Get off get up you son of pop
Il ritorno a Palermo coincide con la festività religiosa di S.Rosalia. Il quartiere storico della Kalsa è illuminato per la festa e tappezzato di gigantografie delle foto di Dave La Chapelle. Il contrasto sa di già visto e me ne sono accorto solo per via del nome dell’autore sui manifesti, altrimenti non avrei notato differenze tra gli altri cartelloni pubblicitari della città popolati da bamboloni siliconati. Ma qui ci si divide sulla mancanza di rispetto e una suora ha anche sfregiato una delle opere.
Arrivo sul posto con le tre Midaircondo intente a spippolare sui computer e sui loro strumenti. Poca gente intorno, alcuni fanatici dei dEUS tengono la posizione in prima fila. Le ragazze sembrano sbattute, appena tornate dal mare e con troppe cianfrusaglie sui box davanti a loro. Hanno ancora i trolley sul palco e alla fine del soundcheck si rifugiano nel retro-palco per il trucco e parrucco. Che ha tempi biblici e così con un ritardo di più di un’ora sul programmato inizia la prima giornata della sezione Overground del Kals’Art di Palermo.
Non so, mi sto staccando sempre di più dalla combinazione detrito elettronico microscopico + piagnucolio femminil’intimisto + giocattoli: quando non la trovo fredda e inutile, mi sembra una furbata ottenibile a basso sforzo. Le svedesi
Midaircondo sono da quelle parti rappresentando la variante “+ uso dei fiati” e per gli appassionati del genere hanno il loro primo disco in uscita a Ottobre. Quando si ripresentano sul palco a piedi nudi e con vestiti bianchi uguali ma con piccole differenze sembrano altre persone. La rossa coi capelli bagnati ride, ride sempre, in contrasto con l’umore di tutte le canzoni. La castana che sembra uscita da una seduta di sei ore dal parrucchiere di Botticelli è imperturbabile e spezza la sua legnosità con pochi e isolati sorrisi. La bionda dal capello post-sessoselvaggio è china e nervosa sullo schermo del suo Mac e anche le sue risate durante le canzoni lo sono, chine e nervose. Ancora ora mi chiedo, perché ridevano?
In fin dei conti le tizie si mostrano meno banali di quanto avrebbero potuto col materiale a disposizione, limitando l’uso di luoghi comuni e scambiandosi più volte il compito di aggiungere una voce ai rumorini. Il problema è quando ricorrono al loro elemento distintivo, ovvero gli ottoni. Finché la rossa dai capelli bagnati utilizza la diamonica e una specie di incrocio tra il flauto e il fagotto, ci si mantiene in ambiti apprezzabili, ma quanto la boccoluta castana mette mano ai suoi sassofoni si scade dalle parti dell’aperitavito, se non direttamente del piano bar. Ma io ho una fisima nei confronti di quello strumento, devono avermelo dato in testa negli anni Ottanta da piccolo.
Le Midaircondo ottengono una buona risposta dal pubblico ormai infoltito, raccogliendo applausi convinti con
Serenade. Alla fine escono dal palco e rientrano, ancora una volta cambiate, per riprendersi l’oggettistica sparsa sul palco ed è invidiabile come riescano a infilare in maniera ordinata tutto quanto dentro un valigione a testa. Il giorno dopo mentre transitavo per il centro sul pullman per Bari hanno attraversato la strada nei pressi di Corso Vittorio Emanuele, anche se non ho fatto in tempo a prendere la macchina fotografica per immortalare il momento. Inutile dire che anche questa volta sembravano persone diverse e in particolare al netto dell’effetto fondotinta-palco-riflettore tutte tranne la botticelliana avevano questo aspetto da professoressa di liceo svedese che insegna italiano. Niente intervista con loro, come chiesto da
delio, non tanto perché l’unica domanda che mi veniva in mente era se avessero iniziato prima a maltrattare i computer o i fiati, quanto perché volevo mantenere il posto in prima fila per i dEUS.
I
dEUS hanno un armamentario scarno al confronto, così scarno che la batteria è dell’organizzazione, così come i roadie e forse anche il fonico. Salgono sul palco con convinzione. Tom Barman indossa una tutta da meccanico e nonostante ciò riesce ad essere più elegante di uno degli Air col vestito di Armani. In perfetto (o quasi) italiano grida al pubblico che quello di Palermo è
il primo concerto del tour di Pocket Revolution: a causa di una falsa partenza per un livello del mixer, subito dopo chiamerà l’applauso della folla per il secondo concerto del tour 2005 dei dEUS. E si inizia con
Istant Steet ed è come veder riavvolti dieci anni di basso profilo mai troppo celebrato.
Il concerto mi riconcilia col rock, come poco altro è stato capace di fare ultimamente. Il magnetismo del cantante è frutto di perfetti tempi scenici, dirige il resto del gruppo come quando chiama il finale disco per una canzone, gioca con le mosse tipiche del live e allo stesso tempo non sbraca. Quando declama sul silenzio
Worst Case Scenario il pubblico lo accompagna fino all’esplosione di una versione leggermente più muscolare del disco. Il primo rallentamento è per l’accoppiata
Jigsaw You /
Magic Hour, ma tutto il concerto alterna gli episodi più movimentati a quelli più lenti. A metà del set, affogata nel rosso totale delle luci di scena viene fuori quel gioiello di malinconia morbosa che è
Nothing Really Ends. Canto anch’io emozionato, sforzandomi di non chiudere gli occhi e di non perdermi un attimo di quella semplice perfezione.
Il set è generoso in lunghezza e mentre sullo sfondo partono i fuochi artificiali della festa di quartiere, i dEUS mettono in fila i pezzi grossi verso il finale.
Little Arithmetics parte trallallando e sul finale acquista distorsioni e volumi. Prima della fine degli applausi per la precedente, mentre Tom rivolge le spalle al palco comincia una a dir poco gloriosa
Theme From Turnpike, con le due chitarre che si rincorrono, il
no more loud music rivolto al fonico indicando il microfono e un finale che mette in rassegna tutti i ritmi visti fino a quel momento compreso un ottimo intermezzo disco. Al colmo dell’eccitazione parte
Suds & Soda e a quel punto ricordo poco, perso a urlare robotico
friday, friday. Nel bis, come più volte durante la serata, Barman si scusa della presenza di molti pezzi dal disco nuovo, ma l’aria è quella di una prova generale in cui testare la resa del nuovo repertorio. Alla soffusa
Serpentine segue la conclusiva
Bad Timing che si lega alla precedente con l’atmosfera della chitarra effettata e che conduce verso un finale efficace ma imparagonabile a quello pre-bis.
Il cimelio della serata è uno strano foglio che stava sul palco. Da un lato c’è una lista di canzoni. Dall’altro lato ci sono dei frammenti di testo da
Pocket Revolution,
Fell Off The Floor, Man,
Serpentine e il ritornello di
Nothing Really Ends. La lista contiene le canzoni eseguite ma in un ordine leggermente differente, i frammenti di testo sono scritti con una penna a sfera e un musicista dalla vista media con le luci presenti sul palco non sarebbe stato capace di utilizzarla per i controcanti. Eppure quel foglio era lì, e non sapeva bene perché.