14.2.06

Music won't save you from anything but silence


Serata strana. Gente mai vista attorno. La metà di chi sta dalle parti del bar e dei tavolini non è lì per il concerto, non sappiamo perché sia lì. Ci guardiamo intorno, si guardano intorno, è il trionfo dello sguardo che normalmente si riserva alla visione di extra-terrestri. Accettano con sollievo il termine del concerto del gruppo spalla locale, pensando che sia finita lì. Speriamo invano che si decidano ai propositi di fuga più volte espressi. È il bello e il brutto di un posto trasversale, mai trasversale come questa sera, Piano Magic e poi disco tamarra, molto tamarra.


I Piano Magic hanno chitarre e voci rotonde. Gli arbusti sullo schermo sono certe batterie, intrichi di macchina e pelle su cui inciampi mentre le tastiere sospingono il tuo sonnambulismo. Il cantante antidivo ha uno scheletro appeso al pantalone, il chitarrista è il suo alter ego: sta per caso in un gruppo introverso, ma è tutto una mossetta, una schiena al pubblico, collanone d’oro e una panza di birra che cercano la scena. Mancano le ragazze purtroppo, ma è il prezzo dei gruppi aperti e se non altro non si assistono a stravolgimenti fastidiosi per questo motivo.


La scaletta parte con un trittico da Disaffected, marcia di ingresso, sospensione, tiraemolla. Non ci preme qui esprimere giudizi sulla validità in assoluto dei Pianomagici, ché noi proviamo verso di loro un sentimento di abbandono, li usiamo, come una colonna sonora come all’inizio di questo blog o come un luogo oscuro e rassicurante com’era tutta la musica che li ispira. Saint Marie è il primo matematico passato che affiora dal repertorio e da questo momento si va avanti e indietro, come le parole spesso suggeriscono. Suggeriscono che non ci sarà chiusura, ma so che la realtà è quel pubblico al fondo della sala che chiacchiera e che aspetta i bpm e che fortunatamente non sento perché sfortunatamente i pianomagici evitano gli episodi più eterei. Gli addii a Londra, le assenze di mete, che mi mancano. Perfino il bis manca, procedono verso la fine senza abbandonare il palco, facendo segno sull’orologio. Silenzio. Password.


La canzone per gli ingegneri è la coccola di chiusura. Sono ancora sul palco quando parte un anonimo unz unz che qualche secondo dopo si tramuta in Sorry di Madonna. La balliamo fino alla fine e poi prendiamo i cappotti e la via di casa e ci rendiamo conto che mentre noi eravamo rapiti in prima fila sotto il palco, il locale cambiava volto per una nottata molto grezza e molto gaia.

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