28.4.05

Aridatece Viola Valentino


Ascoltando Romanticism Aside, album di debutto del duo canadese The London Apartments, per quanto il genere non mi dispiaccia dal punto di vista musicale nel suo intreccio tra elettronica del frammento e code ed effetti dreampop, vengo infastidito non poco dalla voce e da quello che canta: la voce debole, miagolante, senza fiato e su toni troppo alti rispetto a quelli che natura consente comincia a diventare simile a quello che era la voce bassa, piena e tendente alla salita urlante per certo grunge terminale.

26.4.05

Quando ho detto che avrei voluto essere il tuo cane vagabondo




Tanto per cominciare una stazione e una scritta sul muro. Quella scritta è più sottile di quanto sembri, cangiante. Forse davvero rimanda a una canzone dei Diaframma, forse è soltanto il patetico inno di chi unisce le ammaccature sentimentali al triste fenomeno dell’essere punkabbestia, piaga mai troppo stigmatizzata. Ha un segno finale di chiusura (una parentesi?) ma non si vede da dove parta tutto ciò. Poi io passo lì davanti mentre vado a comprarmi il panino salame piccante e provola per il viaggio. Io decontestualizzo tutto quello che mi capita davanti, persino la mia ombra è un’ombra cinese. Jens Lekman nelle sue canzoni cita mezzi di trasporto, tram, taxi e la luce. Il cane vagabondo è una coincidenza tra un regionale e un eurostar.




Reduci dal party di laurea “Santo Subito!”, nel segno del cane broccolone ci siamo spostati verso il Covo con un’impazienza tale che davanti alla porta chiusa c’era soltanto il nostro gruppo e pochi altri noti. Imbambolato davanti alle proiezioni sulle pareti valuto la carenza della sezione beveraggi del posto. L’apertura della serata è affidata a tale Jenny Wilson e, sarà per la sua presenza matronale, sarà per gli atteggiamenti, sarà per la sua musica, ma non sembra per niente una mia coetanea. Imbraccia una chitarra con pericoloso fare da folk-singer e non ha nessuno intorno a sé. Sullo sfondo un ragazzino spolvera il mixer con un pennello da mobili. La musica della Wilson è quel paio di dozzinali sandali rossi (in questo momento sono molto attratto dall’uso della parola dozzinale, scuserete): non scaccia l’immagine di una cantautrice infognata nel suo essere brutta copia di brutte copie, disco di sconosciuto epigono venduto al mercatino dell’usato tra i suoi imbarazzanti sandali, il vestito che non riesco a definire nemmeno panda e le pantofole simil-DeFonseca del dopo concerto. Per quanto lanci dall’aggeggio posto sullo sgabello basi pseudotroniche e friccichii assortiti, l’impressione è che questi elementi non si mischino con la ripetizione stanca di formule e non provino nemmeno a salvare il salvabile per quanto siano avulsi dalla scrittura dei pezzi. Come se non bastasse, la sua voce non è particolarmente interessante (dozzinale?). Ci si chiede dove l’abbia raccattata Jens Lekman o chi per lui, se sia un’amica o una confidente a cui deve troppi favori e soprattutto ci si chiede se in un percorso di implosione progressiva questa Jenny Wilson spingerà qualche giovane donna sui sentieri della fastidiosa epigonia. Ma mentre ero assillato da simili paure, Jens Lekman, le Spice Psychogirls e il violinista preso in prestito da un set porno svedese anni settanta erano già sul palco.



La prima a salire sul palco è la violoncellista, bruna mole vichinga, collare per cani e calze a righe su collant: sistema il suo strumento e posiziona il portatile dall’impresentabile sfondo desktop con cui farà partire le basi quando necessario. La violoncellista manterrà per tutto il concerto espressioni di musica altezzosità oscillanti tra il rapimento mistico e l’orgasmo semitonico, punteggiati qui e là da qualche sorriso a denti stretti. La violoncellista è sempre immersa in una luce rossa. Gli altri arrivano tutti insieme. La band di Jens Lekman è composta quasi esclusivamente di ragazze, ognuna caratterizzata rispetto alle altre per un’inezia, un particolare. Oltre alla violoncellista circondata dal rosso, l’immagine classica della posh tastierista e della tamburina bionda è stata sovrastata dalle tre espressioni contate dell’incantevole bassista (sguardo sbarrato verso sua sinistra, sguardo sbarrato a occhi chiusi, sguardo sbarrato con sorriso). Il violinista dall’aspetto vagamente rattuso, si occupa anche delll’ormai immancabile campanaccio e si unisce ai cori dal microfono posto sotto le corde dello strumento, seguito nell’azione dalla violoncellista circondata dal rosso. Jens Lekman ha una maglietta bianca dal collo vissuto la cui illustrazione rimanda ai Decemberists e ai loro velieri. Alterna una chitarra e un ukulele di romantico fiore ornato. Canta anche lui per quasi tutto il tempo a occhi chiusi, indossa una coppola e porta una mirrorball come portachiavi.

La maggiore curiosità con cui mi apprestavo al concerto riguardava come sarebbe stato reso il trasporto grandorchestrale di alcuni pezzi. Il numero di persone sul palco non ha certo evitato l’uso di basi e campionamenti. Pur nondimeno le canzoni non sono state imballate in scatole e in andamenti precotti, un po’ per le variazioni di tempo rispetto agli originali (quasi tutte al rialzo) e un po’ per la capacità di fornire un insieme caldo e non meccanico. Paradossalmente questo risultato non è stato raggiunto grazie a particolari capacità dei musicisti: la tamburina spesso rimpolpava sezioni ritmiche già presenti su base, l’incantevole bassista non aveva grossi compiti e, scuserete, ma non ho decifrato bene il compitino della posh tastierista. Più incisivo il lavoro della sezione archi sia dal lato melodico che da quello legante. Gran merito va allora alla prova senza sbavature di Lekman e al suo alternare pieni e sottili vocali, alla scrittura di queste canzoni che evita l’effetto karaoke proprio perché ammette fin dall’origine, quando Lekman non rimane solo con il suo ukulele, una preregistrata certezza di sostegno.

Certo il concerto è stato breve, pur essendo costituito da quasi tutto When I Said… (ma mancava la canzone del compleanno e dei testimoni di Geova), da alcune canzoni recuperate dagli EP (ma mancava un saluto di/a Rocky Dennis) e da versioni recuperate dal dipartimento delle canzoni dimenticate (ma mancava Boisa-bis-o-boisa, che sarà anche una cacatina ma non resisto al campionamento simil-Royksopp-remixano-KoC + (s)citazioni nel testo assurdo + nonsense bambinesco). Certo Lekman non si è diretto verso il prato esterno per soddisfare le richieste più disparate come aveva promesso e si è limitato a un mini-show per pochi nel camerino. Certo potrei trovare altri tre, massimo due, difetti a una sessantina di minuti così piacevoli. Invece restano alcuni frammenti. Restano gli andanti col tamburo grasso, con gli archi che fioriscono primaverili e le parole fraintese a nostro piacimento come in Maple Leaves o come i tormentoni creati con l’imbecillità del T9. Resta un messaggio non mandato per non svegliare qualcuno su Do You Remember The Riots? e Jens che grida che vuole vedere quel fuoco, senza stonare. Resta Pocketful of Money, dove la musica non finisce e cullato dal piano corro insieme a una voce cavernosa e familiare. Resta il violino finale di Psycho Girl che mi ricorda la canzone di Gianni Morandi sui comandamenti e il papa (primotunonprendiparteneancheaunabarzelletta). Resta il battimani e la dedica ‘ncarcerata di You Are The Light. Resta qualcuno che lì accanto piange e ride. Resta la delicatezza di uno straniero che conosce le canzoni che conosci tu e da loro non sa scappare. Resta quella ghetto-figata della dolce notte d’estate del 1993, che nomina Regulate di Warren G e i nostri sedici anni: bom-bo-bom-bo-bom-bo-bom-bo-bom-bo-bom e microfono portato al petto. Resta un jack staccato. Resta un fiore forse di plastica che per uno strano gioco di luci e ombre cinesi disegna un cane vagabondo su una maglietta.




















21.4.05

Rinfresco compulsivo


Oggi esce qualcosa, mi hanno detto. Clicco ininterrottamente qui. Poco fa hanno cambiato il layout e ora i menù sembrano a disposizione, ma la scritta dice ancora ‘proximamente’. E allora continuo a premere aggiorna.

Update: rueda de prensa alle 11:15 (credo fuso orario spagnolo)

Update: la conferenza stampa inizia con mezz'ora di ritardo. Il video non si vede causa firewall, utilizzo la versione testuale. Dall'anno prossimo Benicassim sarà tenuto in Luglio.

Update su gruppi confermati: Xiu Xiu, Wedding Present, The Tears, Kasabian, The Kills, LHR, Ladytron, Lemon Jelly, Mouse On Mars, Pansonic, Sr Chinarro, Tarwater, Oasis, Nick Cave, Dinosaur Jr, Yo La Tengo, !!!, Devendra Banhart

Update su gruppi confermati: Il Cartel
(tra i più interessanti oltre a quelli qui sopra Underworld, LCD Soundsystem, Basement Jaxx, Fischerspooner, Matthew Herbert, Andrew Weatherhall, The Polyphonic Spree, Daniel Johnston, The Raveonettes, Mylo, Erlend Øye, Four Tet)

Update su gruppi confermati: imperdibili i Subsonica nella festa di apertura. Aggiunti Zephirs, Cycle, Thomas Brinkman e una serata LADO con i Robocop Kraus

Casa Morr ci comunica la presenza di Masha Qrella

Update modaiolo anzichenò: Peaches, Hot Hot Heat, Micah P. Hinson, Mando Diao, Austin Lace e 'na poco che non conosco

Update con revisioni e aggiunte: per il settore "cortisone e faccia gonfia" The Cure, sul palco kefiah atteggiosa Prefuse '73. Micah P. Hinson era una bufala

Update: Maximo Park, Rosina Murphy dei Moloko, Solex, Bookless e vincitori del Progetto Demo per le varie nazioni (per l'Italia Les Fauves)

Update: Oltre a qualche altro nome (cfr sito) annunciata un'intera DFA night che va ad aggiungersi ai concerti di LCD Soundsystem e !!!. Concerti di Hot Chip, The Juan Maclean, Delia & Gavin, Black Leotard Front e Black Dice. In chiusura dj set di James Murphy, Tim Sweeney e Marcus Lambkin

(Pare che, uffa, sarà uno degli ultimi) Update: Lemonheads, Bubble Gum, Electronicat, Layo & Bushwacka, RBK & SUM, Toner Domestic e una Wall Of Sound night con Erol Alkan, The Infadels, Justin Robertson, Mark Jones and Alvin C. Si aspettava il grande nome e invece pare che si attendano soltanto un gruppo per il FIB Club, un dj per la festa di partenza e il line-up della Pista Pop. I Subsonica non più presenti nella FibStart

Photo-Update: i partecipanti, giorno per giorno, palco per palco.


Update: Migala e Optimo DJ nel Fib Start

Four Tet o The Cure? The Raveonettes o Mouse On Mars? The Robocop Kraus o i Dinosaur Jr? Daniel Johnston o Nick Cave? Sì, sono usciti gli orari.

20.4.05

Cose che nemmeno Sandy Marton e i Daft Punk


Pareti di vetro


Mattina strana tra inserimenti ripetitivi di parametri e riflessioni. Ascolto il cd di rarità degli Yo La Tengo, il terzo di Prisoners of Love. Sono in loop da un bel po’ sulla bella versione acustica di Tom Courtenay e non riesco a capire se la versione elettrica sia la fioritura semplificante dell’acustica o se l’acustica tiri fuori dei lati intimi e nascosti dalle chitarre dell’elettrica. Mi perdo nei rivoli dei riferimenti al Billy Liar (film non visto di tanti nostri preferiti), ai suoi attori, ai personaggi, a Marshall Crenshaw che nel video faceva qualcosa che non ho mai visto e che era Buddy Holly in La Bamba. Mi chiedo se la chiave sia la voce di Georgia Hubley al posto di quella di Ira Kaplan, il pa-ppa-pa-paa a un volume più alto, la fragilità rara e insieme banale nascosta dietro a una teca di vetro. Mi chiedo se le pareti di vetro intorno a questa versione siano specchi.

Peccati privati



Il mio attuale precedente sfondo del desktop
(non so voi ma quando cambio sfondo, la mattina dopo l’apparizione mi inquieta)

Strani incroci


Tutti quanti abbiamo visto tanti telefilm, immagino. Tutti quanti sappiamo che da un telefilm può nascerne un altro (‘spin-off’). Ma cosa succede quando un personaggio di un telefilm visita il suo vicino di programmazione? Sapevate che in una puntata di Batman Lurch degli Addams guardava da una finestra la classica scalata del grattacielo da parte dell’uomo pipistrello e del fedele Robin? Ricordavate quella volta che le Charlie’s Angels andarono in crociera sulla Pacific Princess di Love Boat? E poi Arnold e Mr Drummond e George e Weezie Jefferson che cercano di prendere in affitto la casa del Principe di Bel Air, gli incroci a cartone animato e le storie a due tra Magnum P.I. e Simon & Simon, tra Manimal e Nightman, tra Xena ed Hercules, tra l’Uomo da Sei Milioni di Dollari e La Donna Bionica. Tra il salto dello squalo, la sinergia produttiva e il richiamo alle radici.

19.4.05

They’ve said all I need to say about them


L’ultima giornata della Tidicappa Dance Marathon è sintetizzata nella domanda di chi capita lì per caso e ti chiede ‘Ma qui si balla stasera?’. In termini di serata danzereccia potete vederla come il crescendo simbolo di una notte in discoteca: si inizia con un sottofondo che mantiene distratte le persone, qualcosa che per variazioni ritmiche innalza la temperatura, seguito da una corporeità crescente fino ai pezzi che tutti conoscono e su cui la folla improvvisa coreografie scomposte o ripete calibrati passi pensati davanti allo specchio durante la settimana (non ditemi che non pogate contro i mobili quando sentite Movement). Poi arriva un dj e molti di quelli che fino a quel momento si sbattevano l’uno contro l’altro smettono di ballare e preferiscono lasciare il campo ai consueti frequentatori dei Magazzini Generali in favore di un po’ di sana chiacchiera post-concerto. Ecco, forse è mancata la scelta di un dj forte dopo il concertorgasmo. Di certo, il quadro che è venuto fuori dalla serata (o dalle scelte degli organizzatori) è che l’elettronica pura è la grande assente perché da sola nungliafà più, non riesce a scrollarsi quell’anonimato che solo in rari casi si trasforma in spettacolo. L’elettronica diventa allora elemento di struttura per nuove improvvisazioni di musicisti che si guardano in faccia (The Battles), radice storica ed elemento prismatico attraverso cui scomporre cliché e intuizioni dell’hiphop (Prefuse ‘73), lama di un frullatore in cui un genio del male scaraventa le nostre esistenze in musica e danza (LCD Soundsystem).

Scendendo nei particolari la prima tentazione è l’agiografia. Perché due tizi di quelli che “It’s like a movement from a smaller place to a bigger city” mi costringono a esclamazioni quali “Prefuse ‘73 è dio” e “James Murphy non scherza” fino ai più contenuti “Sono diventato politeista” e “Santi subito!”. Ma siccome qui siamo persone serie riavvolgiamo tutto e torniamo all’inizio. Il primo giorno James Murphy e Scott Herren si incontrarono e decisero che quello era il primo giorno (scherzo). Dicevo, torniamo all’inizio. In apertura, sarà l’insalata di riso, sarà che sono ancora le nove di sera, sarà che non c’è il mare a Milano ma il Boris che apre non lascia particolare traccia di sé a differenza di The Battle. Il supergruppo che accompagna il prefuso in tour viene reindirizzato sui megaschermi e mi accorgo che si guardano tra loro mentre suonano, si cercano come se il concerto non fosse che una serie di improvvisazioni in cui chi tiene a tracolla uno strumento con le corde, ne ha davanti anche uno coi tasti su un cavalletto. La vecchia storia del rock mischiato con l’elettronica si direbbe, eppure l’approccio è legato molto all’intreccio di musica suonata e i risultati spaziano tra le parti più ballabili, contigue al punkfunk, e quelle più spezzate, debitrici al lato elettronico e alla regia della ritmica. Curioso relativamente a quanto ciò sia venuto fuori dal vivo e a come ciò sia reso su disco.

Scott Prefuse ‘73 Herren arriva nel pomeriggio con una cricca di almeno otto persone (il suo gruppo + The Battle) sulle macchine promozionali fornite dall’organizzazione. Si presenta addobbato come un albero di natale della contestazione all’Impero e quando si avvicina Kieran Four Tet Hebden scatta un saluto repposo in cui nemmeno Will Smith e Jazzy Jeff si sono prodotti nelle prime puntate del Principe di Bel Air. È il colore che ci concediamo prima del ‘Gloria a te, minipimer col sogno del ghetto dipinto da Picasso’, ma è un colore necessario perché Scottie, per quanto intellettuale e astratto e innegabilmente bianco, flirta con una serie di pose e atteggiamenti che rischiano di farlo sembrare una macchietta, se non proprio uno stronzo pieno di sé. Nonostante ciò il suo set dal vivo è un meccanismo ben congegnato a partire dalle forze dispiegate: invece di assistere al neutro spettacolo di “Un uomo, un laptop”, la scelta di avere due dj e un bassista di supporto da un lato movimenta il palco e dall’altro sgrava il lavoro del titolare, che spesso si limita alla regia e all’intervento sul moog e sulla batteria elettronica, dove però l’effetto è quello di chi tamburella sul tavolo mentre ascolta un pezzo (ma noi siamo malfidati, eh). Sgombrato il campo da questi dubbi/apprezzamenti, si riconosce l’affiatamento raggiunto dai tre giradischi e la cura con cui il quartetto carica sempre più la tensione. Probabilmente la mancanza degli ospiti, di cui purtroppo è pieno l’ultimo disco, spinge a una maggiore concentrazione sulle dinamiche e a una minore reverenza rispetto all’altro da Prefuse. Io a un certo punto gli ho gridato “Yo Motherfucker!”, il pubblico ha persino ballato e richiesto un bis al posto del quale è arrivata una sostenutissima rimozione degli strumenti con tanto di finto broncio. Poi siamo corsi dall’altra parte di Milano.

Beat Connection è già iniziata quando entriamo e ci discoinfiltriamo tra la folla fino a raggiungere il palco. Questa parte ve l’hanno già raccontata in tanti, in certi casi benissimo. Verrebbe voglia di rimandarvi semplicemente agli aggregatori di testimonianze, la gentile Violetta e il dancing dj Enzo Polaroid, curiosamente entrambi spettatori a distanza. E invece no, perché il senso di tutto è che per quanto tutti abbiano già detto tutto, i particolari non risaltano sempre allo stesso modo, come quando scrivi una frase la cancelli e la riscrivi per dieci volte: la coazione a ripetere verrà scardinata da qualcosa che in questo caso però è conscio, programmatico e sottilmente paraculo. Yeah ripetuta in più versioni, fuori da dischi e dentro, su compilation con altre canzoni sovrapposte è il punto chiave attraverso cui si capisce che il materiale è lo stesso ma viene fuori diversamente qualora James Murphy decida di gridarla da dietro un banco mixer su disco, da dietro un giradischi su compilation o da dietro un microfono su palco. Per modifiche sottili ci si accorge che Daft Punk Is Playing At My House dal vivo è giocata sul flirt di un attacco volutamente sottotono e di un sovraccarico ritmico al quale si arriva impreparati. A tratti si ha l’impressione che gli LCD puntino sulla carnazza, sull’assenza di pause e sul coinvolgimento del pubblico spingendo in certi episodi i lati estremi e più rock, con pezzi che radono al suolo sfruttando la semplicità house e quella punk (Tribulations e Movement), ma il gioco delle scatole cinesi evidente su disco sfugge solo perché si è presi dal ballo e dai volumi sparati sulla faccia e la gestione dell’uditorio tipica del dj permane nei crescendo controllati di pezzi come Losing My Edge e Yeah. Potrei continuare con altre mille pippe mentali che mi sono fatto a posteriori, come per esempio ‘quale sarà il passo successivo? La sovrapposizione e la confusione degli elementi come nella sovrapposizione tra Yeah e Beat Connection alla fine della DFA Compilation #2?’, ma la migliore recensione del concerto è un’immagine relativa al sottoscritto: per ben tre volte mi è caduta per terra la macchina fotografica digitale per l’eccessiva foga nel ballo (quella foto che avete visto mente!).

Possibile che nessuno ci abbia pensato?


Perché non avete inserito il tormentone su Josh Homme nel tormentone del ripetuto titolo/citazione, perchééé? Non si accetta come risposta l’effetto continuato del the alle parti intime di tigre, fruttato e piccante al tempo stesso.

Oggi (Silica Gel)


Stasera* mi è caduta la borsa del portatile. Quando a mezzanotte ho preso lo strumento era bollente e la batteria era completamente scarica. I due piccoli sacchetti di gel de-essiccante erano bucati e dappertutto rotolavano piccole sfere trasparenti.

*qui si va in differita, ieri sera

18.4.05

Tra Zelig e Wally


Visto che il maniaco delle compilescion mi ha definito come 'quello che fa un lavoro serio', scoprite l’infiltrato in questa foto tratta da uno degli innumerevoli album fotografici del concerto, scovato dalla ricercatrice più rock’n’roll della serata.

In attesa delle parole


“I’m losing my edge, but I was there”

Love Boat

Festoni da ballo di fine anno (giustificati solo da qualcuno dei piani alti che passa la serata aspirandosi l’elio dalle bombole davanti al Museo in questione)

Il Fourtetto Sul Ponte

Antidivi (meno male che non l’ho visto suonare, forse)

Il suo nome è jam

Il suo nome è jam

Trivial scene from the silver screen

Vi risparmio i dadoni

Atteggione '73

Scottie c’ha gli atteggiamenti, epperò

Il Prefuso c'è e rappresenta

Prefuse '73 c’è

Panza e Presenza

Portami una birra piccola da dieci euro!

Distruggi

Spaccano le digitali

Hell Yeah (Yeahllow Version)

Yeah Yeah Yeah, Ye-Ye-Ye-Ye Yeah (ad libitum)

15.4.05

Feel The Panic (Stop The Music And Go Home)


Cari, il sottoscritto stanotte si muoverà alla volta di Milano per la serata finale della TDK Dance Marathon. Al momento il sottoscritto è colto da attacchi di panico dovuti al fatto che le prevendite su internet per LCD Soundsystem sono chiuse. Pertanto se vedrete domani un giovane con maglietta a righe rubata al guardaroba di un film anni sessanta della serie Ricchiepoveri ma belli che sbraita contro la solita commessa della FNAC, sappiate che quello sono io. O meglio, il sottoscritto (gesto di Belmondo sul labbro in A Bout De Souffle).

14.4.05

Torino, una delle mie città


Oggi il mio capo mi ha affidato un altro compito. La conseguenza di ogni nuovo compito che mi viene affidato è la frase “Perciò potresti salire a Torino per un po’ o qualcuno da Torino potrebbe scendere per [motivo a caso]”. Torino è una delle mie città non solo perché l’azienda per cui lavoro è torinese. Torino è una delle mie città perché ho vissuto gran parte della scorsa mia estate lì e sono stati tre mesi che ricordo nei loro alti e bassi, negli istanti preziosi raccolti per le strade e davanti ai palchi e in quelli indolenti della domenica pomeriggio nel giardino di plastica, nei blog che ho chiuso e in quelli che ho aperto. You should always tell cities you love them in case you never see them again, dicevo nell’ultimo lunedì a Torino.

Torino è anche la città di to_potlatch, webcompilation di cantanti torinesi e piemontesi che cantano canzoni di altri torinesi e piemontesi: canzoni a Torino e canzoni su Torino per celebrare Il Cielo su Torino, sotto l’alto patrocinio di quei due matti matti EnzoP e Loser.
(Oh, la stroncatura arriverà non appena vi faranno saltare i server per i troppi accessi)

13.4.05

Gettate il telecomando


Non so quanti minuti servano per rivederli tutti, ma un folle ha raccolto in un indice alcuni dei video più belli degli ultimi anni. Videografie complete e rarità, tutte quante in un unico post del Gran Faro.

11.4.05

My Melody


Melody Nelson a des cheveux rouges
Et c'est leur couleur naturelle


In un doppio DVD intitolato D'autres nouvelles des étoiles che uscirà il prossimo 25 Aprile si potrà ammirare il video completo della registrazione dei ventisette torridi e storici minuti de L’Histoire de Melody Nelson. Nel frattempo, non smetterò mai di sostenere quanto sia impagabile l’opera di Bedazzled, che pubblicherà per intero e a puntate sul suo blog il video-film dell’Histoire. Ecco la prima puntata Melody, dove Serge Gainsbourg vaga nella notte allucinata con la sua Rolls Royce fino a investire la bicicletta della giovane e rossa Jane ‘Melody’ Birkin.

Andareeee Lontanoooo



Poster russi
(belli quelli della sezione cinema,
divertenti quelli della sezione agitata)

Magliette rosse bloccate alla dogana



The Russian Futurists live in Bari
“I do pop 'cause that's what my heart goes, I don't call it art, no sir”

8.4.05

Message Personnel


Questa è la voce sintetica su midi di Batteria Ricaricabile.

Batteria Ricaricabile è al momento tra le nuvole.

Batteria Ricaricabile ascolta un remix stupendo, immaginando un disco che sarà, così.

Batteria Ricaricabile si chiede: L’Indietronica è il nuovo Buddha Bar?

6.4.05

Thank you for the metal


In questi giorni credo di essere uscito fuori di testa. Il livello di delirio di questo pomeriggio è testimoniato dal ritrovamento e successivo ascolto di un tributo metal agli ABBA. Thank you for the music diventa un musical recitato da un clone di Bon Jovi, Take A Chance On Me è electrificata alla maniera dei Rammstein, Waterloo è una rassegna di luoghi comuni, Chiquitita è epica, Dancing Queen è punk, S.O.S. tramuta i rullanti in codice morse. Facendo ricerche ho scoperto che esiste di peggio: un disco svedese di tributo in cui si incrociano le canzoni degli ABBA coi classici del metal (Mamma Mia incontra Smoke On The Water e Take A Chance On Me sfida Enter Sandman). Se invece siete interessati a musica per Commodore 64, a sconosciuti artisti svedesi di tutti i tempi e a molto di più, date un’occhiata alle altre cartelle sul server.

5.4.05

Ponti d’oro


Egregio ing. maxcar,
siamo la Sua Azienda e la obblighiamo a un ponte tra il 2 e il 5 Giugno. La coincidenza con la data romana e con quella bolognese di 13 & God non è in alcun modo correlata con la nostra imposizione. Distinti saluti.

Piccola Sun Pietroburgo


Prossimamente su questi schermi (no, non sto per ripartire).

Sai (Tenere) Un Segreto?


Mentre sbircio le cartoline degli altrui segreti, ho come la sensazione di trovarmi a metà tra la De Filippi e il sottile gioco art-psicologico.

4.4.05

Una veranda nella notte


La domenica sera è un momento particolare per un concerto. Non ho ancora capito se apprezzo quando quella sensazione di pace e stanchezza accumulata nel weekend si mischia con un concerto che non comincia mai, come al solito da queste parti. Guardiamo per la nona volta l’orologio e si inizia, nel legno. Siamo tutti seduti, chi sugli sgabelli chi su panche adagiate al muro, tra tavoli troppo vicini e ringhiere marroni su cui appoggiare la testa, il mento sulle mani, gli occhi semichiusi non per il sonno ma per la tranquillità.

La musica dei Califone (o dei due dei Califone, uno dei quali è originario di Mola Di Bari) scorre sulle venature del legno che è tutto intorno, irregolare come i percorsi delle linee nere tra il marrone circostante. Non l’ascolterei su disco forse, non in questo momento, ma i residui di canzoni fatti di banjo e corde sfilacciate cullano la fine di un weekend perfetto senza cariare i denti, un attimo scostanti e quello dopo persi in carezze dove senti anche le unghie.

Chiacchiere con una svedese-barese


Emmaboda è panda.
(qualcosa che non ricordo, credo Uppsala) è Polignano.

Together In Electric Dreams*


Marc Almond è al centro e il maxischermo dietro lampeggia la sua immagine in giallo e verde mentre canta, per conto suo e senza essere amplificato, I feel stupid and contagious: riflettendoci su, la cover electro che sta passando gioca su uno scarto, lo stesso di The Light 3000 di Schneider TM, ma dove lì l’emozione diventa metallo freddo con spot caldi qui la rabbia giovanile nonsense viene tradotta nel messaggio testuale del tilt di una macchina automatica per il divertimento.
Chissà quanto c’è di automatico in Marc Almond che mette i dischi. Lui sembra divertirsi, sorride con la solita faccia allungata che sembra congelata dai vecchi video, mixa rigorosamente non in battuta e per lo più segnala ad un aiutante cosa mettere sul piatto. Il pubblico è strano e già il fatto che usi ‘pubblico’ la dice lunga sul fatto che il djset viene inizialmente percepito come un concerto. Tutti fermi verso il palco a sentire il primo pezzo che metterà dopo il precedente (Sheriff Whitey?) remix dei Bloc Party.
Gruppi di dark abbigliati con calze a rete, strisciole di pelle e trucco pesante e da rifare ogni due per tre al bagno si aggirano senza l’espressione che secondo me avrebbero dovuto avere, quella dei fuori posto: Almond nelle sue incarnazioni non è mai stato particolarmente dark, la musica che mette ora è electro e anche un po’ unz e si ha il sospetto che siano lì solo in memoria di un’epoca, per salutare la figura mitologica che fende la folla alla fine o per suscitare in lui un interesse che difficilmente proverà per loro. Il resto del pubblico si è equamente diviso tra fan che sollevavano le copertine dei vinili in attesa di autografi che più volte arriveranno dal palco, ballerini scatenati e astanti incuranti.
La selezione ha alternato ultime sensazioni (remix dei Fischerspooner di Just Let Go) a pezzi anonimi passando per classici rivisitati, come nei venti minuti conclusivi dove ha ripescato dal passato per chiudere su Blue Monday. La durata si è mantenuta nei confini delle due ore. Alla fine i dark sono scappati via, a pulirsi il viso in vista delle scrivanie dei lunedì blu.

* la versione dei Lali Puna

1.4.05

Uni Giapponesi a Manchester


Colui che vi potrebbe fare cambiare idea sull’ultimo video dei New Order in quattro semplici mosse, di cui una è la temibile ‘battito di ciglia’, vi segnala il nuovo singolo Krafty col testo e i plin plon in giapponese in casa I Suburbi ci stanno uccidendo. Con ciò si congeda da voi e si appresta a un weekend fatto di dj set di Marc Almond, Califoni, champagne e così. Vado a preparare le spalline.

To all the firewalled chimbleysweepers


Dappertutto avrete letto che il nuovo video dei Decemberists 16 Military Wives, delizioso incrocio tra Rushmore e Il Grande Dittatore, verrà diffuso via Torrent per raggiungere un numero di persone impensabile rispetto ai passaggi televisivi previsti. Un piccolo problema è che il probo lavoratore non potrà vedere il video, qualora il firewall aziendale non lo consenta. Ecco allora un regalo per l’indefesso faticatore.

Yin & Yang*


Pessime scene in grandi film, grandi scene in pessimi film.
* avrebbe dovuto chiamarsi Tango & Cash, lo so

Cose che quasi tutti sottovalutano


Lo scoiattolone di porcellana ne L’Infernale Quinlan.