The Big Fat Kill
Partiamo da questo:
Ho visto Sin City e ne sono ammirato. Ho visto Sin City, nel senso che chi va al cinema a vedere il film Sin City, legge su schermo il fumetto Sin City. Vi ho segnalato qualche giorno fa gli albi completi in versione elettronica, ma qualcuno ha estratto delle immagini dai trailer ed ecco che il il perfetto parallelo tra cinema e strisce è bello e servito.
Sin City e l’idea di movimento dei personaggi e della camera nei fumetti. Non è un film d’azione nel senso classico del termine, né in quello che si ciba di effetti speciali o in quello con ritmiche patinate prese in prestito dai videoclip. Il movimento è insieme l’intuizione tra un disegno e l’altro e i tratti che indicano dinamicità. Le automobili e le traiettorie che hanno nel film sono un esempio di movimento in immagine statica.
Sin City è un film a basso costo in cui agli attori non è stata richiesta recitazione ma presenza. Nei ritagli di tempo con cachet ridotti stelle milionarie erano su un set totalmente verde, spesso senza il loro interlocutore davanti, per tempi non superiori alle due settimane. La sua monumentalità artificiale è fatta in casa e debitrice più alle scelte visuali che a quelle tecnologiche. Molto proviene dalle strisce esistenti, ma Rodriguez per pochi secondi azzecca ombre espressioniste oltre rispetto a quelle originarie. Tra il sovraccarico di particolari e il brivido astratto regalato da un’immagine monocromatica in negativo persino la quantità di oggetti segna l’esperienza visiva. E se non lo sapete il bastardo giallo recitava dipinto di blu per questioni cromatiche.
Sin City è perfetta trasposizione di un fumetto ma è anche veicolo per i classici giochi a incastro del cinema di Tarantino e soci. Il tempo e i personaggi si intrecciano, anche se le storie sono state girate per intero e nel DVD potranno essere viste nel loro scorrere originario. I particolari e i riferimenti si assommano al punto da sfuggire per la mole. L’ilarità suscitata per il divertente parallelo tra il personaggio di Alexis Bledel e quello che recita in Una Mamma Per Amica si alterna con il succedersi delle apparizioni degli autori (il disegnatore Frank Miller è il prete, Rodriguez e Tarantino figurano tra i frequentatori del bar). Frodo in versione Charlie Brown cannibale con All Star per salti da quattro metri è già l’evoluzione dell’indieblogger in perfetto indieserialkiller. Continuo ancora adesso a riconoscere personaggi irriconoscibili (da Mickey Rourke, la cui faccia abnorme è dovuta ai pugni presi da boxeur più che al trucco, al cardinale Rutger Hauer, benedetti siano i titoli di coda).
Sin City è un film che trent’anni fa vi avrebbero bollato come fascista. Mereghetti usa questo aggettivo oggi, ma non mi sento in colpa per essermi esaltato, per aver riso come poche volte mi è successo ultimamente al cinema. Pensate agli elementi alla base della visione di Miller, pensate al primitivismo tutto americano privo dell’approccio da epopea del west, nichilista e perduto, privo anche del romanticismo, foss’anche quello di una scena d’addio (“Dove vai sciocchino”). Un noir in decomposizione. Pensate alla misoginia delle donne tutte puttane dominatrici (con l’eccezione della cameriera e della ballerina da locale per soli uomini), alla vendetta, alla forza dell’irrazionale. Pensate al violento immaginario gotico-metropolitano e se non siete convinti pensate allo Shuriken del personaggio di Devon Aoki, a forma di svastica, eheh. Oh, so’ ironico eh.
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