2.8.07

Dancing to music writers is like sweating about architecture

La principale obiezione a chi scrive di musica è quella che la penna sia il riparo di chi non è capace di imbracciare una chitarra (o un sintetizzatore o un mixer nel caso della musica di cui si parla da queste parti). Ma cosa succede quando le parti si capovolgono e un apprezzato scrittore di musica fa uscire un disco? Philip Sherburne non appartiene alla schiera di chi macina piatte recensioni/comunicato stampa. Quando lo leggo, sia su riviste stilose come Wire o XLR8R, che su webzine detta-legge come Pitchfork, ammiro sempre la sua capacità di raccontare, al fan delle Cocorosie o dei TV On The Radio che è inciampato per sbaglio tra le sue parole, il mondo a lui sconosciuto della techno e della musica da ballo. Americano trentaseienne di Portland, ora vive a Barcelona, quando non è in giro per club berlinesi o quando non mette i dischi in qualche luogo sperduto per il mondo. I suoi articoli parlano di persone, luoghi, città e rendono conto della dignità e della qualità di un genere musicale ignorato se non spocchiosamente sottovalutato. La capacità di trattare l’elemento organico gli consente poi di far passare sotto traccia le considerazioni critiche e strutturali che sono, insieme a quelle sociologiche, fondamento alla base dell’attenzione verso questi suoni.

Torniamo però a quello con cui avevamo iniziato. Se spesso quando si scrive di musica le critiche sono percepite come frustrazioni irrisolte di una mancata vita da musicista, cosa aspettarsi da uno scrittore che mette mano al sequencer? In primo luogo avrei paura di creature eccessivamente intellettuali: meta-opere, esegesi in quattro quarti del genere, qualcosa troppo astruso da scrivere con le parole. Invece Sherburne non soccombe al rischio e tira fuori un buon singolo nell’ambito del tentativo di far fuori la minimale a colpi di viaggi mentali e analogie elettroidi, pur affidandosi soprattutto all’inizio a un gustoso gioco percussivo in riverbero e chorus panning. Quando però il riff analogico diventa massimale sulla scia di certi ultimi riempipista fattoni, si capisce che Sherburne mira al sudore oltre che ai labirinti sinaptici. L’unico appunto che mi sento di muovere è che la struttura progressiva è abbastanza lineare rispetto a certi malefici intrecci che giocano nello stesso campo. Completa il tutto un remix di Exercise One che incattivisce tutti i singoli aspetti di cui sopra.

Ascolta Lumberjacking sul myspace di Philip Sherburne



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grande Sherburne, anche io lo leggo sempre con piacere.

Sbaglio oppure anche Dj T (Get Physical) è\era un giornalista?

maxcar ha detto...

se ben ricordo Dj T ha proprio fondato Groove