Lunedì mi arriva questa mail con allegato un pezzo nuovo dei Disco Drive da Ebi:
“So che è scontato, ma che ne diresti di condire il tutto con la voce di Beth Ditto?
Già non vedo l'ora di suonarla così, se poi ci fai un mashup tu, è perfetta.
grazie, ciao”
Ora, ultimamente mi diverte di più seppellire con Ableton Nelly Furtado e Rihanna tra bassi, riverberi e sintetizzatori, microcampionare alla maniera di The Field o lanciarmi in flussi acidi tra Audion e Cobblestone Jazz. Ma visto che è lui a chiedermelo ho deciso di accettare la richiesta. Certo lunedì sera i sample tagliuzzati dei Disco Drive si sono prestati a un’oretta di improvvisazione a base di synth, resonators e ping-pong/filter delay, ma ieri sera ho messo da parte le pippe e ho appiccicato una cosa sull’altra alla vecchia maniera (con una copia di Acid di fine anni Novanta, mica con lo scintillante Abl). Divertitevi.
29.8.07
25.8.07
L’insolita minestra: la pasta ch’i tinnirumi è meglio delle minestre in busta prodotte in provincia di Goteborg
Prima di procedere alla proiezione del filmone trash dell’anno, ovvero Ferragosto A Stoccolma, giusto qualche considerazione dato che qui lo sguardo è già oltre la vacanza e ci si trastulla con nuove primizie e con una purificante e rinfrescante pasta con i tenerumi, la minestra tipica siciliana possibile solo d’estate che rinfresca col calore. Mentre gli indiekid subiscono l’ulteriore mazzata nelle parti basse del disco di remix dei Decemberists, l’attenzione da queste parti è tutta per il primo ascolto di due album, ovvero il fumettone Supermayer dei due supereroi della Kompakt e la prova sulla lunga distanza dei tre Cobblestone Jazz.
Il primo crolla sotto la sua ambizione pop. Invece di un’epopea di cartoni fieramente techno o del Discovery dell’etichetta di Colonia, Mayer e Superpitcher azzardano botte all’oste e alla moglie ubriaca, mettendo di fila per l’albo a fumetti della loro coppia di super-eroi disegnato da Kat Menschik malriusciti occhiolini a chi di solito non li ascolta, routine anonima e il nonsense tipico del delirio di onnipotenza allegato di ogni tentativo di concept album. Se tengono il meglio del materiale per la scena madre di Two Of Us (Superman diretto dal Dario Argento degli anni Settanta, ascoltatela da Teleostopathy), il picco di incredulità si raggiunge con The Lonesome King: più bislacca di un atterraggio di Ralph Supermaxieroe, vede i due supermutandati arrivare a misfatto compiuto; il cattivo ha già ucciso la sosia di Lily Allen e il sosia di Blixa Bargeld intona sul suo cadavere ancora fumante una marcetta funebre così imbarazzante che il tutto sembra così perversamente voluto. Verdure liofilizzate che non riprendono volume in soluzione con acqua troppo tiepida
Il secondo soddisfa invece ampiamente le mie aspettative. Detroit techno e micro-house suonate alla maniera di improvvisazioni jazz. Vocoder e synth passati per lavandini della disco sfociano a kilometri dalle zone di balneazione. Tre persone per metà chine sulle macchine e per metà a guardarsi in faccia per chiamare pause, ripartenze, ritmi e melodie. Ora corrosivo, ora insopportabilmente edonista, ora quasi trance. I live minacciano di essere impedibili, tanto che nel bonus cd oltre ai precedenti singoli viene allegata una delle ultime e acclamate esibizioni dal vivo. Il caldo che rinfresca, semplice come un fumante piatto di pasta ch’i tinnirumi con quarantasei gradi fuori dalla finestra.
Il primo crolla sotto la sua ambizione pop. Invece di un’epopea di cartoni fieramente techno o del Discovery dell’etichetta di Colonia, Mayer e Superpitcher azzardano botte all’oste e alla moglie ubriaca, mettendo di fila per l’albo a fumetti della loro coppia di super-eroi disegnato da Kat Menschik malriusciti occhiolini a chi di solito non li ascolta, routine anonima e il nonsense tipico del delirio di onnipotenza allegato di ogni tentativo di concept album. Se tengono il meglio del materiale per la scena madre di Two Of Us (Superman diretto dal Dario Argento degli anni Settanta, ascoltatela da Teleostopathy), il picco di incredulità si raggiunge con The Lonesome King: più bislacca di un atterraggio di Ralph Supermaxieroe, vede i due supermutandati arrivare a misfatto compiuto; il cattivo ha già ucciso la sosia di Lily Allen e il sosia di Blixa Bargeld intona sul suo cadavere ancora fumante una marcetta funebre così imbarazzante che il tutto sembra così perversamente voluto. Verdure liofilizzate che non riprendono volume in soluzione con acqua troppo tiepida
Il secondo soddisfa invece ampiamente le mie aspettative. Detroit techno e micro-house suonate alla maniera di improvvisazioni jazz. Vocoder e synth passati per lavandini della disco sfociano a kilometri dalle zone di balneazione. Tre persone per metà chine sulle macchine e per metà a guardarsi in faccia per chiamare pause, ripartenze, ritmi e melodie. Ora corrosivo, ora insopportabilmente edonista, ora quasi trance. I live minacciano di essere impedibili, tanto che nel bonus cd oltre ai precedenti singoli viene allegata una delle ultime e acclamate esibizioni dal vivo. Il caldo che rinfresca, semplice come un fumante piatto di pasta ch’i tinnirumi con quarantasei gradi fuori dalla finestra.
The Lonesome King - Supermayer
Change Your Apesuit - Cobblestone Jazz
Change Your Apesuit - Cobblestone Jazz
11.8.07
Un Post Scriptum prima di arrivare a Kortedala
Shaft virata in four-to-the-floor nella seconda traccia, la fisarmonica della Lambada nascosta nella quinta, i crescendo orchestrali ovunque. I campioni che saltellano in più di un pezzo. Dai Neri Per Caso a un finale gate-fest degno di un disco di techno minimale, passando per le percussioni afro: tutto insieme. E poi quelle canzoni che sembrano un eterno rimando a Since I Left You, dai cori agli archi ai campanelli. Sì va bene i Beat Happening, sì va bene Arthur Russell, ma quest’uomo ha una devozione totale per gli Avalanches. E noi con lui.
Theme from ‘The Sand Pebbles’ - Enoch Light (Jens Lekman ci canta sopra l’apertura di Kortedala, And I Remember Every Kiss)
Sipping On The Sweet Nectar - Jens Lekman
Kanske Ar Jag Kar I Dig - Jens Lekman
Since I Left You (video) - The Avalanches
Theme from ‘The Sand Pebbles’ - Enoch Light (Jens Lekman ci canta sopra l’apertura di Kortedala, And I Remember Every Kiss)
Sipping On The Sweet Nectar - Jens Lekman
Kanske Ar Jag Kar I Dig - Jens Lekman
Since I Left You (video) - The Avalanches
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9.8.07
Stockholm synthdrone (ovvero The Week Of The Nights Of The Emma-Zombies)
Volge al termine l’ultima settimana di lavoro e da lunedì ci trasferiremo a Stoccolma e dintorni per una decina di giorni. Messa da parte la techno e l’electro (torneremo in Italia nel giorno in cui lì suoneranno i MSTRKRFT, per dire), proietteremo in termini musicali sulla città il concetto di museo distribuito, tanto di moda in questi giorni, fino a farla diventare una Emmaboda distribuita. Al momento sono in programma tre eventi. Una serata al Kulturfestival nel parco Kungsträdgården: mercoledì sera dovevano esserci gli amati Detektivbyrån, ma sono stati cancellati e per tanto ci consoleremo con le Those Dancing Days, il dj set dei Risky Bizniz e un paio di altri gruppi poppettini. Eviteremo invece negli altri giorni Sofia Talvik, che mi sa di mazzata, e Jay Jay Johanson, perché non siamo più negli anni Novanta. Il lunedì successivo sulla terrazza della Kulturhuset una notte da sogno sul tetto dedicata ad Arthur Russell: Jens Lekman insieme a Victoria Bergsman (ex Concretes e ora Taken By Trees), Verità Susman (Electrelane) e Joel Gibb (Hidden Cameras) in un concerto tributo al musicista e pioniere della disco. In mezzo, venerdì sera, Jens Lekman dovrebbe mettere i dischi dopo il concerto dell’australiano Guy Blackman. Al momento sembrano meno probabili il concerto dei Vive La Fête, la serata Club La Vida Locash dove suonerà i dischi la dj danese che aveva in rotazione il mio mash-up di Erlend Oye e il Block Party della Grolsch con live e dj della Hybris, Fabrizio Mammarella e altri. Se siete da quelle parti fate un fischio, altrimenti ci si rilegge al ritorno.
Hitten - Those Dancing Days
A Little Lost - Arthur Russell
A Little Lost (video pour La Blogotheque) - Jens Lekman
You Won’t See Me Hide, You Won’t See Me Run - Everyday Sensations
Hitten - Those Dancing Days
A Little Lost - Arthur Russell
A Little Lost (video pour La Blogotheque) - Jens Lekman
You Won’t See Me Hide, You Won’t See Me Run - Everyday Sensations
8.8.07
India In Mia
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2.8.07
Dancing to music writers is like sweating about architecture
La principale obiezione a chi scrive di musica è quella che la penna sia il riparo di chi non è capace di imbracciare una chitarra (o un sintetizzatore o un mixer nel caso della musica di cui si parla da queste parti). Ma cosa succede quando le parti si capovolgono e un apprezzato scrittore di musica fa uscire un disco? Philip Sherburne non appartiene alla schiera di chi macina piatte recensioni/comunicato stampa. Quando lo leggo, sia su riviste stilose come Wire o XLR8R, che su webzine detta-legge come Pitchfork, ammiro sempre la sua capacità di raccontare, al fan delle Cocorosie o dei TV On The Radio che è inciampato per sbaglio tra le sue parole, il mondo a lui sconosciuto della techno e della musica da ballo. Americano trentaseienne di Portland, ora vive a Barcelona, quando non è in giro per club berlinesi o quando non mette i dischi in qualche luogo sperduto per il mondo. I suoi articoli parlano di persone, luoghi, città e rendono conto della dignità e della qualità di un genere musicale ignorato se non spocchiosamente sottovalutato. La capacità di trattare l’elemento organico gli consente poi di far passare sotto traccia le considerazioni critiche e strutturali che sono, insieme a quelle sociologiche, fondamento alla base dell’attenzione verso questi suoni.
Torniamo però a quello con cui avevamo iniziato. Se spesso quando si scrive di musica le critiche sono percepite come frustrazioni irrisolte di una mancata vita da musicista, cosa aspettarsi da uno scrittore che mette mano al sequencer? In primo luogo avrei paura di creature eccessivamente intellettuali: meta-opere, esegesi in quattro quarti del genere, qualcosa troppo astruso da scrivere con le parole. Invece Sherburne non soccombe al rischio e tira fuori un buon singolo nell’ambito del tentativo di far fuori la minimale a colpi di viaggi mentali e analogie elettroidi, pur affidandosi soprattutto all’inizio a un gustoso gioco percussivo in riverbero e chorus panning. Quando però il riff analogico diventa massimale sulla scia di certi ultimi riempipista fattoni, si capisce che Sherburne mira al sudore oltre che ai labirinti sinaptici. L’unico appunto che mi sento di muovere è che la struttura progressiva è abbastanza lineare rispetto a certi malefici intrecci che giocano nello stesso campo. Completa il tutto un remix di Exercise One che incattivisce tutti i singoli aspetti di cui sopra.
Ascolta Lumberjacking sul myspace di Philip Sherburne
Torniamo però a quello con cui avevamo iniziato. Se spesso quando si scrive di musica le critiche sono percepite come frustrazioni irrisolte di una mancata vita da musicista, cosa aspettarsi da uno scrittore che mette mano al sequencer? In primo luogo avrei paura di creature eccessivamente intellettuali: meta-opere, esegesi in quattro quarti del genere, qualcosa troppo astruso da scrivere con le parole. Invece Sherburne non soccombe al rischio e tira fuori un buon singolo nell’ambito del tentativo di far fuori la minimale a colpi di viaggi mentali e analogie elettroidi, pur affidandosi soprattutto all’inizio a un gustoso gioco percussivo in riverbero e chorus panning. Quando però il riff analogico diventa massimale sulla scia di certi ultimi riempipista fattoni, si capisce che Sherburne mira al sudore oltre che ai labirinti sinaptici. L’unico appunto che mi sento di muovere è che la struttura progressiva è abbastanza lineare rispetto a certi malefici intrecci che giocano nello stesso campo. Completa il tutto un remix di Exercise One che incattivisce tutti i singoli aspetti di cui sopra.
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