30.5.11

Pillole di Primavera Sound 2011 - Giorno 1 (Evanescense)

p.s.: giudizi, lamentele, set fotografici completi arriveranno più avanti in altre forme. Per ora solo frammenti.

[ghost track iniziale del giorno 0]
Caribou: l'ora e più di fila per entrare al Poble Espanyol dove "uno esce, uno entra" è giustificata solo dal mirare cos'era il Primavera Sound quando è iniziato. Caribou su palco grande delude: carica la massa sonora per reggere la circostanza, ma smoscia l'esibizione dal punto di vista ritmico, perdendola in pezzi che non partono alternati a code stiracchiate. Il pubblico ballicchia, ma sei mesi fa nei club era stata un'altra cosa.

Moon Duo: il mio festival inizia con questa specie di Kills crauti al palco RayBan (giuro che durante il concerto mi sono cresciuti sugli occhi dei wayfarer che ho tentato in tutti i modi di sgrattare via). Fortunatamente fanno Mazes subito, per il resto non sono altro che una figurante con il chitarrista barbuto che fa due o tre cose fighe in mezzo ad altre trascurabili su una base in playback.


Seefeel: al palco ATP dopo un inizio droneggiante, trasognato (per i vocalizzi sparsi della "cantante") e punteggiato da qualche divagazione ritmico-industriale, i Seefeel scadono nel basso wahwah-dubsteppo fino ad arrivare ad una chiusa dub su cui divertirsi a cantare i grandi classici. Esili e confusi non si risollevano dall'ultimo disco.


P.I.L.: venti minuti di passaggio al malefico e lontanissimo palco grande2 LLevant bastano per urlare Slow Motion Slow Motion e Una canzone d'amore, per farmi ricordare. Il live è carico e con resa sonora millimetrica ma con i pezzi che vengono stiracchiati in code insostenibili. Come quando stai a parlare coi parenti anziani (Johnny in questo caso), che raccontano una storia anche fica ma si perdono in mille dettagli e non arrivano alla fine.


Oneohtrix Point Never: dato il fittissimo programma si cena all'ATP davanti alle bordate di strati prima senza compromessi e poi via via infiltrate di desideri melodici. Nessuna concessione allo spettacolo, concentrazione davanti al laptop, visual alle spalle, un timido saluto quando abbassa lo schermo per andare via. Forse non è stato il luogo più adatto e la sensazione che rimane è quella della dispersione.


Grinderman: al palco grande1 San Miguel baraccone da cui scappare (The Walkmen comunque riescono a riempire il Pitchfork in contemporanea). Standby.

Suicide: baraccone di anziani anche qui, ma sublime nella sua merda. Alan Vega biascica gocce di kukident e Martin Rev luccicante come al solito suona la tastiera coi pugni e coi gomiti. È il mio concerto di Vasco Rossi, vederli è scemo come suicidarsi. Spaccano timpani a caso e sono fastidiosi ora che quel disco del 1977 non è più fastidioso e viene campionato dalle starlette electro-world. Un concerto che non si riesce a reggere fisicamente e così inframezziamo con una pausa dopo Mon Cheree Cheree per soppravvivere. Si torna per la fine, come hanno fatto loro con noi.


The Flaming Lips: non c'è traccia della collaborazione con Prefuse 73 comunicata in parallelo al festival. Non rifanno per intero The Soft Bulletin così come si era ventilato sul forum del Primavera. È, più o meno, lo stesso live degli ultimi anni co' la palla, i lustrini, i palloni, i video con le donnine lisergiche, le manone, i megafoni, le chitarre con le bolle. Cambiano i ballerini di fila che in questo caso consistono nella rivisitazione panzanella del mago di Oz: ciotte Dorothy coi leoni rattusi che le ghermiscono con la coda. Per chi come me va al circo la prima volta, è tutto bellissimo e non mi distrae dai suoni stupendi e dall'essere sommerso da quel misto di zucchero distorto. Per gli altri, abituati ed insensibili, Wayne non è che un leone spelacchiato (stola di cane simbolica) che deve tornare a ruggire invece di fomentare per compensare il deficit di accudimento. (Però ammetto che girellare per il forum con la macchinina del golfista tra un palco e l'altro e fermarsi ogni cinque metri per l'applauso e la foto avvalora la tesi).


John Talabot: il finale è la prima puntata al palco Pitchfork, totalmente popolato da gente coi capelli neri (i biondi si cuccano Girl Talk al LLevant). La dimessissima promessa barceloneta rimane a testa china sulla valiga dei dischi e si rifugia saltuariamente dietro le quinte. Il set ha il caratteristico ondeggiamento delle sue produzioni e raggiunge il suo primo picco col private mix di Changed. Poi da lì è discesa con quello che sembra un suo edit di The Bells (ma sarà altro), una versione rallentata di "Get Get Down" di Paul Johnson e quello che sembra essere un suo rilavorio inedito di Caribou (ma sarà altro). Poi inspiegabilmente alle cinque dopo tre quarti d'ora termina in modo brusco e il palco chiude, inaugurando l'impero del Male notturno del LLevant e la fine festival senza metropolitana per il ritorno.


Persi della giornata: Of Montreal, El Guincho, Big Boi, Glenn Branca, Salem, Glasser, Gold Panda, Ducktails.



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