James Blake: sembra non siano passati quasi due anni da quando faceva capolino nei mixtape o da quando per la prima volta si sottolineava che aveva iniziato a cantare. Bianco e insieme nero, triste e tenero, digitale eppure acustico. Poche storie, è il concerto del "qui e ora" di un festival che spesso dimentica il qui e ora. Dal palco principale il fracasso di M Ward viene sovrastato da cuori tristi, silenzi che si gonfiano di battiti e saturazioni da sogno e persino da qualche tentazione dance (una Klavierwerke enorme). Sul finale bellissimo e smarmellato quasi si schermisce di avere conquistato il palco e invita al suo djset del sabato.
Belle And Sebastian: i carucci di sempre sono così twee che al mixer hanno un fonico twee che li intuba e li fa suonare come un giradischi portatile nonostante siano sul palco principale. Certo Stu Murdoch gioca con le estetiste spagnole e consegna medaglie d'oro sul palco e c'ha le gigantografie sixties e cantano pure Common People col pubblico, ma purtroppo tutto ciò non basta a risollevare un live che non passa musicalmente.
Pulp: il live grosso della giornata è il loro. Jarvis Cocker in grossa forma scimmieggia sugli amplificatori e sulle pertiche come se stesse per spuntare alle spalle di un Jacko redivivo e consuma ogni ingresso di pezzo con le storielle da cantante confidenziale agée. La selezione di classici è completa (forse mancano giusto Mis-shapes o Help The Aged) e filologica nel citare i video (Babies) o il lato più gloom (I Spy, This Is Hardcore). La tastierista è ormai una signora e il resto del gruppo sembra capitato per caso dietro il grande entertainer che chiede il permesso di togliere giacca e cravatta. Nella sublimazione della poetica di Cocker mai troppo benevola nei confronti dei suoi personaggi, la proposta di matrimonio di un fan alla fidanzata fa sganasciare. E si balla e si urla e si ride but that's as far as the conversation went.
Jamie XX: si arriva su Ye Ye di Daphni e nelle quattro canzoni successive riesce a infilare senza un filo logico discomusic, techno e house old school come il peggiore dj generalista indie fa coi pezzi indie. Almeno il pubblico balla ma confermo la diffidenza verso il personaggio.
Battles: ci si sposta così all'ATP dove in una replica più fredda della scorsa volta i Battles catturano comunque il loro pubblico. I featuring del nuovo disco appaiono sincronizzati su schermi alle spalle del gruppo e mentre si torna al Pitchfork non ci si perde il singolo con Aguayo.
Lindstrom: inizia in anticipo rispetto al previsto e termina come al solito dopo un'oretta verso le cinque. Il suo live tocca tutti i momenti del suo sterminato minutaggio prodotto, con un battito mediamente più veloce che su disco e con una scelta dei pezzi inizialmente molto dritta (qualcuno cantato da Christabelle) che si libera solo verso metà sul lato più cosmico. Il finale è tutto in mano ai classici e all'Another Station che non è della metro.
Persi della giornata: Sufjan (non avendo vinto al sorteggio e avendo preferito alla fila la passeggiata in spiaggia e la seguente Yakuzi), Ariel Pink's Haunted Graffiti, Arto Lindsay, Low, Deerhunter (LLevant merda) ed Explosions In The Sky (che fanno il pienone al RayBan e cominciano con la canzone del merluzzo Findus).
2 commenti:
Sono un po' fuori dal giro, la Yakuzi è un gruppo o una vasca a idromassaggio mafiosa giapponese?
Icepick
vasca mafiosa, ahah, la secondachehaidetto
Posta un commento