Si dice che certi passati musicali non si possano nascondere. Nel caso dell’hardcore, per via dei tatuaggi. Se però da batterista hardcore (e poi punk, speed-metal e art-rock) dopo vent’anni ti ritrovi produttore di techno minimale, con molta probabilità non suonerai molto spesso a torso nudo. Bruno Pronsato è un nome d’arte, di quelli che starebbero bene in una compilation di italo-disco anni Settanta. Gino Soccio, Cerrone, Bruno Pronsato. Bruno Pronsato in realtà si chiama Steven Ford, è di Seattle, ma ormai vive a Berlino. Bruno Pronsato, a pensarci bene, potrebbe anche suonare come uno dei giovani fenomeni della ormai matura scena sudamericana. Paulo Olarte, Luciano, Bruno Pronsato. Nel suo nuovo disco c’è una voce femminile che ogni tanto parla in spagnolo con accento sudamericano. È Barbara, la sua ex-moglie argentina, ora registrata in studio, ora raccolta di nascosto durante le telefonate intercontinentali alla famiglia. Il binomio funk, percussioni, riferimenti pop poi rimanda all’Innominato per eccellenza della scena sudamericana. Eppure
Why Can’t We Be Like Us è ‘altro’, a partire dal titolo così felice. Non è la triste affermazione dell’impossibilità di essere se stessi, ma la confidente voglia di essere sempre ‘altro’ dalla propria cristallizzazione. Un turista a casa, a casa in viaggio. ‘Altro’ al punto che non è tanto un disco da ballare. Pronsato è venuto a Bari nel Settembre scorso: io non sono potuto andare, ma dopo l’ascolto del disco non so se sarei andato. Più che la pista da ballo,
Why Can’t We Be Like Us mi fa venire in mente quei dischi che una decina di anni fa prendevano le canzoni rock e pop, le riducevano in frammenti, talvolta anche melodici, e le ricombinavano con ordini diversi dai soliti. Dieci anni fa ascoltavo in poltrona i Gastr Del Sol e Jim O’Rourke. Oggi Bruno Pronsato. Davvero tutto è cambiato?
Why Can’t We Be Like Us - Bruno Pronsato
What We Wish - Bruno Pronsato
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