Yuck: concerto del pomeriggio del festival. Sono fatti per dargli addosso e invece le loro perfette ovvietà pop da pischelli sono ultrafunzionali per l'auto, la spiaggia e il vento nei capelli. Una lentissima Rubber chiude le carezze.
tUnE-yArDs: ne ignoravo l'esistenza fino al primo pezzo. Ma cosa sono le Cocorosie afrobeat? Musicalmente tocca anche cose che mi piacciono, ma siamo un altro mondo.
Fleet Foxes: sanno suonare insieme, sanno cantare insieme, potrebbero rompere le palle insieme e invece incantano insieme. E poi quei Sim Sala Bim, Mykonos, IwasfollowingtheI sono gli elementi fuori posto che trasformano la normalizzazione nella psichedelia fuoriditesta che sono.
Gang Gang Dance: Santa Dnympha sarà stata la patrona dei malati mentali, delle vittime di incesto e dei fuggiaschi, ma loro sono la spazzatura del mondo sul palco (sono zingari, mi si chiede?). Già si percepisce pesante la cappa di PJ, ma comunque mantengono occupato il Pitchfork Stage, con un live incentrato sull'ultimo discusso (e ottimo) disco. Accompagnati da due Mangoni (uno sbandieratore di lavori stradali e uno storpio che fa la verticale) e con la cantante che indossa la canottiera rigata della salute su una tutina di latex, sono l'effetto Pisapia del Primavera.Il ballo tra la spazzatura umana termina solo quando lo urla il muezzin.
Matthew Dear Live Band: nel pieno del live di PJ non c'è esattamente il pienone per il concerto di Matthew Dear, irricchionito in uno smoking bianco e in atteggiamenti pesantemente new romantic. Stranamente però il live sembra una roba acid house dell'89 grazie alla struttura dilatata e all'apporto costante del trombettista. Menzione d'onore al manipolo di quattordicenni spagnoli (figli di qualche organizzatore?) che conoscono a menadito i pezzi e trasformano il sottopalco nello studio di Non è La Rai.
James Blake DJ Set: le donnine inglesi delle prime file urlano come nemmeno al concerto. Il dj set è tutto quello che ci si aspetta, dagli harmonimix che prendono di mira la musica nera (compreso Bills), ai tentativi di carica techno, dai suoi pezzi non cantati al dubstep puro col basso wahwah scorreggione. Purtroppo manca quel senso di costruzione poco caro al djismo dubstep e molto più presente negli orizzonti dei dj techno.
Animal Collective: merda. Dispersivi e poco propensi a misurarsi col fatto di trovarsi sul palco principale, annegano la prima mezzora in pezzi sconosciuti (era per caso la musica di Oddsac?), in un suono che non convince e in pause che spezzano tutto l'interesse. Si rimpiange l'aver perso gli Odd Future e si corre da DJ Shadow.
DJ Shadow: la trovata visiva del festival è semplicissima. Una palla che contiene il protagonista e tira fuori le tre dimensioni dai visual. Musicalmente non viene fornita nessuna concessione al qui e ora. Il concerto è la visione del mondo musicale di Shadow, forse ora vecchia eppure energetica come quasi nessun'altra esibizione elettronica del festival. Mi sono perso il primo quarto d'ora per colpa dell'organizzazione (ha fatto Midnight?) ma per il resto dopo un po' di inediti è partita una sequela di tesissime riletture dei primi due dischi. Forse ancor più dei Pulp, per la distanza da quei giorni e da quei beats, questo è stato il vero momento nostalgia del festival. E il finale, coi titoli di coda in Orbovision.
Persi della giornata: John Cale, Damo Suzuki, The Soft Moon, Mercury Rev, Einstürzende Neubaten, Galaxie 500, Jon Spencer Blues Xplosion (ma sentita di passaggio Flava), Odd Future, Holy Ghost, Kode 9, Caspa, Mogwai (Messi Fear Satan)
1 commento:
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