2.5.06

La messa rossa


Offlaga Disco Pax due anni dopo, in quel di Bari, la notte dell’insediamento delle camere. Ha un senso scriverne? È come andare al Molfetta Outlet in cerca di sensazioni tessili griffate settecento giorni fa? Probabile, soprattutto poi per uno come me che vive il fenomeno dall’esterno di un’infedeltà alla linea fatta di divergenze e distinguo. Comunque ero lì, in prima fila davanti al cantante, forse a distinguermi con gli sguardi dal coro intorno, come quando negli ultimi anni mi è capitato di essere in chiesa per motivi essenzialmente funebri e ho attirato l’attenzione del prete con la mia non partecipazione alla messa. E non è un caso che tiri fuori il termine messa, perché l’impressione era quella di trovarsi a una di quelle messe in cui arriva il papa in provincia o il cardinale nel quartiere. Dal palco venivano distribuiti messalini con i testi che pochi dei molti fedeli utilizzavano: alcuni zitti per una qualche vergogna, pochi muovevano il labiale non ricordando bene le parole, molti urlavano e anche in anticipo le parole feticcio salvo poi sbagliare qualche volta il coro. Una messa cantata di sinistra è pur sempre una messa cantata, sia che la si veda come un momento di unione di un gruppo in qualcosa di alto, sia che la si veda come un momento di spersonalizzazione atta al controllo dell’individuo. Il PCI in fondo ha vissuto per tanto tempo l’ambivalenza di aver risolto teoricamente il dilemma del consenso e della rivoluzione con l’intuizione dell’egemonia gramsciana, praticandola però anche attraverso forme italo-catto-democristiane. All’inizio poi i giovani intorno, come tanti papaboys con tragico senso dell’ironia, inneggiavano in coro non a Gio-Vanni Pao-Lo ma a Fran-Cesco Ma-Rini e a Cle-Mente Ma-Stella, attirando la carezzevole reprimenda del sacerdote: “Siete dei NAD, Nuclei Armati Democristiani”.

Per il resto le notazioni sono le solite, a parte che riflettevo sul valore dello spirito di Orietta Berti nella transustaziazione del passato in revival dal potere taumaturgico-leni(n)tivo: Orietta Berti negli anni Sessanta de La Rotonda Sul Mare di Red Ronnie e della vanziniana Fininvest, Orietta Berti negli anni Settanta di Anima Mia di Labranca/Fazio e del mammobuonismo Rai, Orietta Berti negli anni Ottanta degli Offlaga come fantasma dell’altra Emilia. Mancano le foto alla merce protagonista, dato che ho perso la mia macchina fotografica ammaccatissima ballando electro dell’anno scorso dopo il concerto, ma Collini a tratti sembrava aver paura che le prime file rubassero il cilindretto di Doraemon o i peluche della talpa. Dal punto di vista estetico il cantante esibiva una cravatta su polo, cosa che ho visto rischiare soltanto a Nicola Savino, il chitarrista una maglietta di Maria Esangue Taylor e il moogista si distingueva per l’essere un clone totale di
delio con barba alla Bonnie Prince Billie, vestito con una maglietta di Star Wars chiara citazione da Il Caimano. Il capitolo paraculaggine ha previsto citazioni calcistiche riguardanti Parente, Protti e Tovalieri. Musicalmente fedeli a quello che ci si attendeva, con un piccolo appunto per Enver mozzata nella sua ballabilità e per la voce mescolata con un volume inizialmente troppo basso, hanno proposto due inediti che lasciano intendere che un possibile seguito di Socialismo Tascabile chiuderà alcune ellissi diventate poi tormentoni. Abbiamo comprato un cd per un amico su commissione e abbiamo ricevuto delle monete faticosamente racimolate come resto. Oggi le utilizzerò alla macchinetta dell’ufficio per comprare un Kinder (pausa pregna) Cereali.

(Visti anche settecento giorni dopo da Lablog e il giorno prima da Benty, con spiriti diversi dal mio)

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