13.5.08

Risuonanze (Kid you’ll move mountains, why the long face?)

Antefatto di onestà pelosa (saltatelo se mi volete bene)
Dissonanze è il primo accredito della mia vita, chiesto e ottenuto in virtù di questo blog. È giusto che lo scriva, prima che si parli di un ottimo festival che (insieme al Club TO Club colpevolmente mancato) in due giorni spazza via il sentimento di inadeguatezza verso le esperienze spagnole e del resto d’Europa. È giusto che lo scriva, prima che stronchi o che faccia i complimenti a chi ha fatto il suo mestiere davanti e dietro le quinte, o prima che mi lamenti dei prezzi dei drink. La speranza è che tutto ciò possa andare oltre l’elettronica e la musica da ballo, oltre le esperienze fondamentali e gratuite stile Traffic. Magari in un bellissimo posto di mare del sud Italia (anche se, devo dire, ho una passione perversa per l’architettura fascista dell’Eur).

Prefuse ‘73
Si parte dalla Terrazza. Il Prefuso imbraccia una chitarra e si porta appresso un ragazzo di fatica e un batterista. Il risultato è molto meno pirotecnico dal punto di vista visivo rispetto a quando lo si vide al TDK di tre anni fa. Il pubblico che arriva a poco a poco apprezza, soprattutto una prima fila scatenata che secondo me non solo conosceva tutti i pezzi, ma anche i relativi titoli (che nel caso del Prefuso sono degni dei film della Wertmuller). In fondo apprezzo pure io, anche se privato della gioia di vederlo smanettare su pattern di batteria elettronica e giradischi. E complimenti al batterista, ché per fare il batterista del Prefuso ci vuole una memoria e una destrezza notevole.



Ryoji Ikeda (ma anche Pinch e Yacht)
Dalla Terrazza si scende al semivuoto Salone dove Pinch ha iniziato la sua cosa dubstep. Che per me è la sua cosa dubstep e prima o poi dovrò superare le mie ritrosie e convincermi all’annegamento nei bassi profondi e nei ritmi dilatati. Non questa volta. Inauguro così i posti a sedere dell’Aula Magna strapiena, dove i bassi profondi sono sostituiti dalle preminenti alte frequenze della performance multimediale di Ryoji Ikeda: bianco o nero sullo schermo, suoni ipercinetici molto anni Novanta e un gruppetto composito di rastapunk e scoppiati che si radunano davanti a una delle casse come se si fosse a un rave ripreso da Studio Aperto. A un certo punto ho seriamente temuto l’attacco epilettico stile Pokemon. Invece tutto finisce magistralmente prima e così c’è pure il tempo di salire per un’occhiata agli Yacht in Terrazza. Nel luogo in cui artisti elettronici e dj si sbattono per mostrare quanto possa essere musicale quello che fanno, questo sedanone nerd e questa tavola da surf in ultra-mini abito stretch lanciano delle basi pre-registrate con tanto di cori e controcanti e ci schiamazzano su in maniera scomposta. Divertente anche, ma offensivo per il contesto.




Cobblestone Jazz, Caribou e un pizzico di Italo Disco
L’inizio della maratona Italo-Cosmic Disco è affidata ai Rodion è la loro partenza è davvero gustosa, con tanto di cover di The Logical Song. La Terrazza è quasi piena e la gente balla su questi parallelepipedi enormi progettati per quando le littorie astromobili avrebbero avuto passaggi continui e cosmici sul cielo dell’Eur. Mi chiedo mentalmente come si sarebbero chiamate le cubiste se avessero iniziato sui parallelepipedi e rido come un cretino. Poi però mi sposto lesto giù dove i tre Cobblestone Jazz musicano un Salone della Cultura in via di riempimento. La formazione laptop + controller + tastierone uso vocoder, hammond, reed è la celebrazione dello spirito del progetto. La gente intorno balla, ma la sensazione è che si divertano più sul palco (e io con loro). Per la prima volta mi vergogno come un appassionato di jazz. Salto la fine per accaparrarmi un’onesta quinta fila per il live di Caribou (Ryoji Ikeda siede in prima fila centrale). Los Quarenta Luigi mi raggiunge prima dell’inizio e mi dice gran cose di ciò che succede in terrazza (dove Daniele Baldelli ha preso il posto dei Rodion). Caribou è in formazione doppia batteria e tuttavia penso che ciò possa non bastare. Il batterista che ha sostituito il precedente infortunato va però a Red Bull e suona come sei o sette batteristi in contemporanea. Il tutto però è enormemente più muscolare che su disco. A me basterebbe che lo shoegaze ritmico avesse un volume in linea con lo shoegaze melodico, con la voce sempre in secondo piano. Suonano quasi tutto Andorra e ripescano molti pezzi dal passato Manitoba che, coglione io, avevo anche stroncato nel vecchio blog. Poco, pochissimo dal primo Caribou, del quale rimangono soltanto Bees e la conclusiva Barnowl. Con volumi più bassi della batteria sarebbe stato perfetto. Però mi rendo conto che sedendomi lì davanti mi sono beccato tutto il suono vero di tamburi e piatti oltre a quello amplificato. Una specie di Icaro col budello al posto della cera.





Booka Shade e gli altri ‘de passaggio’
Scappo subito dalla terrazza per evitare i No Age. I No Age non sono malaccio su disco, un gruppo punk con un produttore shoegaze. Peccato che dal vivo perdano questa vivace particolarità, diventando un gruppo involuto e pestoso. Me ne sono accorto fortunatamente in anticipo quando avevano suonato per Amoeba. Così in attesa del live dei Booka Shade oscillo tra Salone e Terrazza. Un algido Robotnick del quale riesco a cogliere solo l’ultimo pezzo passa la mano al Francisco di casa con un terrificante saluto del tipo “Ciao, ero Alexander Robotnick. Buonanotte”. Giù becco gli ultimi due pezzi di Switch: il suo remix di Golden Skans e un remix di qualche sgallettata a caso confermano la mia grande difficoltà verso il genere (fidget, wonky o come vi pare di chiamarlo) e verso un personaggio controverso e secondo me più piccolo della sua fama (ma è sempre così). L’immortale revisione di Bump di Spank Rock non riuscirà mai a cancellare nella mia mente la sua approssimatività dal vivo, il suono pappone e il fine gusto da selezionatore di Hit Mania Dance. I due Booka Shade partono con Darko, una scelta eccessiva in barba ai dj-set che devono costruire e ai concerti che partono col quel pezzo che crea l’atmosfera ma non troppo. Il live è fortemente discontinuo: non si raggiunge la tensione continua del dj set a causa dell’alternanza tra episodi a grande impatto e riempitivi e non si organizza la scaletta come un concerto. Emergono così i difetti dei due dischi, il primo costruito in gran parte da una buona idea permutata in diversi modi a formare un suono e il secondo discontinuo e costituito da pezzi lenti e pomposi mischiati con cover dei New Order. A sprazzi però ci si diverte, come a un concerto dei gruppi di elettronica da stadio che mettono su la batteria finta e i gesti plateali per fare più scena. Luigi Los Cuarenta mi dice come certi Orbital da festival, e io penso a quegli Orbital che interrompevano Halcyon On And On e suonavano i campioni di Bon Jovi e di Belinda Carlisle. Prima dell'ovvia e acclamata Body Language finale c’è pure il tempo per la rilavorazione live di O Superman di Laurie Anderson. Poi arriva Loco Dice e dopo un pezzo e mezzo (che nel caso di Loco Dice significa circa tre quarti d’ora) decidiamo di risparmiare energie per il giorno dopo e di lasciarlo alla gran parte del pubblico accorsa lì per lui. D’altra parte, non è che ci si aspettasse molto da chi ha messo su LP l’ennesima traccia costruita sulla voce di Nina Simone o un pezzo che ripete continuamente “Dammelo, Papi”.



Fisico - Rodion
Crayon - Manitoba
Charlotte - Booka Shade

5 commenti:

a. ha detto...

avevo dimenticato la tipa che girava con yacht, in effetti mi piaceva. la prossima volta che ti sembra di riconoscermi tra la folla ti autorizzo a fermare il mio ballo scatenato salutarmi.

maxcar ha detto...

il problema è che tendo a non essere mai sicuro delle facce altrui (è un difetto neuronico che mi porto appresso almeno dalle scuole medie) e quindi preferisco evitare figure. pensa che questo sabato riconoscerò un dj che viene a mettere dischi qui a Giovinazzo (e Giovinazzo is Burning, hype hype hype) dal cardigan e dal cravattino

maxcar ha detto...

ps: puoi diventare amico della tipa che ti piace sul suo flickr (http://www.flickr.com/photos/astro-dudes/)

la_scarpa_che_respira ha detto...

Attendo con ansia il prosieguo e le parole di burro sul Sig. Carlo da Detroit

maxcar ha detto...

ah, poi sto ricostruendo a poco a poco il set di Erol. tutta roba ascolta una volta o poco più e subito messa via. ho pure scoperto cos'era la traccia con le trombette turche: Hoy di Duke Dumont