13.10.04

El Mariachi


Ieri ho deciso di imparare a suonare. Non ho deciso di imparare a suonare uno strumento, ho deciso di imparare a suonare le canzoni di un unico disco. Uno dei miei coinquilini, Marco, ha una chitarra classica Eko ed è rinomato perché sa suonare bene i primi quaranta secondi di tutte le canzoni che conosce. Tra i soprannomi che gli ho affibbiato l’ultimo in ordine di tempo è falò interruptus. Marco è un traviato, ascoltava già buona musica ma adesso gira in macchina con i cd dei Radio Dept., dei Kings Of Convenience, di Belle & Seb e si interroga su come possano essere le versioni originali dei pezzi meno noti di Nouvelle Vague. In casa abbiamo anche la chitarra acustica Ibanez di Fabrizio, il coinquilino ispanocentrico di sinistra dell’Opus Dei. Fabrizio vuole imparare a suonare solo La Canzone Del Sole e ha chiesto aiuto pure lui a Marco.

In una mattinata rilassata ho trovato soltanto tre tablature, contenenti peraltro anche qualche imprecisione. Forse è difficile e anche inutile distillare dal magma gli accordi, ma sono testardo e credo che quelle canzoni siano fatte per essere suonate anche in altri modi, anche ispanocentrici: nella fatta ispecie l’altro modo in questione è “seduti in due con le spalle appoggiate sull’intonaco grezzo e la notte intorno”. Le corde appena sfiorate. Lo sguardo che saltella sui mattoni ruvidi, sul punto più distante che riesco a vedere e sulle mani, non le mie perché non devo vederle mentre suono.

Avevamo solo cinque minuti prima di uscire e ho imparato ad avere tra le mani una mitragliatrice. So suonarla nonostante la mia idiosincrasia verso il barrè: quando arriva quel momento suono solo le corde centrali, almeno finché non supero il mio odio verso quella forma di tortura al dito indice. Mettere le mani sulle corde ti svela lati nascosti delle canzoni che ami: la mitragliatrice è fatta di dita che scelgono una posizione e poi una si alza e va via o cambia posto.

Di sera uno dei tizi del posto che bazzico per vivere inaugurava casa. Dopo la pizza due chitarre celebravano il trito rito che appesta le spiagge nelle notti d’agosto, senza il conforto venefico della puzza di bruciato. Con lo sguardo sbarrato assistevo all’esecuzione dell’intero songbook di Ligabue sulla chitarra che aveva visto muovere i miei primi passi. In un solo colpo si vanificava il mio proposito di evitare per il futuro tutto ciò che va contro i miei gusti (anche se il proposito contemplava una seconda parte che lo completava). Era come se, nella stessa serata, avessi perso la verginità e mi fossi beccato l’AIDS.

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