12.11.09

StalleToStelleToStalleAgain (ovvero il ClubToClub: terza serata)

Sabato al Lingotto, serate finale. DJ Pierre è già sul palco, un incrocio tra Disco Stu, il Mike Bongiorno della sigla di Pentatlon e quei cartoni animati blacksploitation anni settanta. Quando Guido Savini, preposto a sonorizzare con adeguata energia l'ingresso al padiglione, gli passa la linea, Pierre aggredisce con una hard house ai confini della minimal. Passi che dal padre dell'acid-house di Chicago avrei preferito inflessioni più, hmmm, acide, passi che a quell'ora e in un luogo così grande è giusto farsi prendere a cazzottoni, ma quello che non può passare è il suono tristemente ottuso della musica che ha proposto, con le frequenze tutte in mezzo (ma i bassi? ma le alte?) e quell'odore chimico di preset.

(DJ Pierre gioca a Snake col cellulare nuovo mentre mixa)


Jeff Mills mi scuserà se il giorno prima non mi sono recato al Museo del Cinema a prestare occhi e orecchi a un suo nuovo progetto multimediale in cui mischia musica e regia. Sono un passolone, ma quando la pseudo sbobba intellettuale è così ovvia, ne faccio a meno. Sul palco invece è rivelatorio. Azzerando l'ora e mezza di Pierre, riparte da un tappeto di frequenze insolite per luoghi come questi: dieci-quindici minuti di intro coi bassi che lenti si sollevano prendendo velocità e gli alti che intessono trame che si vaporizzano, si sfaldano e schioccano oscillanti. In mezzo le frequenze protagoniste del set di Pierre sono espulse, e con loro gli arpeggi sordi e i ritmi dall'occhio sbarrato. Sullo schermo la luna, la bocca è aperta e nessuno reclama i cazzottoni. Poi i cazzottoni arrivano, anche a colpi di 909 live, oscuri e disperati, incalzanti e capaci di retrocedere ancora su intermezzi di ambiente tesissimo.



Questa sera il concetto del club-to-club consiste nel migrare verso un'enorme caldaia di ferro alle spalle del palco principale, contenente la sala rossa. Savini, prima di passare la linea al live di Nathan Fake, è molto più crossover e quindi ci scappano le milanesate, un pizzico di cosmica, gli hotchippi e via dicendo. Nathan Fake live è in crescita continua: dai set ai limiti dell'ambient-davanti-a-chi-vuole ballare del periodo successivo all'uscita di Drowning e da quelli che per concedere di più ai danzerini sacrificavano storture e complessità, oggi sembra aver preso il meglio e le ritmiche incessanti e talvolta crespe non impediscono il gioco di fino o l'emersione indisturbata dei tratti melodici. Dj Pierre (anche in questa sala) prende il suo testimone e tende a ripetere quanto suonato sul palco principale con la differenza che ora i pezzi noiosi si inacidiscono un po' di più. Così si torna al main stage per l'ultima mezzora di Mills che bombarda con la drum machine come se non ci fosse domani. La sua chiusura è ambientale, forse però meno intrigante dell'apertura. Comunque, set della serata.



Carl Craig non è proprio in vena. Sarà quanto ha visto fare da Mills, ma inizia tentando un'intro orchestrale involuta che invece di ipnotizzare, crea del malumore. Quando comincia a piovere qualche fischio, continua imperturbabile con un muso duro che se non fosse il suo solito muso duro, si sarebbe quasi potuto dire provocatorio. Rendendosi conto, lascia partire la cassa, ma per tutta la prima parte è duro e piatto. In parallelo il suo traktor comincia a fare le bizze e se in qualche occasione sembra di assistere a un gioco di gambe in contrappunto, per il resto si ha la spiacevole impressione di assistere a una schermata impallata col software che quando sembra ridarti il controllo del puntatore si blocca nuovamente. Sarà la serata, saranno i problemi, ma C2 tira i remi in barca quando manca ancora molto e decide per il set alla cazzo di cane (per dirla alla René Ferretti): da un minimo di senso iniziale passa a consegnare alla rinfusa e senza un perché le sue solite armi di battaglia (e Jaguar buttata lì a quel modo fa male) e robe nuove come Hood su Clock. Dato però che non c'è mai fondo al peggio, quando ormai temevamo anche le trombette, il finale è arrivato coi canti latino-americani, come nemmeno il peggiore epigono di Luciano: ultimo pezzo prima del bis Caminando e bis a cazzo di cane, udite udite, La Mezcla. Que tristeza.



2 commenti:

bebo ha detto...

Fake sei riuscito ad intuire cosa usava? Solo laptop o anche qualche macchinino?

Tanta invidia a prescindere per Mills in gran spolvero, a firenze due anni fa fece stra-cagare tra serata no, problemi al giradischi e millemila persone compresse in 20 metri.

Non vorrei sembrare passatista ma ho come l'impressione che chi deve virare obbligatoriamente sull'analogico dopo che il digitale lo ha paccato tenda a perdersi (successo così anche per Apparat pochi giorni fa a Bologna). Non so, sensazioni.

maxcar ha detto...

purtroppo non mi sono avvicinato, ma a giudicare dalle foto delle ultime serate si mantiene sul laptop più controller

probabile sul virare, in certi casi poi non è nemmeno possibile tentarlo sul momento (immagino che craig fosse senza borsa dei dischi). grande ilarità però per i tentativi di risoluzione problema (il laptop sopraelevato coi tondini di gomma, ahah)