Sabato inizia con un'autopompa che per tutta la mattina cerca di stu(p)rare un tombino davanti casa e distruggere il mio cranio. Purtroppo, nonostante spesso mi capiti di passare a quell'ora del sabato dal noto emporio gastronomico slo-food, mi perdo il plate-watching della colazione (sapete, quelli fichi dicono colazione al posto di pranzo, usano la c al posto della g, non usano l'inglese a cazzo), della colazione di Four Tet e Caribou (che stanno per partire per Bologna) con James Holden e cricca che scopro essere sotto la Mole già dal venerdì sera - leggete il Border-resoconto del festival. Uno dei nostri interrogativi più impellenti in tutto il weekend era stato appunto dove li avrebbero portati a mangiare e soprattutto cosa (bagna caoda? fritto misto decerebrato? tajarin al tartufo? Io venerdì prima di andare al Carignano ho mangiato il pane ca' meusa dal mio posto di fiducia). Più in generale me lo chiedo per qualsiasi cantante / gruppo /dj che vado a sentire. Sono uno che si interessa ai fatti importanti della musica. Purtroppo mi perdo la conferenza sui festival di musica elettronica ma me la faccio raccontare al mio arrivo al Museo Della Giovinezza, ex Scienze Naturali.
Sulle scale incrociamo James Holden e la mitica Gemmonobrow che escono fuori per una boccata d'aria mentre noi arriviamo. Poi stazionano dalle nostre parti, prima che decidiamo di allontanarci in favore di un po' di vita sociale con dei loschi figuri che non possiamo nominare. Vaghe Stelle è stato lo Zelig del Festival, lo vedevamo dappertutto (ma in generale lo vedo dappertutto sempre). Il suo live set è stato buono e di sicuro più nelle mie corde rispetto agli esordi minimal. Il krautechnopopp non fa mistero dell'immaginario di riferimento, che tra l'altro gironzola intorno fotografando il dinosauro. Il set però continua oltre il previsto orario di chiusura un quarto d'ora, una mezzora, un'ora. Non so se Kate Wax sia in ritardo, ma di sicuro la nostra cena diventa a rischio.
Ciclo 5 by vaghe stelle
Sul palco a fianco parte finalmente il concerto di Kate Wax, illuminato con questa mezza luce senza senso: lei e lui bassista hanno magliette bianche della salute su cui dovrebbero proiettare nel buio immagini astratte, stelle, volti di modelle. La mezza luce invece li illumina come dei Kills scarsi se i Kills non fossero già scarsi, lei tibetan-bjork-cantante-arty-ottanta, lui bassista-biondo-scodella-cripto-inutile-era-meglio-l'arpeggiator. La musica, purtroppo, sembra pure peggio: la sua voce non è male, ma viene incastrata in questo residuo anni ottanta troppo celeste per essere witch-house, troppo piatto per intrigare. Il fantasma dell'electroclash mi sussurrano tutti all'orecchio. Dove cazzo andiamo a mangiare, sono le nove meno cinque. Sembra che finalmente abbia finito, quando torna sul palco e come nei peggiori incubi, mentre il paciocco Abbott è già in postazione, se ne esce con un improbabile " è vero che volete un'altra canzone?". Aridatece i Darkstar.
Meno male che non abbandoniamo il Museo per la cena, in barba alle cucine dei ristoranti torinesi che chiudono alle dieci e mezza e ai vicini di casa che hanno già pronta la soup al mio arrivo quotidiano dal lavoro alle 18. Luke Abbott è bello come un dio greco (nel cartone animato Pollon). Armato di solo APC40 (look who's who) con mani cucciole (cit.) tira fuori il liveset del festival, trasformando il materiale dei singoli e dell'album in una festa acrobatica di manopole, offset e incartamenti. Ritmiche aggressive e con tiro notturno, nonostante si spezzino come grissini perché la sua attenzione lo distrae, ruvidità di dentidipescesega che duellano con rimbalzi rotondi di ton(d)i melodici in una battaglia continua con la tizia che sorveglia il mixer, una specie di babysitter tuttaunnervo che vorrebbe stare da un'altra parte. Qualcosa che funziona come dance music pur non essendo dance music, che si affida alle convenzioni mentre le prende a calci.
Ispirato da una meraviglia che meritava l'Hiroshima, trovo la soluzione per la cena, lui suona il prefinale di Melody 120, è quasi finita manca solo Brazil e invece la babysitter si distrae e lui lancia dei droni, si avventa sul master mixer, mette al massimo il volume, crea degli effetti risonanti, si avvicina un tipo preoccupato per l'impianto e poi la babysitter e lui riprende il controller e quella che sembrava Brazil diventa devastazione di rumore e sfacelo che illumina gli occhi dei pochi rimasti (nel frattempo molti hanno ceduto ai morsi della fame, stolti). Sorridenti anche noi abbandoniamo il Museo e sulle scale un sovrintendente ci chiede se sopra c'è ancora qualcuno (sì, uno stalker, prendetelo!). Di lì a poco avrei affrontato uno stinco di maiale con crauti e una rossa artigianale da sette gradi uscendone sconfitto.
MIT 'Rauch (Luke Abbott Remix)' by halfmachine
anche se non c'entra niente, ma mi sentivo più o meno come quando ho sentito questa per la prima volta
3 commenti:
uno stalker. uno solo (con un'amica, ma lei non deve spaventarvi).
ha un casco da cross.
si chiama tommaso.
no, non potete fermarlo.
" Il krautechnopopp non fa mistero dell'immaginario di riferimento, che tra l'altro gironzola intorno fotografando il dinosauro."
ridetti!
@tOm: ti hanno mica detto dove avrebbero cenato? ahahah
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