La scena iniziale ha una città ripresa dall'alto, titoli dai colori equivoci, un orologio conta alla rovescia, i Tangerine Dream sono sempre gli stessi. Sette giorni fa Torino è immersa nel primo nebbione dell'anno, titoli dai colori equivoci, spero di tornare a casa prima dell'una, Alexxei'n'Nig hanno una bassa battuta che è un piacere. Il solesgocciolato sul palco, la tentazione di invertire tutte le iniziali è forte, il ticchettio è quello di un batterista vero, Com Truise alle manopole.
Ahhh. Riverberi. Ahhh. Altri riverberi. Ho visto la settimana scorsa il live di Com Truise, ma parlarne la settimana dopo è quasi come parlare di un altro concerto appena tornato a casa prima di andare a dormire. Tipo che c'ho ancora angoli dell'auto, tasche e tubature del bagno in cui si annidano pezzetti di vudoppie o di daterotte e la cassetta al cromo che si sente meglio. Si è portato appresso un batterista poppante, industrioso, che lo si ricorderà più per il dilemma "Ma con la maglietta dei Joy Division intende alludere al fatto che non riesce ad aprirsi la lattina di birra?". Però guardavo Com e mi dicevo che se avesse suonato roba tipo gli Zu o dell'hiphop misotutto sarei stato più tranquillo. Invece su Cathode Girls temevo che potesse fare il rullante scalciandomi la testa con gli anfibi.
Angelo Badalamenti non è Cliff Martinez e col fatto che abito al primo piano ho rimosso da tempo le gioie e i dolori degli ascensori.
Com Truise - Com Truise - Brokendate by ghostly
25.11.11
15.11.11
XI CtoC: durezza senza eguali
"I'm not sure I'll make it Im in Los Angeles right. Now I was asked to stay and play some shows and not sure I've time to make fly from LA to Italy with time diff etc". Nel pomeriggio si diffonde la voce che quell'omm'e'mmerda di Zomby pacca il Clubtoclub, così come ci si attendeva da quando si era letto il suo nome nel programma. Roba da metterci una croce sopra se non fosse che con gli zombie non basta. Al suo posto suonerà Untold che era già previsto per lo showcase della R&S al Teatro Vittoria.
La R&S negli ultimi tempi invece di vivacchiare sui classiconi del catalogo sta puntando su un manipolo di giovani ibridi del bit, basso, funk, meldoia. Al livello 1 (Foyer) Lone ha alle spalle una vetrata sul centro di Torino sferzato dall'inizio di tempesta + lucidinatale (o dartistachesiano). Impeccabile nell'essere il suo suono anche visivamente, lui e il suo maglione (giovane che recupera i Novanta techno, le meldoie BoC e il gusto zerought per la frammentazione). Ribeccarlo all'uscita poco fuori il TeatroV col suo piccolo trolley mentre aspetta il taxi o che la pioggia smetta non ha prezzo. Al livello 2 (Teatro) Untold fa subito cenno a chi si stava già accomodando sulle poltrone di raggiungerlo davanti alla sua postazione: complice l'impatto dell'impianto infila uno dopo l'altro una serie dei suoi classici bongopentolobassstep. Il set è molto carico ma si ondeggia. Sarà che sono le nove e mezza, sarà che lui ha addosso una freddezza post punk, sarà che il contesto è più da ascolto che da danza. Comunque Swims di Boddika e Joy Orbison comincia a essere omnipresente.
Il tempo di un panino e si è subito al Lingotto perché Function e Regis (ovvero Sandwell District) cominciano per primi alle 22.30. Cominciano addirittura coi cancelli ancora logisticamente chiusi e così la prima mezzora davanti a meno di dieci persone è spettrale ma bella. Techno vaporosa dalla battuta lenta e rotonda che va via via asciugandosi con l'arrivo della gente. Il gioco di cenni e indicazioni sui due laptop che duettano paralleli e ora alzano la posta, ora la sviano, è simbiotico e pieno di esperienza.
A malincuore si alterna tale bendidio col palco grande dove Byetone parte dritto e pesante per sfumare di droni verso un Alva Noto più coinvolgente dal punto di vista visivo ma molto più spezzante ancorché sostenuto da martelli pneumatici: il Lingotto ipnotizzato tributa loro gli applausi per i maestri.
Faccio in tempo a tornare in boiler room dove, in vista del passaggio di consegne a Pantha Du Prince, F&R inframezzano melodie e financo campanelli. Goduria. Pantha, sempre col maglione in testa, parte con la sua collaudata cosa e allora decido di conquistare la prima fila del palco grande per i Modeselektor.
Stadium rock una volta si diceva. Pur avendoli già visti lo scorso anno, un nuovo disco e un live rinnovato a base di peli di scimmia, scimmie azteche 3D, facebooo, Zer0, scimmie cattive, nuvole blu e arbusti gialli hanno avuto la meglio su Pearson Sound. L'inizio mentale di Grillwalker si è mantenuto fino a dopo Pretentious Friends, quando è iniziato il nucleo tamarro pestone Moretti in playback black bloc stappo la sciampagna tanto capace di fomentare lo sterminato peak time del Lingotto.
Provvidenziale la voce di Thom Yorke e del remix di Mr Magpie a dare ossigeno agli interdettellettuali che ascoltano i due solo dagli altoparlanti del pc. Il finale ragadream di Let Your Love Grow col giallo incendio-in-fermo-immagine è il loro saluto e uno dei pochi momenti in cui l'amore è apparso in una serata finale rigorosa e poco incline ai sentimentalismi.
Appurato che Dettman si concentrerà per l'ennesima volta su marcette arricchite da antifurti, si torna da Untold che ripropone quanto sentito qualche ora prima raccogliendo reazioni più danzerecce. Jeff Mills inizia come due anni fa spazial-ambient per passare in breve a un treno altavelocità incessabile che come al solito spezza e arricchisce di drum machine. Lo si abbandona per l'inizio del dj-set di Caribou che si muove dalle parti della roba Daphni: benevolo ma non troppo perché all'ennesimo pezzo afrocazzo lo farcisce con Spastik e decido di tornare nel salone dove scampanano le campane. Da lì Mills è sempre più duro, quasi (parolaccia) rave nel finale, con l'acustica ormai compromessa dalla riduzione di pubblico. Il finale è improvviso su grande esaltazione e non si è capito se sia stato problema tecnico, audio staccato o il fatto che a Mills facevano male le nocche. Fuori la tempesta, manco a dirlo, era dura e tutta questa durezza la sento ancora sull'orecchio destro che ticchetta.
La R&S negli ultimi tempi invece di vivacchiare sui classiconi del catalogo sta puntando su un manipolo di giovani ibridi del bit, basso, funk, meldoia. Al livello 1 (Foyer) Lone ha alle spalle una vetrata sul centro di Torino sferzato dall'inizio di tempesta + lucidinatale (o dartistachesiano). Impeccabile nell'essere il suo suono anche visivamente, lui e il suo maglione (giovane che recupera i Novanta techno, le meldoie BoC e il gusto zerought per la frammentazione). Ribeccarlo all'uscita poco fuori il TeatroV col suo piccolo trolley mentre aspetta il taxi o che la pioggia smetta non ha prezzo. Al livello 2 (Teatro) Untold fa subito cenno a chi si stava già accomodando sulle poltrone di raggiungerlo davanti alla sua postazione: complice l'impatto dell'impianto infila uno dopo l'altro una serie dei suoi classici bongopentolobassstep. Il set è molto carico ma si ondeggia. Sarà che sono le nove e mezza, sarà che lui ha addosso una freddezza post punk, sarà che il contesto è più da ascolto che da danza. Comunque Swims di Boddika e Joy Orbison comincia a essere omnipresente.
Il tempo di un panino e si è subito al Lingotto perché Function e Regis (ovvero Sandwell District) cominciano per primi alle 22.30. Cominciano addirittura coi cancelli ancora logisticamente chiusi e così la prima mezzora davanti a meno di dieci persone è spettrale ma bella. Techno vaporosa dalla battuta lenta e rotonda che va via via asciugandosi con l'arrivo della gente. Il gioco di cenni e indicazioni sui due laptop che duettano paralleli e ora alzano la posta, ora la sviano, è simbiotico e pieno di esperienza.
A malincuore si alterna tale bendidio col palco grande dove Byetone parte dritto e pesante per sfumare di droni verso un Alva Noto più coinvolgente dal punto di vista visivo ma molto più spezzante ancorché sostenuto da martelli pneumatici: il Lingotto ipnotizzato tributa loro gli applausi per i maestri.
Faccio in tempo a tornare in boiler room dove, in vista del passaggio di consegne a Pantha Du Prince, F&R inframezzano melodie e financo campanelli. Goduria. Pantha, sempre col maglione in testa, parte con la sua collaudata cosa e allora decido di conquistare la prima fila del palco grande per i Modeselektor.
Stadium rock una volta si diceva. Pur avendoli già visti lo scorso anno, un nuovo disco e un live rinnovato a base di peli di scimmia, scimmie azteche 3D, facebooo, Zer0, scimmie cattive, nuvole blu e arbusti gialli hanno avuto la meglio su Pearson Sound. L'inizio mentale di Grillwalker si è mantenuto fino a dopo Pretentious Friends, quando è iniziato il nucleo tamarro pestone Moretti in playback black bloc stappo la sciampagna tanto capace di fomentare lo sterminato peak time del Lingotto.
Provvidenziale la voce di Thom Yorke e del remix di Mr Magpie a dare ossigeno agli interdettellettuali che ascoltano i due solo dagli altoparlanti del pc. Il finale ragadream di Let Your Love Grow col giallo incendio-in-fermo-immagine è il loro saluto e uno dei pochi momenti in cui l'amore è apparso in una serata finale rigorosa e poco incline ai sentimentalismi.
Appurato che Dettman si concentrerà per l'ennesima volta su marcette arricchite da antifurti, si torna da Untold che ripropone quanto sentito qualche ora prima raccogliendo reazioni più danzerecce. Jeff Mills inizia come due anni fa spazial-ambient per passare in breve a un treno altavelocità incessabile che come al solito spezza e arricchisce di drum machine. Lo si abbandona per l'inizio del dj-set di Caribou che si muove dalle parti della roba Daphni: benevolo ma non troppo perché all'ennesimo pezzo afrocazzo lo farcisce con Spastik e decido di tornare nel salone dove scampanano le campane. Da lì Mills è sempre più duro, quasi (parolaccia) rave nel finale, con l'acustica ormai compromessa dalla riduzione di pubblico. Il finale è improvviso su grande esaltazione e non si è capito se sia stato problema tecnico, audio staccato o il fatto che a Mills facevano male le nocche. Fuori la tempesta, manco a dirlo, era dura e tutta questa durezza la sento ancora sull'orecchio destro che ticchetta.
9.11.11
Xi CtoC. Black is White is Black
Chords
Strings
We brings
Melody
G-Funk
Where rhythm is life
And life is rhythm
La sera prima della sommersione dei Murazzi si parte dai Murazzi dove un Theo Parrish assai sorridente (cazzo, un detroitiano sorridente) imbastisce un set negrissimo di battuta lenta, radici disco soul r'n'b e contrappunti sintetici. I suoi ugly edits più che il viaggiospazio. Tecnica pulita e rigore filologico stampano sorrisi sulle facce nonostante il set suoni (piacevolmente) passatista e il suo continuo uso delle manopole di bassi, medi e alti (almeno qui non seguiti dalla cassa ma da viulini e da cori motowni) sia - a cercare un difetto - troppo ripetitivo. Il magnetismo è pero tale che, anche ammesso che i più giovini siano lì per il successivo Ben Clock, nessuno reclama sugli splendidi break orchestrali o sulle divagazioni funk. E quando sembrava di aver imboccato un labirinto minimale involuto ha subito scartato verso la gioia acida.
Lasciando Ben Clock al suo destino si percorre (finalmente, riesco per la prima volta) la città nel pieno spirito del CtoC alla volta dell'Hiroshima dove K(uedo) e K(ode9) chiudono la serata Hyperdub. In Sala Modotti Kuedo è live in the mix che vuol dire che suona i suoi pezzi (e qualche altra cosa) uno dietro l'altro come in un dj set. Severant è uno dei dischi dell'anno e su un impianto più carico di quello che sono le mie cuffie si gode non poco dei brandelli premonitori e delle tenerezze 10010 che in realtà sono analogie. Poi a un certo punto spunta Miami Vice e la sabbia dentro gli anfibi e il bianco giallo verde acqua che ci circondano.
Non rimane che l'ultima ora delle tre di Kode9. Ritmi spezzati è dire poco. Nell'hardcore continuum che sgorgava dall'impiantone dell'Hiroshima il buon Steve Goodman aveva già abbandonato ogni residuo di linearità in favore di una persistenza retino-ritmica-alogica in cui grime, two e duestep si intersecano sviando e costringendo a consegnarsi. Strings Of Life apre la sezione housettona e di vecchia techno prima del finale culminante nell'ovvio ricordo di Burial e nel bis finale di Regulate. Poi i superstiti hanno cercato di avere un ultimo pezzo, ma il proprietario dell'Hiroshima ha castrato tutti vietando al fonico i volumi. Si è andati avanti per cinque o sei minuti con le proteste, giusto il tempo in cui si poteva suonare ancora un altro. Però Regulate come ultimo ultimo chiude. Il tartan addosso è a quadri come le camicie del 94.
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8.11.11
XI CtoC. IntroC, Blue
Si diceva palchi o platea del Teatro Carignano. Un arrivo improvvido (vuoi per dare un'occhiata all'intro di Servizio Pubblico, vuoi per la scelta di andare all'ultimo minuto via metro per il maltempo) mi costringe a una doppia fila in ingresso e al ritiro biglietti che mi fa optare per i palchi invece della consueta platea. Acclarato che il palco regio è riservato, salgo la prima rampa, salgo la seconda, salgo la terza e mi ritrovo in vetta alla piccionaia, dove i palchi non ci sono. A questo punto considerandomi volatile penso fuori dalla seggiola (dove non avrei avuto potuto vedere niente) e mi attrespolo su una sbarra laterale dalla quale godo una visibilità che nelle due scorse edizioni mi era mancata e un'acustica forse anche migliore.
Lucy, a cui è consegnata l'apertura della serata e del festival, opta per un live di intro ambientale che sacrifica i battiti in favore di suoni stirati, campioni e beat destrutturati (in fondo suonerà da club il giorno dopo). Termite dei velluti purtroppo invece di aggredire la struttura circostante se ne fa condizionare immerso in un perenne e freddo blu. Alla fine del set la platea lo riscalda, ma la palpebra un po' calava. Alla fine del set le luci si accendono e mentre si prepara il setup per il concerto della Apparat Band, maschere biondo platino, vigili del fuoco, commessi extra-parlamentari e celerini si avventano sui fuori posto della piccionaia, rei di non sedere alla poltrona. Si viene cortesemente informati che si troverà un posto per una loro corretta fruizione dell'esibizione. Pacioso sul mio trespolo-transenna, invero non oscurante la visuale di alcuno, nessuno mi disturba. Apparat e la banda entrano.
Devo ammettere il pregiudizio. A me il disco della banda apparata non ha convinto. Belli i suoni, belle anche le melodie ma lo percorre quella sensazione che in cerca di una legittimazione popolare (lui, non la banda) abbia sacrificato il mirabile equilibrio tra pucciosità e cassa in favore di un equilibrio tra i sigurrosi e i thomjorky. Sebbene il live sia incentrato su questa visione, i richiami a un passato più (o forse meno) compromesso sono palpabili. Arcadia, la Moderat-a Rusty Nails (col richiamo al live al castello purtroppo mai vissuto perché si era all'Hyde Park per eccellenza e le insospettate sfumature depeche sulla voce e lo stupendo gioco di luci a metà tra il cero cimiteriale e la segnalazione autostradale) e tutto il bis da Sayulita al finale drummoso non fanno che proclamare Song Of Los come l'apocrifo episodio che si salva. A differenza delle due precedenti edizioni con Tristano-Craig-Maurizio o Kode9+ricchiBurial&cotillon il pubblico riservato delle prime file non si alza e non se ne va e così Ring conquista il suo status pop a suon di applausoni. Se lo merita, anche se sotto sotto si spera in copiose versioni remix.
Lucy, a cui è consegnata l'apertura della serata e del festival, opta per un live di intro ambientale che sacrifica i battiti in favore di suoni stirati, campioni e beat destrutturati (in fondo suonerà da club il giorno dopo). Termite dei velluti purtroppo invece di aggredire la struttura circostante se ne fa condizionare immerso in un perenne e freddo blu. Alla fine del set la platea lo riscalda, ma la palpebra un po' calava. Alla fine del set le luci si accendono e mentre si prepara il setup per il concerto della Apparat Band, maschere biondo platino, vigili del fuoco, commessi extra-parlamentari e celerini si avventano sui fuori posto della piccionaia, rei di non sedere alla poltrona. Si viene cortesemente informati che si troverà un posto per una loro corretta fruizione dell'esibizione. Pacioso sul mio trespolo-transenna, invero non oscurante la visuale di alcuno, nessuno mi disturba. Apparat e la banda entrano.
Devo ammettere il pregiudizio. A me il disco della banda apparata non ha convinto. Belli i suoni, belle anche le melodie ma lo percorre quella sensazione che in cerca di una legittimazione popolare (lui, non la banda) abbia sacrificato il mirabile equilibrio tra pucciosità e cassa in favore di un equilibrio tra i sigurrosi e i thomjorky. Sebbene il live sia incentrato su questa visione, i richiami a un passato più (o forse meno) compromesso sono palpabili. Arcadia, la Moderat-a Rusty Nails (col richiamo al live al castello purtroppo mai vissuto perché si era all'Hyde Park per eccellenza e le insospettate sfumature depeche sulla voce e lo stupendo gioco di luci a metà tra il cero cimiteriale e la segnalazione autostradale) e tutto il bis da Sayulita al finale drummoso non fanno che proclamare Song Of Los come l'apocrifo episodio che si salva. A differenza delle due precedenti edizioni con Tristano-Craig-Maurizio o Kode9+ricchiBurial&cotillon il pubblico riservato delle prime file non si alza e non se ne va e così Ring conquista il suo status pop a suon di applausoni. Se lo merita, anche se sotto sotto si spera in copiose versioni remix.
6.11.11
Α&Z
Anche se la chiusura della serata finale al Lingotto del Club To Club è stata affidata a Jeff Mills seguito in un gioco squisitamente circolare dal pezzo accompagnanellatormenta di Apparat, la chiusura ufficiale prevista stasera con il dj set di Carsten Nicolai per Artissima Social Club impone di identificare con lui e con la riuscita del rischio Raster Noton su palco grande il grande tema della serata finale di quest'anno, ovvero l'inesorabilità dell'intransigenza che conquista le masse. Il resto tra l'A e la Z presto.
3.11.11
The Beginning Is Near
Apparat - Song of Los (Director's Cut) from Saman Keshavarz on Vimeo.
Potete reggere tutta questa puccyness? Se sì, ma anche se no, non perdete stasera il concerto di Apparat (e in apertura Lucy) al Teatro Carignano di Torino che aprirà l'XI Club To Club. Anche chi non si accomoderà sui palchi o in platea potrà esserci grazie allo streaming live di Resident Advisor, più o meno dalle 22.30. Da domani poi ci si potrà esercitare nell'Antica Arte Dello Scegliere Ai Festival. Martyn o Theo Parrish? (Theo Parrish) Kuedo o Kode9? (prima Kuedo e poi Kode9) Sandwell District o Raster Noton? (non si può tutti e quattro?). E Zomby sarà tra noi sconfiggendo le malelingue?
1.11.11
Intellectualize my clubness
Persi purtroppo gli Aufgang al Conservatorio di Torino (pare sia stata una bella serata, con un buon live e ottimi suoni), domenica mi sono recato al secondo dei tentativi di dare spessore a un festival altrimenti vittima dei mali del clubbing italiano quale il Movement. Il party gratuito della Superga al Museo dell'Automobile (splendida lochescion, come si suol dire) inizialmente doveva consistere in una selezione dei talenti cittadini (Gandalf, Gandin e I-Robots) culminante nel djset della leggenda della house di Chicago Lil Louis. All'ultimo minuto è stata aggiunta Steffi+amica dal Berghain e per giunta nello slot finale che avrebbe chiuso alle due di notte. Per gioia della mia anzianità quindi lo slot affidato a LL è stato quello del telegiornale delle 20. Gioia pure nel poter usufruire della nuova fermata Lingotto della metro per tornare a casa. Mentre Gandalf prepara il passaggio ad I-Robots, il posto è ancora semivuoto e preda di ex-clubber che vantano carrozzine, treenni saltellanti, seienni che hanno capito che girare intorno a se stessi aumenta la sensazione musicale (dervisci docent) e dodicenni che rieditano i video di Non è la Rai con la madre effettivamente un po' eccessiva. Le ventenni che ridacchiano non sanno che si stanno vedendo in uno specchio.
I-Robots col suo bel set a bassa battuta disco-analogico è la giusta anticipazione. Mentre l'organizzazione fa di tutto per mostrare tutto il suo vero volto (security fascistissima schierata nel vuoto davanti al palco e non dietro le transenne ma davanti - non avvicinarti, delinquente -, stangone di due metri vestite da streghe che distribuiscono librettini della Bacardi sul bere responsabile e bar che ti sensibilizza ancora di più con la birra piccola a dieci euro), lui con la t-shirt del benemerito progetto The Units - Connections (il rework di Zombo!) e i saluti degli amici quarantenni che si susseguono è la boccata di ossigeno che permette di arrivare al passo successivo: lo sbrocco della drama queen. Alle 20 Lil Louis dà di matto perché l'impianto non fa quello che lui vorrebbe (credo che non gli rispondessero i medi e che volesse proprio un diverso setup). Lasciando perdere che se sei un perfezionista dovresti portare il tuo hardware e fare un soundcheck prima di andare in scena (l'umiltà prima di tutto, ce lo insegna la Ventura) o mettere delle penali e demandare tutto a un galoppino se sei un superstardj, gli interminabili quaranta minuti di tira e molla con Gandin cha faceva da paciere e I-Robots che prolungava il suo set caricando sempre di più i ritmi invece di suonare tre volte di seguito il rework di Zombo sono stati imbarazzanti anzichenò per la leggenda di Chicago che l'house, l'orgasmo, la lonelypeople. Per la cronaca poi si è convinto e, sapete, I-Robots non ha suonato il rework di Zombo (nonostante gli si mandassero messaggi mentali).
Accordata la continuità di carico e di ritmo col pezzo precedente, Lil Louis scatena i saxoni fin dal secondo pezzo. Poi maneggia un loop di sax su una base bongosa, vira su un crostone disco cantato, passa a uno strumentale con sopra due o tre parole di James Brown, ritorna ai bonghi con una roba ipnotica che il Caribou di Daphni si sogna. Mi ritrovo per qualche pezzo a fianco Derrick May e compagnia bella, che poi si ritirano nel retro transenna nonostante non ce ne sia bisogno, e si arriva al culmine di metà set con I Feel Love che introduce French Kiss. Le prime file sono prime file e dei ragazzini diciottenni agitano un vinile che aspetta solo un autografo. Purtroppo da questo momento Lil si incarognisce su suoni più techno (sempre vecchia scuola eh, ma un po' opachi e forse poco desiderati), mentre i ragazzini cominciano ad accorrere per l'ultima parte con Steffi e io mi dirigo verso la terzultima metro. Alle undici e mezza il delivery mi rifiuta di portarmi una pizza e non ho sentito Zombo sull'impiantone.
PS: all'entrata del Museo ho detto letteralmente "Sono in lista, il mio nome è...". La ragazza con la lista mi ha guardato e mi ha fatto passare senza controllare.
PPS: quasi quasi mi risento il rework di Zombo per l'ennesima volta.
THE UNITS - ZOMBO (I-ROBOTS Rework) by I-ROBOTS
I-Robots col suo bel set a bassa battuta disco-analogico è la giusta anticipazione. Mentre l'organizzazione fa di tutto per mostrare tutto il suo vero volto (security fascistissima schierata nel vuoto davanti al palco e non dietro le transenne ma davanti - non avvicinarti, delinquente -, stangone di due metri vestite da streghe che distribuiscono librettini della Bacardi sul bere responsabile e bar che ti sensibilizza ancora di più con la birra piccola a dieci euro), lui con la t-shirt del benemerito progetto The Units - Connections (il rework di Zombo!) e i saluti degli amici quarantenni che si susseguono è la boccata di ossigeno che permette di arrivare al passo successivo: lo sbrocco della drama queen. Alle 20 Lil Louis dà di matto perché l'impianto non fa quello che lui vorrebbe (credo che non gli rispondessero i medi e che volesse proprio un diverso setup). Lasciando perdere che se sei un perfezionista dovresti portare il tuo hardware e fare un soundcheck prima di andare in scena (l'umiltà prima di tutto, ce lo insegna la Ventura) o mettere delle penali e demandare tutto a un galoppino se sei un superstardj, gli interminabili quaranta minuti di tira e molla con Gandin cha faceva da paciere e I-Robots che prolungava il suo set caricando sempre di più i ritmi invece di suonare tre volte di seguito il rework di Zombo sono stati imbarazzanti anzichenò per la leggenda di Chicago che l'house, l'orgasmo, la lonelypeople. Per la cronaca poi si è convinto e, sapete, I-Robots non ha suonato il rework di Zombo (nonostante gli si mandassero messaggi mentali).
Accordata la continuità di carico e di ritmo col pezzo precedente, Lil Louis scatena i saxoni fin dal secondo pezzo. Poi maneggia un loop di sax su una base bongosa, vira su un crostone disco cantato, passa a uno strumentale con sopra due o tre parole di James Brown, ritorna ai bonghi con una roba ipnotica che il Caribou di Daphni si sogna. Mi ritrovo per qualche pezzo a fianco Derrick May e compagnia bella, che poi si ritirano nel retro transenna nonostante non ce ne sia bisogno, e si arriva al culmine di metà set con I Feel Love che introduce French Kiss. Le prime file sono prime file e dei ragazzini diciottenni agitano un vinile che aspetta solo un autografo. Purtroppo da questo momento Lil si incarognisce su suoni più techno (sempre vecchia scuola eh, ma un po' opachi e forse poco desiderati), mentre i ragazzini cominciano ad accorrere per l'ultima parte con Steffi e io mi dirigo verso la terzultima metro. Alle undici e mezza il delivery mi rifiuta di portarmi una pizza e non ho sentito Zombo sull'impiantone.
PS: all'entrata del Museo ho detto letteralmente "Sono in lista, il mio nome è...". La ragazza con la lista mi ha guardato e mi ha fatto passare senza controllare.
PPS: quasi quasi mi risento il rework di Zombo per l'ennesima volta.
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