più o meno a metà anni Novanta mi immaginavo perso in interminabili discussioni con Liz, io in silenzio e lei che pronunciava parole inesistenti con gli occhi spalancati, fissi e senza battiti. Dopo un po’ saremmo diventati familiari e lei mi avrebbe fatto sentire la sua voce senza riverberi. Avremmo forse anche sentito Grace di Jeff Buckley insieme, lo consumavo all’epoca.

Poi stamattina apro l’internet e trovo un gioiello a forma di fiore. Non è un fiore, non è sfiorito. È duro, così duro da arrivare fino a me. Ma più un materiale, meglio, una lega è dura, più diventa fragile, o almeno spesso è così. Elizabeth e Jeff si amarono forse per pochi giorni e a raffigurarmeli trovo quasi incestuosa la loro unione, quella della figlia putativa di Tim Buckley e della chanteuse con il pene. Non so nemmeno se si amarono a dire il vero, ma lui scrisse una canzone per lei, entrarono in studio e la registrarono insieme e la chiusero nei loro cassetti. Dal vivo fu eseguita solo una volta da Jeff Buckley.

Oggi quella canzone arriva a noi, passata di mano in mano e non aggiunta come unico inedito a una riedizione del passato. È una sensazione strana quella provata all’ascolto: la voce di Liz è nuda e senza riverberi come sognavo da piccolo, sorride all’inizio come quando ci si registra per scherzo su una cassetta, e alterna alla voce della sirena piccoli intermezzi che rendono la familiarità del contesto. Jeff Buckley prima si alterna con lei, poi le si sovrappone, diventa il suo controcanto prima di essere da lei raggiunto. Musicalmente sembra una canzone di Jeff Buckley che sembra una canzone dei Cocteau Twins che sembra una canzone di Jeff Buckley.

L’unico dubbio è quello di spiare una stanza altrui di nascosto, come un innamorato non corrisposto di entrambi, di quelli che non solo rubano la corrispondenza ma la leggono immaginandosi destinatari delle lettere e delle parole carpite. Mi chiedo se sia giusto nei confronti di Elizabeth, ma lì la questione riguarda un interrogativo irrisolvibile, se l’arte possa essere o meno privata. Che rimanga tra noi allora, All The Flowers In Time Bend Towards The Sun è stata portata alla luce e commentata in modo commovente da Low Noise (“santo subito!”). Abbiatene cura come di un gioiello prezioso, duro e fragile.

24.8.05

La rivincita del portiere


Il nuovo disco dei Belle And Sebastian uscirà prima del previsto a Gennaio e il suo mix sarà completato entro la fine del mese. Il produttore sarà Tony Hoffer, già dietro il banco negli ultimi Beck, Stars, Phoenix e Fischerspooner. Soul, pop e New Order, tanto che in una canzone intitolata Song For Sunshine ognuno dei componenti suonerà una tastiera.

Anna dai dreadlock rossi


Se non fosse stato che non avevo voglia di cambiare cd in auto, non mi sarei trovato a cantare il testo di Anna dai capelli rossi su una versione rastafariana del classico gospel By The Rivers Of Babylon che passava alla radio.
Per i miscredenti qui la sovrapposizione con la versione disco di Boney M.

Ieri invece lavavo i piatti sotto l’effetto del mirto, di Matt Elliott e delle sue Drinking Songs (senti What’s Wrong).

23.8.05

Never / Forever


Serata strana quella in cui si inizia con il religioso ascolto dell’advance dei Broken Social Scene e in cui invece si va a dormire cantando una e una sola canzone sentita venti volte di seguito per spiegarsi quanto è semplice, per scoprirne i lati nascosti, per godere del jack che viene inserito in una chitarra, perché sembrano i Postal Service che al posto di Gibbard hanno la voce di Isan e che al posto di Tamborello hanno un Fennesz che fa finta di essere Tamborello, perché dice l'odio verso una piccola città con la voce di chi dice l'amore per una piccola città. Poche storie, già una delle canzoni dell’anno:

Domotic – I Hate You Forever

22.8.05

Quello lì non è Enrico Papi



Il resto delle foto, comprese quelle degli Stars, da Brooklyn Vegan
(mp3 e video del fattaccio da You Ain't No Picasso)

Smashed Pumpkins


Ci mancava solo l’indie-yuppie band-aid. Molto auto-ironico certo, ma povero nel risultato. Nick Diamonds (Islands, ex Unicorns) scrive Do They Know It’s Hallowe’en? e raduna per la Vice Records e per l’Unicef un accrocchio formato da Arcade Fire, Beck, Feist, Devendra Banhart, Jimmy Tamborello, Peaches, una del coro inuit di Björk, Sum 41, Karen O, Smoosh, Wolf Parade, Thurston Moore, Malcolm Mc Laren, e altri che non vi sto a dire. Non è abbastanza scaciato per assomigliare agli Unicorns e quasi nessuno dei componenti lascia la sua impronta musicale. Stanno per diventare i nuovi Bono e Chris Martin?

19.8.05

So Weit Wie Noch Nie: FIB 2005 - Lunes


Erlend Øye Singing DJ
Visto: sulla spiaggia del Torreon con la sabbia fredda che entra nei sandali
Giudizio: ++

Prima e dopo niente di interessante, Slippy Dj che è un rappresentante del forum del FIB e mette pop e rock per questo motivo, Alex Under che propone una tecno-minimale da cui ci si distrae facilmente e Layo & BushWhacka! appena scongelati per l’occasione. Per questo motivo riserviamo la nostra attenzione al solo Orlando Occhio, nuovo soprannome visto che l’occhialone è scomparso e non c’è più, come da foto. La goffa amatorialità del dj-cantante potrebbe irritare (il solito VIP che si mette a fare qualcosa che non sa fare), ma in realtà è chiaro che Øye non ricerca, se non in rari casi, il missaggio in battuta o quello invisibile. Qui conta la sua capacità da intrattenitore, l’idea del singing (and dancing) dj riportata in carne ed ossa dall’intuizione post-bastardpop del suo DJ Kicks. Gran parte di quella selezione trova spazio nel suo dj-set, insieme ad episodi provenienti dalle altre sue collaborazioni (Remind Me dei Röyksopp e frammenti da Unrest) e nuove gemme (Heartbeat di Annie col suo controcanto e i suoi cori, per esempio). Non si è capito se il tizio con cui Erlend ha ballato Rubicon fosse il socio Eirik o un semplice tecnico di palco. Sul bis non una ma due canzoni di seguito dei Cure e su A Forest Erlend canta “Slowly learning that life is O.K.” introducendo il mix con Take On Me degli A-Ha e dando l’impressione che sotto le nostre pance stiano scorrendo i titoli di coda dei quattro giorni precedenti.
Se proprio ti interessa guarda il video di Sudden Rush.


Motherfuckers Gonna Drop The Pressure:
FIB 2005 - Domingo


Maximo Park
Visto: fuori dal tendone Hell-O-Moto seduti su fogli del giornale free del festival
Giudizio: o

I concerti di questa giornata sono molto legati ai luoghi dove sono avvenuti e alle modalità con cui si sono visti. Si direbbe quindi che la scelta di guardare i Maximo Park seduti su un foglio di giornale appena davanti al tendone mentre si gusta un Calippo alla fragola, vero e unico repechage del festival, sia indice di snobismo nei loro confronti. E forse è anche così, che sì è lì più per presenziare che per partecipare alla festa. Dentro, la bolgia era più o meno quella dei Kaiser Chiefs, forse con l’età media appena più alta. Qui insomma non si va in brodo di giuggiole per il gruppetto, ma lo si è ascoltato con interesse, bastevole per la conferma che dal vivo non sono dei cani e sanno ripetere più o meno le cose del disco, facendo ballare il loro pubblico. Ah, mi piace la chitarra di Postcard Of A Painting che sembra (vabbe’) e le tastierine zanzarine di Limassol e delle altre.
Se proprio ti interessano guarda il video di Graffiti.



Migala
Visto: attirati da sirene, risucchiati come lumache
Giudizio: ++

Una delle sorprese che porterò con me da questo festival. Immagina di essere uno che dei Migala conosce uno-due pezzi e “belli ma mi sanno di depressismo e non c’ho voglia” e allora si siede sul prato davanti al FIBClub, con tutti gli altri in controluce per il sole e alle spalle il concerto che inizia in sordina, quasi da dimenticarsene. Poi la luce intorno diventa arancione e senza accorgercene ondeggiamo su splendide chitarre a metà tra Mogwai e Calexico, su ballate che portano il rigore degli Arab Strap nei paesaggi dei Lambchop e si è risucchiati dentro e, senza capire nemmeno bene come, sono prima sulla soglia, poi al centro e infine sulla transenna. Salgono sul palco un uomo tigre e una donna tigre, suona un gong e si combattono. L’inglese si confonde con lo spagnolo e col silenzio degli strumentali. Sugli schermi scorrono sfumature, scritte, amor fou. Se ho ben capito il concerto a Benicassim è stato il loro ultimo insieme o comunque stanno per sciogliersi dopo nove anni e questo è stato uno degli ultimi. Emozionante, come poco altro nel festival.
Se proprio ti interessano guarda il video di El Tigre Que Hay En Ti.




Uno della sicurezza a domanda risponde “Daniel Johnston tienes los nervios”.

Nick Cave And The Bad Seeds
Visto: nell’Escenario Verde già pieno di fan degli Oasis, ma incredibilmente raccolto
Giudizio: +

Nick Cave sa cos’è un festival. Nella sua grande esperienza sa che il pubblico del palco grande rischia di scapparti dalle mani per un nonnulla, che bisogna dargli energia, manovrarlo e solo dopo accarezzarlo. Get Ready For Love e il suo incipit scuotono dal silenzio come uno schiaffo. Il set da un lato è tirato ed elettrico (Supernaturally o Nature Boy da Abattoir) dall’altro mantiene la lenta morbosità del passato di Red Right Hand, dell’ipnotica The Mercy Seat e del finale con una Stagger Lee rigorosa e malata. In mezzo c’è un po’ di tutto, una Deanna che risente un po’ del minaccioso coro gospel che fortunamente altrove è trattenuto e non fa danni, una inaspettata There She Goes, My Beuatiful World su cui temevo il rock da stadio e invece è sembrata meno telefonata che su disco, una dolente canzone come da titolo e uno dei pochi momenti raccolti ed emozionanti di un festival soddisfacente ma che ha prediletto la fisicità e il divertimento ai sentiment(alism)i e ai brividi, ovvero The Ship Song. Insomma, un concerto che accontenta tutti, che pubblicizza l’ultimo disco, che fa venire voglia di ascoltarlo in versione estesa. Professionista.
Se proprio ti interessano guarda il video di The Ship Song.



Oh, io volevo fare anche lo scherzone della finta recensione degli Oasis, di quando ho cantato in coro coi ventimila inglesi Champagne Supernova, Wonderwall e Don’t Look Back In Anger ma non ce la faccio. Mi viene troppo da ridere mentre mi vengono in mente gli aggettivi. E invece appunto qui si è preferito…

Mylo
Visto: sotto la palla a specchi dell’Hell-O-Moto
Giudizio: +

Mentre la fiumana umana residua si spostava verso gli Oasis, noi ci univamo al variopinto pubblico del solito Helloposto, che in questo caso veniva salutato per l’ultimo concerto visto lì nella sua interezza. Un pubblico costituito da uno zoccolo duro scozzese con tanto di bandiere sulle spalle, da partygirl e partyboys tirati che nemmanco in discoteca, da un gruppetto dallo stile demenziale a torso nudo che per tutto il tempo ondeggiava una tastierina casio con microfono e dei ninnoli illuminati e da astanti vari, di passaggio o semplicemente in fuga dai fratellini Gallagher. Si inizia con l’anti-Losing My Edge, con l’anti-Teachers, Destroy Rock’n’Roll accompagnata sul maxischermo dalle copertine dei 45 giri degli artisti menzionati fino all’apparizione del titolo che solleva le luci sulla vera e propria band che accompagna il dj scozzese. La canzone si mixa con la successiva Rikki come se fossimo in discoteca, così come Muscle Cars con Zenophile. Tra queste tesissime versioni di Otto’s Journey e Paris Four Hundred e spazio per pezzi nuovi come Soft Rock, ironico con la sua scritta tautologica sul maxischermo che si trasforma in uno spot per sapone da bagno che dopo un po’ deraglia verso l’autoerotismo: genialmente stupido. Quasi verso il termine il già sentito di In My Arms scatena la folla ma è niente a confronto col finale di Drop The Pressure con gente che urla e salta in maniera scoordinata e i sintetizzatori che si inacidiscono su toni altissimi. Brillante musica con nessun’altra pretesa che non sia il ballo. Mylo più volte ringrazia i fan degli Oasis (sì, va bene, eravamo tutti un po’ ossessionati da ‘sta cosa. Come tormentone paragonabile a quello sull’assenza di Morrissey l’anno scorso).
Se proprio ti interessa guarda il video di Drop The Pressure.





LCD Soundsystem
Visto: ma dove sono andati tutti i fan degli Oasis?
Giudizio: +

Già, perché io non mi rendevo conto ma pare che l’Escenario Verde si sia svuotato tra i Gallagher e il Murphy. Cacchi loro. Epperò sarà che la prima volta è la prima volta, ma il concerto di Milano mi è sembrato migliore come impegno, per quanto la resa sia stata comunque buona. Tra le cose più interessanti l’iniziale Beat Connection con un intro che sembrava uscito fuori da una DFA compilation, Daft Punk Is Playing In My House ancora più cinetica e da noi ballata come un pezzo sixty dalla battuta sconsiderata e una crassissima Yeah sparata con l’impianto del palco principale. Murphy presenta continuamente il tipo dei !!! ma interviene meno che in passato sulla strumentazione elettronica. Ci si chiede se abbia già messo i dischi alla DFA Night, il vero mistero del FIB a cui nessuno ha risposto. Chiusura del festival su Losing My Edge e sulla sua coda psicoacida. Poi si cammina con l’aria di chi non ha capito bene e vorrebbe che almeno l’ultima parola fosse ripetuta (e comunque Yeah yeah yeah ye-ye-ye-ye yeah ye-ye-ye-ye-ye yeah).
Se proprio ti interessano guarda il video di Movement.



Chi l’ha visto?
Nessun grosso rimpianto per chi suonava prima del nostro arrivo. Peccato per i Pan Sonic tra Migala e l’attesa di Johnston, peccato soprattutto per Daniel Johnston, del quale si sarebbe vista solo mezz’ora (per poi scappare da Nick The Stripper) salvo essere convinti del contrario. In contemporanea con Nick Cave Tarwater, ma non ho grosse doglie, e curiosità per Roisina Murphy che poteva fare spettacolo e immagino sia stata accompagnata da Matthew Herbert. Matthew Herbert che non ha suonato ma ha fatto un dj-set sul danzereccio. Origliati i Kasabian, non male ma gruppetto, vista la mise di Sir Alice, persi purtroppo i Panico. Visto di sfuggita Mr Weatherall mentre abbandonavamo la postazione (il tipo suonava fino alle sette di mattina e poi andava a fare un afterhour su un locale vicino la spiaggia, mito o addizionato). Il grande mistero è stata però la DFA Night: nel salto fatto al FIBClub sembrava che fossero all’opera Black Dice ma non si capiva granché. Non mi sarebbe dispiaciuto il set di James Murphy (ma come detto sopra non si è capito quando ciò è avvenuto) e avrei desiderato assistere a The Juan Maclean (forse visti dal socio nel dopo LCD) ma chi stava lì non sapeva dire molto di quello che era stato e di quello che sarebbe venuto dopo.

17.8.05

When The Music Take Over, The Music Take Control (turuttuttuttuuuu turuttuttututuruuu):
FIB 2005 - Sábado


Kaiser Chiefs
Visto: circondati da ragazzini inglesi al centro del solito posto
Giudizio: o

Il nostro incedere verso il recinto è cadenzato dai martelli di Cycle. Di quello che si è saltato in precedenza dirò dopo, per intanto la giornata inizia col gruppo preferito dal ragazzino di dieci anni nostro vicino di tenda. I Kaiser Chiefs sono abbigliatissimi e variegati come una boyband. Il cantante è un turista italiano degli anni Cinquanta con cappello di paglia, jeans con enormi svolte alla pescatora (quasi un pinocchietto) giacca chiara e cravatta infilata nella camicia. Il ricciolone è vestito da piccolo lord. Poi gli altri hanno cravatte e somigliano ai Bitels e agli Stons. Il cantante tarantolato prende a calci il manifesto del Fair Trade, si tuffa sul pubblico come faranno altri durante il festival (il polifonico Tim, il Robocop Krauto etc). Poi ricorda il suo passato da muratore inerpicandosi sulle impalcature di sostegno delle luci. Dal punto di vista musicale Chief e soci reggono la parte di nuovi fenomenini delle riviste inglesi con un compitino ordinato e a tratti persino gradevole che scatena le inglesine e gli inglesini. Non oso pensare cosa succederà sul palco grande quando ci saranno i Keane (e io non ci sarò).
Se proprio ti interessano guarda il video di I Predict A Riot.




The Raveonettes
Visto: non troppo distanti dal palco dell’Escenario Verde
Giudizio: +

Concerto al tramonto. Il batterista (Michael Stipe) è dietro e i quattro manici sono davanti in fila rettilinea, come un glorioso quartetto vocale o come i Ricchi e Poveri quando c’era ancora Marina Occhiena. Lui è inguardabile con una riga al centro che nemmeno negli anni trenta, lei è dibattuta tra Blondie e Courtney Love: o la fotografano molto bene, o si è inciccita nell’ultimo tour (ma a noi ci piace così). Il gioco principale è “Scopri a chi dei tre appartiene quel suono” e quasi sempre la soluzione è che lui e il socio si spartiscono melodia e distorsione e lei aggiunge qualcosa di complemento ritmico. Il ritmo è quello del nuovo disco e prima del finale tocca il massimo dei giri con Sleepwalking. Uncertain Times, The Heavens e Seductress Of Bums incitano al ballo lento mentre i più movimentati inclusi quelli del vecchio disco consentono al massimo un ondeggiamento da ascolto. Ordinati e semplici nell’esibizione, forse con l’unica pecca di non aggiungere niente al disco che non sia il calore degli strumenti suonati dal vivo. Ode To L.A. è eseguita con una Ronnie Spector appicicata con lo scotch e, paradossalmente, migliora quando le si sovrappone la voce di Sharin. Finale con la discoteca e le vacche di Twilight, appropriata più che mai per la luce circostante e per condurci al successivo delirio danzereccio.
Se proprio ti interessano guarda il video di Love In A Trashcan.




!!!
Visto: seconda fila accanto a una vichinga che ci proteggeva da francesi a torso nudo con sudore gelatinoso
Giudizio: ++

Senza Parole. Ricordo tanto rosa, Nic Offer vestito come Pippo Franco nella Famiglia Stroppaghetti mai fermo nello stesso posto che a un certo punto decide che il suo asciugamano è inutile e lo lancia al pubblico, i musicisti che ruotano vorticosi scambiandosi strumenti e radunandosi sediziosi ai tamburi&piatti, i balli sesshuali del cantante da solo con microfono insieme al compare, il basso, I don’t give about that motherfuckin shit, loro che si guardano per prolungare la canzone, “ehi ha rotto la telecamera sulla gru” “no, l’aggiustano”, il basso, un sorso d’acqua buttato sul pubblico un altro la bottiglia piena intera, i fiati quando non suonano da fiati, il basso, l’insieme, turuttuttutuuu turututtuttuturuuuuuu turuttuttutuuu turututtuttuturuuuuuu. Miglior concerto del festival. Stato confusionale postorgasmico. Metto la testa sotto la fontana nel prato.
Se proprio ti interessano guarda il video di Hello? Is This Thing On?.







Ladytron
Visto: più o meno al centro del solito posto
Giudizio: +

Assisto alla prima metà del concerto e ho la conferma che come da nuovo disco i (ma io preferisco dire le) Ladytron stanno abbandonando il suono da diciasettenni innamorate dei Kraftwerk per lidi maggiormente ibridati col rock, non solo per quanto riguarda i suoni ma anche per quanto riguarda la scrittura di quelle che ora stanno diventando canzoni. I pezzi vecchi non vengono stravolti ma in certi casi riletti sotto questa luce. Ballo Evil, canto Blue Jeans, raccolgo frammenti di Cracked LCD, ammiro da lontano la splendida Mira anche se il suo nuovo taglio di capelli mi sembra troppo vezzoso. Sulle tastiere hanno scritto CLEOPATRA. Attendo inutilmente Seventeen (che sarà cantata quando sarò via dalle due schienacontroschiena) ed usciamo su una rallentata Destroy Everything You Touch. (pstt pstt rubo un’unica foto per mostrarvi Mira da qui, dove trovate anche Devendra ed Erlend qualora lo vogliate).
Se proprio ti interessano guarda il video di Destroy Everything You Touch.




The Robocop Kraus
Visto: in prima fila tra degli sciamannati italiani e accanto alla vichinga #2 con le spalle rivolte verso il palco
Giudizio: ++

Chissà se avranno capito che quei quattro pazzi in prima fila al centro del palco erano italiani. Vabbe’ molti tedeschi presenti, ma noi urlavamo di più (e qualcuno faceva persino headbanging sciogliendosi la chioma). Alla fine un tizio ci chiede se sappiamo il nome del gruppo. I Robocop Kraus facevano quella cosa di moda adesso del revival new-wave-post-punk-pappara danzereccio con due o tre anni di anticipo ma non se li filava nessuno. Tranne essere ripescati in extremis grazie alla canzone che chiuderà il concerto, che se non è un inno poco ci manca. Dal vivo mischiano quattro pezzi del disco ripescato (ma a me sono sembrati di più) con quattro canzoni dal disco nuovo e uniscono al tutto altri brani provenienti da chissà quanti anni fa. Le loro camicie grigio scuro presto vengono bagnate da sudore e sbottonate, il cantante è una sincope continua. Concerto intensissimo, senza pause, ballato e sudato (ancora) e a tratti anche urlato (“Mario Lanza make me a danza!”. “In his fashion!”, “A-HA!”). Fake Boys fa esplodere il FIB Club e io spendo lì il mio residuo di corde vocali per la giornata. Non resta che recuperare la scaletta tutta calpestata (ah, se non scegliessero sul momento avremmo anche quella dei !!!) e reperire il nuovo disco che è già uscito nei paesi di lingua tedesca.
Se proprio ti interessano guarda lo sKrausissimo video di Fake Boys.






Chi l’ha visto?
E Devendra? E Devendra?? E Devendra??? Ahuè noi avevamo le mansioni da fare. E i Kings Of Convenience? Un po’ mi sono pentito di averli persi, ché già li avevo visti ma un tendone familiare come quello dell’Hell-O-Moto forse è meglio di un palasport barese. Tra chi suona prima del nostro arrivo quelli che mi intrigavano di più erano forse i Souvenir, spagnoli simili ai Les Très Bien Ensemble (salvo poi scoprire che in realtà il loro pop alla francese è più dalle parti degli anni Ottanta e meno interessante – o almeno così sembra dall’ultimo disco, con l’eccezione della meravigliosa Une Ombre de Toi-Même). Curiosità per l’esibizione di La China Patino negli spagnoli Cycle in contemporanea coi Kaiser Chiefs. In sovrapposizione coi Raveonettes gli Xiu Xiu, già visti ma che avrebbero meritato se non altro perché dall’ultima volta sono usciti quattro cinque dischi loro, e i Mouse On Mars che forse recupererò a Settembre e che da un breve assaggio mi sono sembrati molto orientati al ritmo. Durante i !!! si esibiscono i Bubble Gum, synthpop spagnolo con dolce cantato femminile, mentre l’unico rimpianto in uscita dal recinto lo riservo ad Ada e alla sua elettronica cantata: chissà se avrà cantato Maps e chissà se occhialone Erlend sarà stato tra il pubblico.

15.8.05

It’s Friday I’m In: FIB 2005 - Viernes


Les Très Bien Ensemble
Visto: seduti a gambe incrociate con tanto spazio intorno all’Hell-o-Moto
Giudizio: +

Il festival si inaugura con un concerto al tendone Fiberfib.com/Hell-o-Moto che come noterete dal seguito diventerà nostra seconda casa. Les Tres Bien Ensemble, nati come cover band di Gainsbourg e delle sue lolite e in seguito autori di un pop retrò che guarda a quegli anni, sono il miglior modo per iniziare senza traumi eccessivi un festival che sarà dispendioso in termini di energie, sudore e ore di sonno. Gente sulle stuoie di paglia accoccolata ad ascoltare CrepSuzette, il cicciochitarra e il resto della banda. Suzette è visivamente una via di mezzo tra Paola Turci e una Birkin brutta e limita il suo senso della scena all’uso di accessori vari (occhiali, boa bianchi e rossi). Il suono è meno levigato che su disco, ma la scelta potrebbe essere legata alle dimensioni del posto. La perfezione del canto a due voci di A Hélene è un gradino sopra i pur buoni episodi del belleesebastianismo anni sessanta di En Attendant Rascolnikov, delle citazioni di Toi Et Moi, del jukebox sulla spiaggia di Gronde Moi e del doo-wop sanremese di C’est Fini. Menzione negativa invece per la melodrammatica Ne Lui Dis Pas Á Maman, già bruttina su disco e qui aggravata dall’utilizzo di boa rosso non regolamentare per l’incipit in cui Suzette recita (male) l’orribile “Sono un puttanone”.
Se proprio ti interessano guarda il video di A Hélene.




The Zephyrs
Visto: come un concerto in un festival di grandi dimensioni
Giudizio: +

Il primo concerto visto come se fossimo a un festival è quello degli Zephyrs. Al Fib puoi stare anche nei pressi dello scenario, passeggiare vicino, sederti sull’erba del prato e gli altoparlanti e i maxischermi penseranno ad accompagnarti lungo le tue soste di decompressione. In questo caso dopo le prime due canzoni ci si è mossi per esplorare il territorio circostante.

Siamo entrati e usciti dal tendone con le postazioni internet gratis, ché non abbiamo fatto tanti chilometri per quello, poi abbiamo fatto un salto al luogo dello scandalo: il FIBshop. Il punto ufficiale del merchandising vendeva magliette a prezzi ignobili (30-40 euro) raggiungendo l’estremo della mancanza di vergogna con una maglietta dell’anno scorso di Belle And Sebastian a 50 euro (chk chk chk, lasciatemi dire). Spagnoli irritati, inglesi tra i trenta e i quaranta che compravano (poche) magliette dei Maximo Park e i commessi che ridacchiavano complici per la mia foto all’oggetto sotto accusa.

Si ritorna in zona Hell-o-Moto e si apprezzano le note scozzesi degli Zephyrs che iniettano il folk in ballate silenziose e cantate tra Mogwai e Arab Strap: un concerto insomma che se avessi conosciuto il gruppo e il suo repertorio avrei apprezzato e desiderato ancor di più. Breve salto al prato col maxischermo e alle botteghe annesse e poi ritorno al tendone per il finale.
Se proprio ti interessano guarda il video di Stargazer.




The Kills
Visto: a media distanza dal palco
Giudizio: -

Sono prevenuto. Il disco dei Kills non mi è dispiaciuto, ma l’ascolto del set di Arezzo Wave via radio e alcune voci sulla pochezza dei due dal vivo mi aveva messo sul chivalà. Alla fine dei conti non siamo dalle parti del disastro che mi aspettavo, ma il concerto è stato insoddisfacente. Appena la metà del repertorio riesce a superare con sufficienza la prova del palco, essenzialmente per questione di dinamicità e spessore. Ingessati, con suoni troppo impastati e incapaci di variazioni negli spessori e nelle sfumature di ruvidezza. Quando si passa poi alle notazioni sulla loro presenza scenica arrivano le note dolenti: lei sembra una Carol Alt distrutta dall’eroina tra dieci anni in un film noir di Vanzina, tiene davanti alla faccia una frangia che le arriva alla bocca ma che sposta quando deambula per non inciampare; lui a un certo punto cerca di attirare l’attenzione col moonwalk coordinato col movimento di chitarra. Il peggio però è quando si mettono uno di fronte all’altra e simulano una tensione sessuale che non c’è, coprendosi di ridicolo. Finti e noiosi.
Se proprio ti interessano guarda il video di The Good Ones.



Mangiamo accanto al tendone dell’Heineken dove dovrebbe esserci Solex. A dire la verità arrivano da lì rumorini analogici e distorsioni che non ricordavo, salvo poi scoprire dentro che non era Solex ma i Solex da Madrid. Cerco di sbollire la rabbia per il cambio di cartellone che se da un lato prolunga la durata dei Cure a ben due ore, dall’altro con un gioco di prestigio mette di fronte al dilemma “Yo La Tengo o Fischerspooner?”. Dilemma in fondo in fondo inesistente se si pensa che gli YLT sono ormai eterni, mentre probabilmente presto ci dimenticheremo dei FS. Allora chi sei andato a vedere? Claro, i Fischerspooner. A parte la voglia di epater l’alternatif, a parte che la mia cara Season of the shark era così sussurata che nei miei pochi minuti di presenza all’Escenario Verde ho pensato che forse gli YLT non erano adatti a quel luogo, a parte questo e altro mi era venuta voglia di saltare e urlare. Di mezzo l’inizio di Electronicat che si presenta a torso nudo con una collana di denti di animale di plastica, con un trucco a metà tra lo sciamanico, Morgan stempiato e i Kiss e che incuriosisce con la sua mistura di rockabilly ed elettronica.



Fischerspooner
Visto: “ehi, ma c’è l’acqua!”
Giudizio: ++

Il post-punk in mano ai Duran Duran. Fischer e Spooner si presentano in versione rock band e stanno più dalle parti di Odissey che da quelle di #1, che credo di avere ascoltato solo una volta. Rimosso a tal punto che non ricordavo il secondo pezzo del concerto, ovvero una stupenda cover di The 15th dei Wire, che su disco giocava sul contrasto tra visuale garage e innocuo synth-pop mentre dal vivo acquista cupezza e vizio. Vizio che non si traduce in grossi eccessi sulla scena, niente spogliarelli alla Scissor Sisters, giusto un cambio d’abito per il cantante da una mise da pro-console in assetto da guerra al kimono del video di Never Win. In compenso la dissonanza tra i banner cartacei che incitano al Fair Trade e il logo Motorola che oscura quasi metà dell’immagine sul maxischermo del palco è risolta da Casey Spooner con un continuo inneggiare perculatorio all’Heineken, sponsor della loro permanenza sulle coste spagnole. Il concerto è solido, salto, urlo, ballo, sudo con un occhio all’orologio per i Cure. Faccio in tempo per tutte le preferite di Odissey e perdo solo gli ultimi dieci minuti in cui pare che abbiano chiesto al pubblico quale dei componenti avrebbero preferito nudo e in cui hanno intonato un coro apposito di saluto finale alla Heineken. Dopo aver visto l’Hell-o-Moto stracolmo saltare e urlare sull’accoppiata Just Let Go/Never Win, su Happy (as Happy), sulla mia A Kick In The Teeth e sull’antifallaciata di Susan Sontag mi sento di consigliarveli quando passeranno dalle vostre parti. Quando la finzione è finzione riuscita (e senza troppi eccessi da vaudeville).
Se proprio ti interessano guarda il video di The 15th Hi Med Lo.




The Cure
Visto: seduti sul prato, dal maxischermo
Giudizio: --

Una volta ho avuto una discussione sulla decadenza di Robert Smith. Per quanto l’immagine cortisonica, per quanto le ultime canzoni bruttine, ho sempre pensato che un giorno sarebbe arrivato il momento del mio concerto dei Cure e che, nonostante tutto, sarebbe stato bellissimo. Il concerto dei Cure invece è stato uno dei momenti peggiori del festival, un’agonia interminabile forse anche legata alla durata eccessiva per un festival. Soprattutto la mancanza di tastiere, ma anche la scelta delle canzoni (God Bless Erlend Øye for A Forest) ammazzano gli entusiasmi e si ha la triste impressione che non ci sia differenza a seguire un concerto così freddo e di routine da grande distanza nell’Escenario Verde, sul prato davanti al maxischermo con i martelli di Peaches in sottofondo o in televisione con le interruzioni degli spot pubblicitari del Mulino Nero. Ma i ragazzini non piangono…
Se proprio ti interessano guarda il video di Boys Don’t Cry.



Chi l’ha visto?
Perché, e sì, c’è anche quello che ci si è persi, per le sovrapposizioni o perché si va via prima. Già detto del dannato cambio di cartel che fa saltare Yo La Tengo e di Electronicat in contemporanea con Fischerspooner, ci si perde chissàcosaavràcombinatoPeaches (che a costo zero avrei anche provato), l’ormai inafferrabile Four Tet e Carrie nella Static Disco Night durante i Cure. L’abbandono della postazione costa invece la rinuncia allo show grasso di Basement Jaxx e ai succulenti dj-set indie-pop della Go Mag Night.

14.8.05

You Gotta Be 2000 Places I Was: FIB 2005 - Jueves


Deluxe
Visto: più o meno al centro dell’area dell’Escenario Verde
Giudizio: -

Preferiamo la permanenza al mare al set introduttivo di Aldo Linares (che saccheggia il repertorio dei partecipanti al festival di quest’anno e apre con Nancy Sinatra che canta You Only Live Twice) e ai Dorian (che visti sulle foto potrebbero suonare come i Ladytron ma non lo sapremo mai) e così arriviamo in tempo per l’inizio di Deluxe. Il gruppo spagnolo suscita gli entusiasmi della folla autoctona con un poprock inoffensivo e ricalcato senza troppi sforzi da questo e da quello. In certi casi così smaccatamente che una canzone che sembra With Or Without You diventa With Or Without You. E volete che la folla non si entusiasmi? O-oh o-oh.
Se proprio ti interessano guarda il video di Que No.

Deluxe

The Posies
Visto: ormai attaccati alla transenna
Giudizio: --

I Posies mi fanno schifo. Conoscevo due o tre canzoni e mi aspettavo un intermezzo powerpop dignitoso, invece risultano piatti e fiacchi. Stringfellow alla fine si cala le braghe e le tira sul pubblico (anni luce dagli Scissor Sisters dell’anno scorso). Mah. Azzeccano solo la presa per i fondelli del pubblico degli Oasis, cantando per primi Wonderwall alla velocità dei Chipmunks.
Se proprio ti interessano guarda il video di Definite Door.

The Posies

The Polyphonic Spree
Visto: tarantolato e quasi sul palco
Giudizio: ++

In uno dei bagni del campeggio, perché nei bagni del campeggio non ci sono i soliti annunci porno ma i primi commenti al festival, in uno dei bagni del campeggio - dicevo - dopo l’esibizione dei Polyphonic Spree è comparsa una scritta che recitava più o meno “I Polyphonic Spree stanno in Sister Act III”. Da un lato la puoi vedere così, al posto delle tonache hanno delle tuniche da Charlie Brown in the sky with diamonds, incitano a raggiungere il sole in compagnia di ragazze soldato e si affidano al casino, ché quando c’è da confondere le idee e manovrare è sempre il sotterfugio più facile da utilizzare. Eppure io, che su disco li trovo noiosetti nella loro massimale e pomposa versione della già massimale e pomposa nuova psichedelia (Flaming Lips, Mercury Rev e Spiritualized per capirci), sono diventato adepto laico della setta. Non ho cambiato opinione sui dischi, ma se ci fosse una funzione al mese dalle parti di casa non me la lascerei scappare. Le canzoni acquistano ritmo e sostanza, incitano con la loro iteratività al coro sconclusionato e in più, particolare da non sottovalutare, l’inutile (ma Together We’re Heavy) seconda chitarrista è un piacere per gli occhi (pauuura invece per la decadenza di Miss Flauto, che prima era altrettanto carina, cfr video vecchi).

Poi si possono trovare mille difetti come il ripetersi delle strutture (inizio ambiental-trasognato, cantato che si leva sull’orizzonte dell’umanità, balletto del coro, disco-stomp orchestrale ognuno fa un po’ quel che gli pare e ripresa catartica del tema precedente) o le mossette del coro che sono sempre le stesse. Nonostante ciò anche le sole It’s The Sun, la mia preferita Soldier Girl, Two Thousand Places e Light And Day, le pazzie di uno dei batteristi che continua a battere i piatti dalle parti dell’Hell-o-Moto a concerto finito e l’idea che il misticismo sia ormai così vuoto da poter essere utilizzato come contenitore laico rafforzano la precedente idea tutta fisica che questo sia stato uno dei concerti del giorno. Poi alla fine ti accorgi che sotto la facciata hippie ci sono le solite Allstar, ma è la conferma che l’immaginario alla Benny Hinn sia un qualcosa a metà tra la posa e il mezzo di comunicazione. Prima di chiudere Tim De Laughter canta “Love love love” (la spada de foco!), ripete il mantra “Together We’re Heavy”, prende la scaletta che ha sotto i piedi, ne fa un aeroplanino di carta e lo lancia. Ora, la scaletta in mio possesso non è quella lì, ma io ho la mia reliquia e chissà a chi dei ventitrè apparteneva.
Se proprio ti interessano guarda il video di Two Thousand Places Hi e Lo.

It's The SunTim
Soldier GirlI See All The Stars
Flylist
Reliquia


The Tears
Visto: prima fila
Giudizio: o

L’atmosfera della prima fila è quella di chi attende un concerto dei Tears che sarà anche un po’ un concerto degli Suede. Non sarà così. Anderson e Butler ripropongono dal vivo esclusivamente il nuovo disco e l’ascolto del concerto suscita pensieri non dissimili a quelli seguiti al disco, un disco con qualche buon pezzo e tanti riempitivi non all’altezza del miglior passato del gruppo. In uno dei pezzi migliori Anderson canta I try to move on but the ghost of you will stay e siamo da quelle parti, mettiamo in saccoccia Autograph, Lovers, Refugees e Imperfection con l’intro Vanmorrisoniano già saccheggiato da Beck e ci annoiamo per il resto. Il resto è fuffa e sculettamento di Brett (poca pancetta, qualche muscolo in più e taglio di capelli più corto) e calci a bottiglie e lattine di Bernard (che col capello corto sembra un'altra persona). Scelta spocchiosa, la loro.
Se proprio ti interessano guarda il video di Refugees.

Brett
Bernard


Underworld
Visto: più o meno al centro dell’area dell’Escenario Verde
Giudizio: ++

Ci sono tanti segnali che indicano questa edizione del FIB come uno dei primi eventi ufficiali del revival anni Novanta: concertone degli Oasis, britpoppers che occultano il loro passato ripetendolo nel presente, mostri sacri del rock alternativo col fiato corto, cloni dei gruppi di quegli anni, dj-set ispirati al periodo e gli Underworld che chiudono la prima serata. Se avete più o meno la mia età probabilmente riconoscerete agli Underworld il ruolo che riconosco loro insieme a tanti gruppi del periodo, quello di aver liberato i miei ascolti dai vincoli di genere. Dal vicolo cieco del rock alternativo americano ci aveva tirato fuori una miscela di pop che riscopriva la leggerezza e l’elettronica che ritrovava le sue possibilità musicali e le fondeva col rock. Di notte, prima che arrivasse l’inno generazionale di Trainspotting, si stava imbambolati di fronte allo schermo su cui passavano i bellissimi tomato-video di Cowgirl e Rez.

Il concerto inizia mentre sono ancora nei bagni, ma evito paragoni sconvenienti. Il suono fa tremare le pareti e si dischiude poco alla volta. Dal vivo gli Underworld tirano fuori un set teso e mai ripiegato su se stesso (era la mia paura). Dilatano, comprimono e intrecciano i pezzi come nel picco assoluto della giornata, l’intersezione obbligata di Rez che diventa Cowgirl che diventa Rez. Vetta di piacere che a confronto la Nuxx di Born Slippy è il coro da stadio che ci si aspetta, e nulla più. Occhi chiusi per questo e per il resto, ricordando gli occhi chiusi che avevo in passato mentre li sentivo e li ballavo e mi perdevo nelle sirene e nelle acidità e nelle parole una dietro l’altra, pescate forse da un sacchetto. I’m invisble, I’m invisible, everythingeverythingeverythingeverything.
Se proprio ti interessano guarda il video di Cowgirl dal vivo.

Everythingeverythingeverythingeverything