31.5.11

Pillole di Primavera Sound 2011 - Giorno 2 (Riassunti)

The Fiery Furnaces: persino quando vedi i concerti per intero, persino quando arrivi mezzora prima per stare sotto il palco, i festival sono come un enorme zapping di volti, suoni, colori o se vuoi stili, snobberie, cattive abitudini. I Fiery Furnaces, anche se ora mi sono stancato di sentirli, sono quello zapping lì. Next, next, next. Next anche a loro (che fanno onestamente la loro cosa).


James Blake: sembra non siano passati quasi due anni da quando faceva capolino nei mixtape o da quando per la prima volta si sottolineava che aveva iniziato a cantare. Bianco e insieme nero, triste e tenero, digitale eppure acustico. Poche storie, è il concerto del "qui e ora" di un festival che spesso dimentica il qui e ora. Dal palco principale il fracasso di M Ward viene sovrastato da cuori tristi, silenzi che si gonfiano di battiti e saturazioni da sogno e persino da qualche tentazione dance (una Klavierwerke enorme). Sul finale bellissimo e smarmellato quasi si schermisce di avere conquistato il palco e invita al suo djset del sabato.


Belle And Sebastian: i carucci di sempre sono così twee che al mixer hanno un fonico twee che li intuba e li fa suonare come un giradischi portatile nonostante siano sul palco principale. Certo Stu Murdoch gioca con le estetiste spagnole e consegna medaglie d'oro sul palco e c'ha le gigantografie sixties e cantano pure Common People col pubblico, ma purtroppo tutto ciò non basta a risollevare un live che non passa musicalmente.


Pulp: il live grosso della giornata è il loro. Jarvis Cocker in grossa forma scimmieggia sugli amplificatori e sulle pertiche come se stesse per spuntare alle spalle di un Jacko redivivo e consuma ogni ingresso di pezzo con le storielle da cantante confidenziale agée. La selezione di classici è completa (forse mancano giusto Mis-shapes o Help The Aged) e filologica nel citare i video (Babies) o il lato più gloom (I Spy, This Is Hardcore). La tastierista è ormai una signora e il resto del gruppo sembra capitato per caso dietro il grande entertainer che chiede il permesso di togliere giacca e cravatta. Nella sublimazione della poetica di Cocker mai troppo benevola nei confronti dei suoi personaggi, la proposta di matrimonio di un fan alla fidanzata fa sganasciare. E si balla e si urla e si ride but that's as far as the conversation went.


Jamie XX: si arriva su Ye Ye di Daphni e nelle quattro canzoni successive riesce a infilare senza un filo logico discomusic, techno e house old school come il peggiore dj generalista indie fa coi pezzi indie. Almeno il pubblico balla ma confermo la diffidenza verso il personaggio.

Battles: ci si sposta così all'ATP dove in una replica più fredda della scorsa volta i Battles catturano comunque il loro pubblico. I featuring del nuovo disco appaiono sincronizzati su schermi alle spalle del gruppo e mentre si torna al Pitchfork non ci si perde il singolo con Aguayo.

Lindstrom: inizia in anticipo rispetto al previsto e termina come al solito dopo un'oretta verso le cinque. Il suo live tocca tutti i momenti del suo sterminato minutaggio prodotto, con un battito mediamente più veloce che su disco e con una scelta dei pezzi inizialmente molto dritta (qualcuno cantato da Christabelle) che si libera solo verso metà sul lato più cosmico. Il finale è tutto in mano ai classici e all'Another Station che non è della metro.


Persi della giornata: Sufjan (non avendo vinto al sorteggio e avendo preferito alla fila la passeggiata in spiaggia e la seguente Yakuzi), Ariel Pink's Haunted Graffiti, Arto Lindsay, Low, Deerhunter (LLevant merda) ed Explosions In The Sky (che fanno il pienone al RayBan e cominciano con la canzone del merluzzo Findus).



30.5.11

Pillole di Primavera Sound 2011 - Giorno 1 (Evanescense)

p.s.: giudizi, lamentele, set fotografici completi arriveranno più avanti in altre forme. Per ora solo frammenti.

[ghost track iniziale del giorno 0]
Caribou: l'ora e più di fila per entrare al Poble Espanyol dove "uno esce, uno entra" è giustificata solo dal mirare cos'era il Primavera Sound quando è iniziato. Caribou su palco grande delude: carica la massa sonora per reggere la circostanza, ma smoscia l'esibizione dal punto di vista ritmico, perdendola in pezzi che non partono alternati a code stiracchiate. Il pubblico ballicchia, ma sei mesi fa nei club era stata un'altra cosa.

Moon Duo: il mio festival inizia con questa specie di Kills crauti al palco RayBan (giuro che durante il concerto mi sono cresciuti sugli occhi dei wayfarer che ho tentato in tutti i modi di sgrattare via). Fortunatamente fanno Mazes subito, per il resto non sono altro che una figurante con il chitarrista barbuto che fa due o tre cose fighe in mezzo ad altre trascurabili su una base in playback.


Seefeel: al palco ATP dopo un inizio droneggiante, trasognato (per i vocalizzi sparsi della "cantante") e punteggiato da qualche divagazione ritmico-industriale, i Seefeel scadono nel basso wahwah-dubsteppo fino ad arrivare ad una chiusa dub su cui divertirsi a cantare i grandi classici. Esili e confusi non si risollevano dall'ultimo disco.


P.I.L.: venti minuti di passaggio al malefico e lontanissimo palco grande2 LLevant bastano per urlare Slow Motion Slow Motion e Una canzone d'amore, per farmi ricordare. Il live è carico e con resa sonora millimetrica ma con i pezzi che vengono stiracchiati in code insostenibili. Come quando stai a parlare coi parenti anziani (Johnny in questo caso), che raccontano una storia anche fica ma si perdono in mille dettagli e non arrivano alla fine.


Oneohtrix Point Never: dato il fittissimo programma si cena all'ATP davanti alle bordate di strati prima senza compromessi e poi via via infiltrate di desideri melodici. Nessuna concessione allo spettacolo, concentrazione davanti al laptop, visual alle spalle, un timido saluto quando abbassa lo schermo per andare via. Forse non è stato il luogo più adatto e la sensazione che rimane è quella della dispersione.


Grinderman: al palco grande1 San Miguel baraccone da cui scappare (The Walkmen comunque riescono a riempire il Pitchfork in contemporanea). Standby.

Suicide: baraccone di anziani anche qui, ma sublime nella sua merda. Alan Vega biascica gocce di kukident e Martin Rev luccicante come al solito suona la tastiera coi pugni e coi gomiti. È il mio concerto di Vasco Rossi, vederli è scemo come suicidarsi. Spaccano timpani a caso e sono fastidiosi ora che quel disco del 1977 non è più fastidioso e viene campionato dalle starlette electro-world. Un concerto che non si riesce a reggere fisicamente e così inframezziamo con una pausa dopo Mon Cheree Cheree per soppravvivere. Si torna per la fine, come hanno fatto loro con noi.


The Flaming Lips: non c'è traccia della collaborazione con Prefuse 73 comunicata in parallelo al festival. Non rifanno per intero The Soft Bulletin così come si era ventilato sul forum del Primavera. È, più o meno, lo stesso live degli ultimi anni co' la palla, i lustrini, i palloni, i video con le donnine lisergiche, le manone, i megafoni, le chitarre con le bolle. Cambiano i ballerini di fila che in questo caso consistono nella rivisitazione panzanella del mago di Oz: ciotte Dorothy coi leoni rattusi che le ghermiscono con la coda. Per chi come me va al circo la prima volta, è tutto bellissimo e non mi distrae dai suoni stupendi e dall'essere sommerso da quel misto di zucchero distorto. Per gli altri, abituati ed insensibili, Wayne non è che un leone spelacchiato (stola di cane simbolica) che deve tornare a ruggire invece di fomentare per compensare il deficit di accudimento. (Però ammetto che girellare per il forum con la macchinina del golfista tra un palco e l'altro e fermarsi ogni cinque metri per l'applauso e la foto avvalora la tesi).


John Talabot: il finale è la prima puntata al palco Pitchfork, totalmente popolato da gente coi capelli neri (i biondi si cuccano Girl Talk al LLevant). La dimessissima promessa barceloneta rimane a testa china sulla valiga dei dischi e si rifugia saltuariamente dietro le quinte. Il set ha il caratteristico ondeggiamento delle sue produzioni e raggiunge il suo primo picco col private mix di Changed. Poi da lì è discesa con quello che sembra un suo edit di The Bells (ma sarà altro), una versione rallentata di "Get Get Down" di Paul Johnson e quello che sembra essere un suo rilavorio inedito di Caribou (ma sarà altro). Poi inspiegabilmente alle cinque dopo tre quarti d'ora termina in modo brusco e il palco chiude, inaugurando l'impero del Male notturno del LLevant e la fine festival senza metropolitana per il ritorno.


Persi della giornata: Of Montreal, El Guincho, Big Boi, Glenn Branca, Salem, Glasser, Gold Panda, Ducktails.



23.5.11

Non è tutto Oro quel che fa Primavera

Gli ultimi preparativi in vista della partenza per Barcelona e il Primavera Sound sono in corso (pochi dubbi sulle cose che sentirò). Quasi come un antipasto, il weekend torinese ha proposto una due giorni a base di Gold Panda e Gonjasufi, utile per ridurre il numero delle sovrapposizioni (nel caso di Gold Panda con i coriandoli, i tric trac e le sorprese dei Flaming Lips e nel caso di Gonjasufi con l'esibizione di Gonjasufi).

Partiamo appunto da Gonjasufi. Avevo letto in giro qualche recensione basita delle più recenti esibizioni dello sciamanoinsegnantediyogasufistaetcetc e allora ho tenuto d'occhio i giudizi sulla data bolognese di venerdì. Dato che è sembrata a tutti una roba indegna (hardcore fracassone suonato male) e che non c'entrava niente col disco, ho lasciato perdere e risparmiato soldi ed energie. Pare poi che anche qui abbia replicato con lo spettacolino sfollagente.

Il giorno prima in uno Spazio 211 ormai pronto per i concerti all'aperto (la caldazza) Gold Panda chiudeva la stagione di Loser. Laptop, controller, manopole, un pedale per droni, un telone di cerata alle spalle su cui proiettare qualche visual liquido nientediche, collanazza, maglietta da biker e il cappuccio tirato su a tener fermo il riporto. Gold Panda inizia droneggiante e montando su i beat sul momento, poi tira dritto ed è un piacere. Ogni tanto svirgola col beat repeat, spezza con inserti random e quasi sempre torna a droneggiare sul finale. Lo fa quasi in ogni pezzo, tanto che nonostante i suoni ottimi e il tiro quando ingrana, il tutto sembra non risolto e prevedibile. Molto meglio appunto quando strati e spezzate vengono integrate nel flusso che li nasconde (drone in mezzo al pezzo = figo, drone alla fine del pezzo = coda alla fine dei pezzi dei concerti dei Pooh). Sarebbe insomma meglio vederlo in un livedjset a un orario più tardo invece che in un concerto. Nota di curiosità: il pubblico oltre ai soliti frequentatori di concerti era equamente suddiviso tra indiemodaioli e frequentatori della Notte della Taranta di Melpignano. Ragazze vestite con palandrane, ragazzi coi tondi nei lobi delle orecchie, ballo che coglieva certe derive da pizzica di alcuni pezzi, pogo(!), mancavano solo le damigiane di vino fatto con la bustina. Non andavo a un concerto da un po' di tempo, devo essermi perso qualcosa, cos'è lo stile hippie-Coachella?

Purtroppo poi il sabato mi sono perso Tom Trago, che col Primavera non c'entra niente, ma bisogna risparmiare le energie.

Snow & Taxis (Glitterbug's Pink Snow by Gold Panda

10.5.11

7.5.11

Del non esserci

hey girls, hey boys, superstar djs, here we go

Ci sono tante ragioni per non esserci. Noia? Saturazione? Sazietà? Mancanza di stimoli? Poco tempo? Poca voglia? Paura che l'esserci sia peggio del non esserci?

(Parlo del blog o parlo di) Tra poco Ricardo Villalobos suonerà ai Murazzi. Torino è scossa dal dilemma etico se pagare o no 27/30 euro per essere uno dei Mille (ma davvero dentro il Jam ci si sta in mille?) che andrà a comporre il cachet da ventimila euro per le tre ore e mezza del suo dj set. Non è solo un interrogativo da città operaia / città dal braccino corto e non si tratta certo di speculazione da parte di chi organizza. Qui si riflette sul valore anche morale di una prestazione artistica, sul rischio che gli prenda male, sull'investire i soldi nel talento e nel suono che sarà. Il grosso problema è insomma che lo abbiamo già visto e/o forse è meglio vederlo rilassato a casa sua o nel suo tour da vecchia gloria che farà quando avrà cinquant'anni. O forse non vado solo perché oggi ho dovuto saltare lo sciopero generale perché sono stretto sui tempi delle mie attività lavorative e mi sento in colpa.