Il niente per il tutto
Il primo suono è un battito.
Quand’ero al liceo ho imparato la mappa delle figure retoriche, i nomi strani, la sineddoche, l’anafora e l’anacoluto. Ed ero segretamente attratto da questa cosa del
niente per il tutto, ché è troppo facile lasciare intendere un concetto con una parte. E l’elettronica è così, è assenza che ti permette. Ripassati
il concetto di lacuna se non ti intendi di semiconduttori.
Isolée è tedesco e non troppo fecondo. Forella zeri e uno e incide microsolchi per la Playhouse, che per capirci è la tautologica etichetta per cui forellano e incidono anche Riccardo Villalobos e John Tejada.
We Are Monster esce a cinque anni di distanza dal suo ultimo lavoro, tanto che sospetto che il nome d’arte sia un soprannome frutto di autocoscienza. Il disco è stato accolto favorevolmente un po’ ovunque e non tanto per le sue potenzialità danzerecce, quanto per come suoni eventuali e frammenti minimi portano l’ascoltatore con la loro semplice intricatezza a isolarsi dal suono che ha intorno. Nell’ascolto si è insomma dibattuti tra il lasciarsi manipolare come un panetto di pongo e l’addentrarsi nella foresta glitt(ch)er dei giochi di specchi interni con cui microbi crescono a dismisura per amplificazione ottica.
Prendi
Pictureloved, per esempio, ci sono tutte le persone amate attraverso le fotografie, ma non alla maniera di quando guardi una foto a quattro anni del tuo amore, no, alla maniera della distanza, del fatto che non conosci il soggetto della foto eppure sai che faresti di tutto per lui.
Schrapnell utilizza le sue melodie e i suoi materiali per sviare, perché quella non è una chitarra westernata, perché quelle che sono le uniche parti che ricordi del disco all’improvviso da ascendenti diventano discendenti e poi chitarre schitarrate. L’
e poi che è la costanza del disco, un vrooom di motore che noncentraniente, un crescendo di beat creato con un’interferenza di telefonino, inutile perché introduce la fine di un pezzo, eppure perfetto.
Enrico sarebbe stato il mio capo se fossi stato un ricercatore.
Enrico aveva la maglietta di
Planet Rock ma era grigia e abbiamo parlato un sacco su un pullman per Amsterdam.
Enrico è un campione vocale.
Quando leggo
Mädchen ripenso alle
colonne sonore dei film porno tedeschi anni '70 sulle studentesse di Gert Wilden e all’attrice di Twin Peaks, ripenso è il termine giusto visto che
Mädchen Mit Hase ripensa
Pictureloved. Ripenso debole. Puoi quasi prenderti il tuo aperitivo sopra questo disco ma ripensaci perché quando sei a un minuto e mezzo dalla fine potresti avere l’impressione che il finale è diverso dall’iniziale.
Technologic. Technologic. And acid, quando balli. Grande e piccola
My Hi-matic sempre con lo stesso pezzo che si allarga, che respira in maniera così opposta a come inspira, a come si restringe. Il concetto di dance sulla spiaggia, quella spiaggia con i granelli che non ti si attaccano ai piedi. Zoom improvviso su un, singolo, granello che con colori di vetro diventa una mirrorball irregolare.
Vuoi la negazione delle note? Hai
Do Re Mi. Troppo lungo, però, e inizia qui il lato B che abbassa il giudizio sul disco.
Vuoi un’altra faccia? Vuoi troppo. Perché la parte più interessante di
Face B è nel come le vibrazioni basse si allargano in maniera controllata senza parare da nessuna parte.
E hai voglia a pro-nunciare il titolo di una canzone e a ri-petere l’ultima parola e poi a scan-dire le parole in dis-ordine e a intro-durre aggettivi possessivi, quando l’unico scopo è il boccheggio, il galleggio, in una boccia di vetro. Ingranditi da effetti ottici sbattiamo la testa sul vetro, o sulla finta plastica.
Today is the greatest, day you’ve ever known. Ritornano le chitarre in funzione a-ritmica e a-rmonica.
Galaxy, galaxyyy. A-custiche. A-classica. B-cchieri, a-rmoniosi.
Poi
Pillowtalk dovrebbe chiudere.
Pillowtalk tuttoattaccatocome
Pictureloved.
Pillowtalk dei discorsi sul cuscino che durano dieci minuti netti e sono il regno della conseguenza antilogica, dell’associazione mentale a testa piegata, degli elementi che noncentranoniente col detto prima. Gli effetti deformano i frammenti di niente che compongono il tutto, li mandano avanti fuori tempo.
Rigidamente hausfolk e senza fronzoli,
Noi Siamo Il Mostro è come un'incursione nella house dei Boards Of Canada, è come una serie di glitch che invece di finire in un disco della Morr Music o di infastidire il tuo analizzatore di stati vanno a fare le stelline in una dis(coas)trattoteca, è come un acido desossiribonucleico guardato al microscopio elettronico mentre si ricombina e balla. È a tratti il niente per il tutto.