1.10.07

This house is not a motel

Non sono né un conoscitore, né un amante della house. L’ho assorbita in maniera inconscia attraverso gli influssi sul mainstream di quand’ero piccolo, niente di più. Col senno di poi ho recuperato qualcosa, ma ho sempre preferito le sue estremizzazioni: la tech e la deep erano come lingue di contatto con Detroit e Chicago e suoni preferiti, la garage di Larry Levan era il ritorno del soul in nuovi e luccicanti scantinati elettronici. Poi c’era la tribal che non ho mai capito se era tutta una finta e la dream che in fondo a Robert Miles ci ho sempre voluto tanto bene. C’era anche il video di Another Chance di Roger Sanchez. Ne andavo pazzo e lo trovavo terribilmente twee. La sorella sfigata di Kate Winslet va in giro con un cuore enorme, così grande che è difficile trascinarlo, e nessuno la vuole per questo. Non la fanno entrare nei sushi bar, nei taxi e nemmeno nelle discoteche. È triste e il suo cuore si rimpicciolisce fino a che non lo tiene con facilità tra le due mani. A quel punto incontra un bel giovane che le chiede se quello è il suo cuore. È grande, no è piccolo, prima lo era molto di più. La invita per un caffè e passano la serata insieme. Il giorno dopo il cuore di lei è nuovamente gigante, ma quando lui passa a prenderla e vede quel grosso coso rosso fa un passo indietro e non si presenta all’appuntamento. E lei rimane da sola, a New York col suo enorme cuore rosso. Comunque i giovani dicono che la house ritorna. Quelli cattivi ascoltano il Bob Sinclair Show su Radio Deejay il sabato notte mentre vanno in disco, quelli buoni che sanno dicono che Jerome Sydenham sarà per il 2007 quello che Carl Craig con la techno è stato per il 2006.

Jerome Sydenham è nato e cresciuto a Ibadan in Nigeria, da genitori inglesi e giamaicani, ha studiato in Inghilterra e poi è volato a New York negli anni Ottanta. I successi nel sottobosco dance underground lo portarono a fare il mestiere più odiato dagli indie: l’A&R per le major. Praticamente quello che prende i cocchi della scena e li rende odiose bestiacce improduttive. Scherzo. Poi Jerome a un certo punto ha fondato la sua Ibadan Records (come se io fondassi la Palermo Dischi). Deep house di base, ma in realtà un gran miscuglio che accentuava ora i lati più elettronici quasi techno, ora le influenze afro, ora le radici disco. Fino ai giorni nostri in cui Sydenham prende sotto la sua ala talenti del nord Europa come Tiger Stripes e Rune e tira fuori alcuni remix gustosi come quelli per Len Faki e Argy. In breve mi appassiono al suo repertorio attuale. Poi in questi giorni mi capita sottomano il suo mix contenuto nel secondo cd di Museum Thalia. Lo ascolto al lavoro e non mi piace. Inizia come se fossimo già al culmine della serata con Serenity di Tiger Stripes e la trovo fuori posto. Poi con gli ascolti successivi cambio idea. In fondo è la house a essere un genere che ama sempre essere col cuore troppo grosso, sia che spari violini, voci negre, grandi bassi o bonghetti.

Così Serenity col suo crescendo dal pizzicato ai violini scarto di una sala di registrazione di disco svedese funge da introduzione verso una serie di alti e bassi continui. Le profondità di Sandcastles e i cori dell’infanzia portano verso il secondo alto disco. The Back Door allenta la tensione verso il Sydenham & Tiger Stripes remix di In The Trees, che mi è sempre sembrato una disco annacquata rispetto alla grattugia techno di Carl Craig. Qui sta il mio problema con la house: quando è troppo leccata non mi piace, mi sembra roba da viveur new-yorkesi se non da papponi fine anni Ottanta. The Undertow riporta sottotono il morale (bene!) privilegiando le percussioni fino ai violini di Stockholm Go Bang!. Depongo le armi, questa è musica per chi le discoteche a metà anni Ottanta le vedeva solo nei telefilm americani (ri-bene!). Elevation e Son Of Raw scaldano fino al riff sempre uguale e in crescendo e all’urlo primordiale di Timbuktu. Qui parte Elephant con Rune ed è quasi techno. Grande pezzo e movimento da ottimo centrocampista. Passando per Nikola Gala la corsa prosegue verso lidi meno amati: ok la storia ma il pezzo dei Ten City per me è troppo. Non è cosa mia. Così come la successiva chill-ata. E di lì Kerri Chandler ed è come quando in discoteca pensi di andartene ché ormai non ti stai più divertendo. Si chiude ancora con Tiger Stripes, dub house senza bassi e un riff tristissimo. La house rimane lì col suo cuore così grosso che sembra finto e io non so se voltare l’angolo, oppure no.

Elephant - Rune & Sydenham
Timbuktu (Âme Original Mix) - Ferrer & Sydenham Inc.

7 commenti:

delio ha detto...

la vera notizia è che hai il tempo per ascoltare piú di una volta lo stesso pezzo, e di cambiare idea a riguardo. l'idea del video col cuore suona bene, ma mi ricorda qualcosa. cosa?

(ma quindi la house è ammore mentre l'indie (ammesso e non concesso che i white stripes siano indie) è porno?)

maxcar ha detto...

Veramente ho il tempo di ascoltare un mix da ottanta minuti più di una volta...

un cuore di plastica non è ammmore e quella non era meg!

Beautiful Burnout dal nuovo disco degli Underworld mi ricorda qualcosa ma non capisco cosa

accento svedese ha detto...

Il video di Roger Sanchez all'epoca mi piaceva un sacco. Triste ma veritiero.

la_scarpa_che_respira ha detto...

un pò all'house ci sono affezionato perchè ho iniziato ad ascoltarla in coincidenza con un momento di rinascita in campo musicale (e non solo).
Oggi che ho le orecchie rovinate dai tedeschi cattivi qualsiasi cosa house che ascolto mi ricorda le copertine di hed kandi (a proposito ecco il link ad una puntata monografica di Melog su Radio 24 dedicata a FAusto Papetti http://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/Melog/papetti-28-09-2007.php?uuid=e102c9d0-6d9a-11dc-bf27-00000e25108c&DocRulesView=Libero ).
p.s. Però il nuovo Scuba di King Britt mi piace...

maxcar ha detto...

@delio: mi raccomando prenota questo dvd
S
@me: beautiful burnout mi ricordava dino the leggy, ecco

@lascarpa: a ottobre dove ho visto carl craig ci sarà Andy Fletcher dei depeche mode (attenzione, non quello che assomiglia ad andy dei bluvertigo) per una rassegna chiamata 'Serie House'. Il nome Depeche Mode sparato grosso così accanto ad house mi fa troppo ridere

la_scarpa_che_respira ha detto...

già.. per dirla con Albanese: qual'è la destra? qual'è la sinistra?

punch-drunk ha detto...

già, che bel video.


[giorgio blubblà legge con frequenza ma siccome non sa nulla di tutto quello di cui parli non commenta quasi mai, si limita ad annuire pensoso e talvolta a tentare di ascoltare le cose di cui parli. questo commento è il quasi, per i prossimi mesi sto a posto]