The Thickness Between Us
Pensatela come
lui o pensatela come
lei sul nuovo disco di The Russian Futurists, ognuno è libero. Io mi concentro su una canzone e sui suoi elementi.
2 Dots On A Map è una canzone che chiude un disco. Se fossi un musicista sarei abbastanza nazista sul fatto che una canzone alla fine del disco debba chiudere il disco: niente versioni giapponesi con anonime aggiunte buone per i maniaci, niente remix, figuratevi se ammetterei la triste traccia fantasma, qualora non fosse la canzone che chiude il disco. Metterei in dubbio persino la legittimità di allegare cd o dvd aggiuntivi, tracce video o multimediame vario. Tutto ciò per arrivare ai due punti sulla cartina e allo spazio tra di loro, all’inizio, alla fine e al ‘nostro spessore’ tra di loro.
‘Siamo due punti su una cartina e, senza possibilità d’errore, quei centimetri tra di noi sono chilometri quando riportati in scala’. Io sostengo da anni come l’approccio romantico alla cartografia sia sottovalutato. Una convenzione per comprendere, come tante che ci circondano, figlia delle nostre opinioni e delle modifiche introdotte dal tempo. Io per anni, per esempio, a Palermo abitavo in una via che non esisteva sul Tuttocittà. Tutto sommato delle cartine e delle mappe mi attira questo aspetto più che quello della scoperta. Non sono un grande esploratore probabilmente. Ritorno ai due punti sulla cartina perché la frase è più sottile di quanto sembri e per quanto si possa riportare in scala poi entra in gioco il concetto di linea d’aria e percorso. Non so bene se Hart giochi qui su una distanza fisica annullata dalla rappresentazione o su una distanza personale per cui è lo spazio fisico che deve essere riportato in scala. Poco male, quando leggerò il testo rimarrò con la mia non idea.
2 Dots On A Map chiude un disco in maniera massimalista ed è una scelta lecita quanto quella della chiusura in chiave minore. The Russian Futurists tra l’altro hanno questa abitudine alla chiusura improvvisa della canzone, stop. Tale scelta non si ripercuote sulla chiusura del disco, pensata con l’ottica del finale, dei titoli di coda, del “The End” conclusivo persino. Ai nostri giorni nessuno più scrive “The End” alla fine dei film, c’è sempre lo spettro del seguito. Qui invece partono gli archi e chissà perché anche questi archi alludono all’idea di finale.
2 Dots On A Map è una canzone che da questo punto di vista non possiede inizio, vuoi perché ha questa struttura di canzone cantata su canzone ascoltata, che da sempre mi intriga non poco: il tizio ha una canzone in sottofondo mentre canta la sua e me ne accorgo perché corrono parallele due distanze sonore. In medias res una radio trasmette un pezzo di quelli che non ricordi nemmeno il nome ma è strano, è come se questo pezzo sembrasse un finto campionamento, una buona cosa di pessimo gusto inventata per ricreare una sensazione: la tecnica impiegata per ottenere ciò è l’utilizzo di un loop voce-batteriadamusicaleggera-sviolinate (ma sicuri che sia una vecchia canzone?) su cui è sovrapposto un clarino+synth aggiuntivo che riprende il tema e si innalza di tono. Nel frattempo sulla batteria programmata il solito Hart sovrapposto e microfiltrato si alterna col ritornello, riempiendo gli spazi tra le pressioni dei tasti che lo fanno partire. Poi la canzone finisce all’improvviso.