30.12.04

People Get Ready


Un due tre. Ecco cosa c’è. Cioè, no, non volevo dire questo. Tutti alle prese coi loro bilanci. Non ci saranno manovre correttive nel 2005, questi sono i migliori dieci dischi che non sentirai mai. Io quest’anno di bilanci non voglio sentire parlare. Anche perché io continuo a vivere nel sistema che prevede l’inizio dell’anno nella seconda settimana di Settembre. ‘74-‘75. Una vecchia abitudine nata con la scuola, ma che continua a regolare i miei cicli e ricicli. Pensaci, cosa cambia tra quello che stai facendo a Dicembre e quello che farai a Gennaio? Poco. Ad Agosto sai che invece tutto sta per cambiare, anche se hai le tue certezze, i libri del biennio/triennio, i vocabolari, i compagni di classe.
Che senso avrebbe, d’altra parte, giudicare il 2001, il 2002, il 2003 o il 2004 se gli eventi cruciali sono ancora più o meno a metà anno come nei campionati di tutte le discipline sportive? Ha senso ricordare le riflessioni isolate del campione di scacchi alla fine della carriera (anno 2001/2002), la transizione in sospensione del funambolico giocatore di pallacanestro (anno 2002/2003), le pedalate per l’Italia dell’instancabile ciclista (anno 2003/2004) o l’anno in cui il calciatore con la faccia da ragazzino è passato dalla primavera alla prima* squadra (anno 2004/2005). Se però voi siete dell’idea che stia per iniziare qualcosa, illusi, vi lascio con un augurio prima di prendere il primo treno per Roma e andare a festeggiare il centro esatto di quest’anno al centro del paese: che possiate avere tutto ciò che non vi aspettate dal 2005. Un due tre.

*voluto e non velato giuoco di parole

Una tastiera e uno stomaco


Oggi ti parlo di un disco brutto per cui provo piacere fisico, non mediato. Cose come questa mi hanno convinto tempo fa che non sarei stato buono a scrivere di musica sul serio. Per quanto romantico possa essere un ragazzo che apre un sacchetto e dice “ehi, queste sono le conchiglie che mi piacciono, sono anche tue”, quel ragazzo prima o poi si troverà davanti a un dilemma irrisolvibile: cosa dico loro? Che è una porcata o che l’ho sentito dieci volte oggi?

Degli M83 ti avevo detto già qualcosa quand’ero dall’altra parte: un incrocio ambivalente di modernariato tastieristico massimale e distorsioni/vocifiltrate/silenzi alla maniera dei beniamini che si guardavano le scarpe. Nel frattempo in Before The Dawn Heals Us sono diventati anche peggio. Spingendo sul pedale dell’epicità hanno accentuato tutti i loro lati possibili e accentuabili. Le tastiere sono diventate ancora più pompose. Il maggiore uso delle voci ha spinto il lato sentimentale dolciastro. E nei momenti più casinisti il casino che fanno per chitarre e synth è ancora più casino.

Cosa mi attira allora? Non certo il loro lato ambientale. Delle loro canzoni “non rumorose” amo soltanto Safe, perché per quanto risenta della melensaggine dell’astronomia decadente ha un bell’inizio e una bella fine, e la splendida Farewell/Goodbye. Farewell/Goodbye ha la bellezza (sotto anestesia però) delle più orribili canzoni d’amore degli anni Ottanta, quelle che erano rimaste appiccicate come chewing gum sotto ai banchi ed erano arrivate fino alle feste che frequentavano i miei coetanei alla fine del decennio in questione. Duetto maschile femminile, lui sconsolato, lei con una non voce aspirata che aumenta di volume via via che si separano. Vattene un po’, che pace più non avrò:
Il Tempo Delle Mele se fosse stato diretto dal Lynch di quegli anni.

Vado invece matto per il loro lato rumoroso. Don’t Save Us From The Flames, Fields, Shorelines and Hunters, la seconda parte di Car Chase Terror! (una canzone per capire che secondo me ci fanno) e soprattutto la sei senza titolo, Teen Angst (How fast we…) e A Guitar And A Heart (ah, quella cassaquattro). Ai limiti del peggiore rock da stadio in certi casi, cambiano di nuovo modo di usare le tastiere e dove non le impiegano per distorcere e saturare, si servono di loro in chiave melodica alla maniera semplicistica di certo pop sintetico ancora proveniente dagli anni Ottanta (o dalla Francia se preferisci). Ma tutti questi discorsi si perdono perché il bisogno che provo verso queste canzoni non è sul piano musicale quanto su quello delle dinamiche e delle potenze. Voglio alzare il volume dello stereo, degli altoparlanti del pc, delle cuffie e sentire la vibrazione della potenza che mi scuote. Dal vivo mi era capitata questa cosa solo un’altra volta, coi Mogwai. Ne avevo sentito di concerti rumorosi da infastidire i timpani, ma i Mogwai dal vivo ti prendono la cassa toracica ai lati e te la senti scuotere avanti e indietro e provi piacere. Con gli M83 rumorosi è un po’ così, una questione di pancia e di piedi. Ma non so perché ti sto dicendo questo.

29.12.04

Sorpresa del pomeriggio



Un motivo per fare meno straordinari al ritorno al lavoro.


18 Sekúndur Fyrir Sólarupprás



31.7 secondi dopo Waking Life

27.12.04

Until The Boat Floats On, Let It Float On


Non avevo dimenticato che casa propria può essere il posto più straniero di tutti. [L’amore non guasta - Jonathan Coe]
Goonies never say die! [The Goonies]

Canyglow, canyglow, canyglow don't say nugo. Le prostitute sulla baleniera in quarantena fanno sconti ai marinai quasi al verde. Attendono il segnale di via libera per scendere e non essere arrestate dalle guardie, ma una tempesta trascina la nave in alto mare. Gli indigeni che recuperano la baleniera le vendono come schiave. Ma è subito fuga, blues andante, dal Giappone all’Artide, danze d’amore di tamburelli inuit, fino all’arrivo a Terranova, l’undici giugno.

Stavo per scrivere del cartone animato di Natale. Un fratello e una sorella, due ragazzini che raccontano storie. Poi mi sono accorto che hanno fatto di più. Quando anch’io ero un ragazzino volevo un generatore di videogiochi. Io ci mettevo la storia e il Commodore 64 tirava fuori sprite a otto bit, sfondi e livelli. The Fiery Furnaces lo hanno costruito e hanno premuto shift+run/stop.

Cursing myself cause I got there too late. La Juventus (e l’Inter) in un internet café sperduto a Damasco. Corse a bordo di macchine scassate uscite da un garage rock, da una parte all’altra per vendere di più, noi Ericsson contro voi Nokia (e via di finnici giochi di parole). Telefonini lapidati per motivi religiosi. Licenziamento e ricerca in Georgia, poi a Baku, poi in teleconferenza verso Houston. Non serve a niente perché per un venditore la via retta non è quella da preferire tra due punti.

At dawn I had a scotch and made them switch off the porn cause there’s nothing that’s dirty about the ocean in the morn. I pirati esistono ancora. Il capitano Eleanor al suo primo carico di mirtilli attraversa lo stretto di Taiwan verso la vecchia Hong Kong e controlla sul radar le navi sospette. Cambio quadro. I pirati sono beat sintetico e aggressivo fino a quando ti si avvicinano, poi sono il silenzio. Entrano in una scena in bianco e nero, film muto e pianoforte in sottofondo, invisibili alla luce del sole. Lei urla fiera prima di annegare in fondo al mare. Potrete tagliare la gola al capitano, ma non avrete mai il suo carico.


Questo disco è un quasi concept. Tutto sembra sconnesso, non legato da un tempo, da un luogo, da persone. O forse è il contrario, il segreto per ricomporre il quadro sono gli scostamenti, le immagini fantastiche che ci inventiamo perché non viviamo più sulle navi.

She makes me wanna scream. Un’operetta assurda sulle gelosie adolescenziali da high-school girata da Wes Anderson. Il college-rock è il filo conduttore e quanto più il tema diventa banale, tanto più si succedono le invenzioni (il ragazzo di Jessica che si distrae mentre le parla al telefono e la immagina come un uccellino con tanto di onomatopee). In tutto questo Chris Michaels è solo il proprietario della carta di credito rubata.

The King of Spain don’t care. La canzone è il termine di un’altra storia (Quay Cur?), una fuga è andata male e la protagonista è legata a un albero di Paw Paw in attesa di essere giustiziata. Garage blues da dead woman waiting con tanto di tamburi indigeni in sottofondo.


Si potrebbe facilmente dire che Blueberry Boat è il solito mattone progressive. Blueberry Boat invece è regressive. Nel suo riavvolgere continuamente la storia della musica, sia in maniera ironica che in maniera amorevole, non rimane vittima della Sindrome dell’Ombelico del Gigante (dal nome dell’omonimo gruppo italiano progressive della Mellow). Eppoi la disco fa schifo al prog e le vendite del prog sono destinate a crollare nei primi del 2005, come dice Disco Stu.

My dog was lost but now he’s found. Il genio. Continua dalla precedente come se fossero legate e invece no. Ho maltrattato il mio cane e lui se n’è andato come nel più classico dei classici del litigio domestico matrimoniale. Lei ha chiesto ai gatti della lavanderia, in palestra, al supermercato ma nessuno l’ha più visto. Pianoforte e chitarra la conducono in chiesa dove il cane sta recitando un sermone. Il cane aveva infatti visto la luce, in un rovesciamento acrobatico degli stereotipi del country-blues.

Came a card marked Mason City from my forwarder. Una storia di eredità (?) viene raccontata attraverso gli anni sessanta flower-power.

I wanted to be a typewriter mender. In tre atti la storia di un fallimento, la sconnessa storia del capo ispettore biancofiore. Un bambino da grande vuole fare il riparatore di macchine per scrivere ma non lo diventerà mai. Il suo disordine da mancanza d’attenzione glielo impedirà. L’iperattività selettiva è la forma della canzone. Il primo atto è un Kid-A autistico ora-sto-giocando-nella-mia-piccola-casetta. E allora è entrato in polizia. Stacco assurdo, secondo atto. In un sogno disco-bambino si immagina detective nell’Inghilterra rurale del secolo scorso, l’Inghilterra dei fattori, del thè e delle drum-machine. Il terzo atto si lega rallentando la musica, con un carrello laterale sul protagonista che corre in moto verso Springfield col fratello Michael. Dopo una bevuta scopre che Michael frequenta la sua ex, Jenny. Decide di rivederla e le dice che secondo lui vuole solo prendersi una vendetta nei suoi confronti. Poi torna a Springfield sulla macchina della moglie per ubriacarsi a un bar. Il patetico finale viene reso con un patetico assolo da un minuto e mezzo (la pateticità è nell’occhio di chi guarda, no?). Stupentemente stupendo.


Il disordine da mancanza di attenzione è il regista. Ora che il tasto FFWD non esiste più per conto suo devi tenere premuto SKIP. Ma se per sbaglio lo lasci andare troppo velocemente passi alla traccia successiva. Questo è il disco del tasto SKIP. Che tu lo prema o no il risultato sarà lo stesso.

The pain, the pain, in Spain falls mainly on me. Per immagini una ragazza americana “volontaria della ricerca” racconta il disagio della vita in Spagna, rinchiusa in una nave dal suo rapitore, costretta dalla bigotteria e alimentata con pillole che le bloccano la crescita. Il suo unico rifugio è la sua chitarra con cui storpia triste My Fair Lady.

So I ask Dad, Why can’t we ever win, ever win, once? Marinai bambini ubriachi di bit e sherry raccontano le loro sconfitte davanti al fuoco prima di andare a dormire. È il 1917.


Avanti il prossimo: tu dici che le forme strutturali sono prese dagli Who perché uno dei due Furnaces li venera, tu sottolinei il debito alle solide architetture prog nonostante le strutture vogliano rappresentare la fragilità del disordine, tu dici Beatles, tu dici Rolling Stones. E tu, giovine, vieni qui e mi dici che ti sembra che i Flaming Lips abbiano raccontato alla maniera frammentosa dei Liars le storie dei Decemberists con un pizzico di Heather Parisi. Non vi accorgete che siete contraddittori? (e dopotutto la contraddizione è il sale della vita).

I hate the livery cars that have my bird brain seeing stars, That drive my Doberman to drink in bars. Odio i treni, gli aerei e le auto perché fanno impazzire col loro rumore me e i miei cani. Ma non le navi. E non abbiamo dovuto nemmeno aspettare un duetto Bjork-Flaming Lips per scoprirlo!

Catamaran Man you’re my cousin you’re my blood you’re ten feet tall. Il marinaio sulla terraferma non può che sognare il mare in un breve intermezzo verso la fine. Il suono è un basso dub.


Alcune di queste canzoni sono come matrioske rotte. Cerchi di aprirle e sembrano incastrate, ma poi all’improvviso la più grande si svita e ne vengono fuori due e una è di cristallo, si rompe e fa un rumore che non sentirai più per tutto il disco.

Prendi la tua trombetta, la tua trombetta di plastica. Prendi il tuo tamburello, il tuo tamburello FisherPrice. Prendi la tua pianola, la tua pianola Samsung Bontempi.
Turn off your radio
shut away your stereo
put away your discman
and play me a tune today


Madame Professor says Well done.
But an electric stroboscopic frequency meter’d say otherwise.

[The Fiery Furnaces]

Credits:
Max-IBDD: perché questo disco aveva avuto una sola possibilità, distratta, su un pullman da Palermo a Bari ed era stato bollato come cervellotico. Diamo sempre più spesso un’unica possibilità ai dischi (ma anche ai film, ai libri, alle persone). A volte nemmeno quella. E invece certi dischi hanno bisogno di attenzione per poi sentirli piacevolmente disattenti.
Clap Clap: perché gran parte di questo post è fatto delle sue riflessioni e intuizioni e del suo enorme lavoro sulle strutture del disco, mai slegato dalle storie raccontate o da come sono state raccontate. La mappa del tesoro è opera sua.
Empty’s Room: per l’immagine delle matrioske rotte, che è sua.

23.12.04

Smiling (a)way home


Another Christmas Day. Metto su un lento e, ciao, a tra un po’.

Le mie cose hanno i nomi /2


La mia azienda mi vuole bene. Mi ha regalato un portatile leggero e cromato. Scriverò grazie a lui in futuro in maniera diversa, ancora una volta, perché la tastiera sembra meno resistente. Scriverò in viaggio perché la batteriaricaricabile è nuova e non è vittima della sua memoria. La mia azienda mi vuole bene e mi ha regalato un portatile con molta meno memoria di quanto mi serviva. Sanno che lavoro contro la memoria e che cerco di essere meno bravo quando gioco. Avevo deciso di chiamarlo Oblio, ma lui mi aiuta solo nel breve termine e per questo lo chiamerò Memento.

La mia azienda non mi vuole bene. Non sa nemmeno che non mi piacciono i canditi.

21.12.04

Più Scene per tutti


Sono onorato di aver ricevuto l'incarico di Ministro per gli Affari Regionali nel nuovo governo ombra. Sento insieme l'orgoglio e la responsabilità per un dicastero cruciale in giorni che cambieranno il nostro Stato. Nel mio saluto ai cittadini ho anche comunicato l'intenzione di adeguare il nome del dicastero in "Ministero delle Scene", secondo quanto proposto dall'ultima revisione della proposta di legge sul federalismo.
In fede Maxenricolaloggiacar



Candid Camera-shy


Mi ero accorto delle telecamere nascoste. Ma non sospettavo minimamente che la candid camera in cui sono capitato fosse girata da Lars Von Trier.
Lars, avanti, vieni fuori e autografami le videocassette de Il Regno.

(E lo sappiamo che questo è l’anno delle cover e potremmo fare liste dei dieci migliori dischi dell’anno scegliendo soltanto dischi di XsingsY, ma chi lo immaginava che su un auto posso montare una cover del treno posteriore.
E chi lo immaginava che dentro un auto c’è un treno.
I’ll go through all this.)

20.12.04

L’ironia della puntualità


E chi lo sapeva che illo tempore ero finito sull’Avvenire.

Rome Calling


Vuoi evitare di passare l’ultimo dell’anno al cenone del circo Medrano tanto sai che la contorsionista ha già una storia con l’arrotino del lanciatore di coltelli? Vuoi fuggire dal capodanno cortinese perché hai litigato con Marta Marzotto per colpa dei Franz Ferdinand? Vuoi disertare la festa in piazza a Valguarnera Caropepe perché ogni anno ti sporcano i vestiti con spumanti puzzoni? Roma è il posto per te, anche se ancora non sappiamo cosa fare. Rimboccati anche tu le mani e punta l’indice verso lei (so che mi pentirò di ciò (faccine sorridenti)). Per quanto mi riguarda ci sarò, anche se ancora non ho deciso se ripartire alle sette di mattina o alle undici.

Shocking my town




Mi unisco ai cialtroni che lavorano di *shop e vi risparmio l’altra coi Pixies.
E anch'io chiedo perdono a Fio.

17.12.04

Awards for russian polar bears


Una nuova fine


I testacoda capitano quando si è ubriachi, ma non lo ero.
I testacoda capitano quando si va troppo veloce, ma andavo piano.
I testacoda capitano quando piove forte, ma l’asfalto era appena umido, al massimo salmastro.
I testacoda capitano nella serata di sabato quando i meccanici sono tutti chiusi, ma questo ha scelto con ironia un giovedì notte prima di un giorno pieno di lavoro.
I testacoda spezzano i braccetti delle sospensioni, ma questo li ha soltanto piegati, quanto basta per non poter tornare a casa da solo.
I testacoda ti fanno male, ma io non mi sono fatto niente.
I testacoda ti fanno incazzare, ma io ero calmo, catatonico.
Testacoda come questi ti fanno pensare qualcosa, ed è quel qualcosa che non va.
Buon venerdì 17, per chi ci crede.

15.12.04

14.12.04

All That I Came For


Di come io, delio ed (E)Lisa prendemmo una macchina e andammo. Di come quei due giorni furono di musica, facce, parole e sapori. Di come quei momenti furono così diversi dalla prima volta a Bologna: quelle che insieme ai Radio Dept. furono esplosioni spezzate, intense e veloci, in quei giorni consacrati ai Delgados furono crescendo inaspettati, che si rincorrevano senza il desiderio di essere storici. Pronti? Get Action!


Everybody come down


Il concerto al Covo è stato aperto dai Micecars. Quando siamo arrivati ho incrociato Emiliano, che mi ha presentato il mio omonimo Massimiliano. Tutti e due sentivano la tensione di una prova importante, quella che quando ce l’hai cominci a guardare in tutte le direzioni mentre parli. Subito dopo sul palco i Micecars mi sono sembrati buoni, ben bilanciati tra pop energetico e rock fratturato. Su disco probabilmente guadagneranno anche in particolari sonori che già si intravedevano dal vivo. (Senti: Hulk Hogan (Torch Song))

I Delgados attaccano come in Universal Audio. Dal loro aspetto sembra che non si rendano conto della potenza che hanno a disposizione. Mai scomposti, anche nell’alternarsi,
Alun


ed
Emma


producono il consueto miscuglio di melodia porcellanata e ruvidezze che tanto me li fa amare. Emma tiene gli occhi sempre chiusi o semichiusi, ma si concede un’aria più rilassata per Everybody Come Down. Il set è incentrato sull’ultimo disco, anche se non mancano una buona metà di Hate e diversi classici da Peloton e The Great Eastern. I pezzi sono suonati in maniera uniforme secondo lo stile di Universal Audio, anche se qualche aggiunta campionata è garantita alle canzoni di Hate. Coming In From The Cold viene svolta in una versione acustica che non la priva di bellezza e punta molto sulla presenza scenica di Emma, più che sulle dinamiche Flaminglipsose di Dave Friedman. L’assenza di intermezzi parlati ha reso il concerto molto denso e la scelta delle alternanze ha rispecchiato i bilanciamenti tra elementi diversi presenti nella storia del gruppo. Acqua e zucchero, ne volevo ancora di più. (Senti: Coming In From The Cold (Live))

I livelli della conoscenza


La prima volta che incontro un blogger sono per lo più convenenoli, a volte complimenti, spesso silenzi imbarazzati.
La seconda volta che incontro un blogger è sempre di sfuggita, ma prima o poi ci si rivede.
La terza volta che incontro un blogger sono lunghe chiacchierate in cui non so mai cosa dire finché non lo dico.
La quarta volta che incontro un blogger sono pettegolezzi e gossip.
La quinta volta che incontro un blogger si va al cinema.
La sesta volta che incontro un blogger si spiega a un nostro/a/suo/a amico/a cos’è un blog senza nominarlo dopo la fatidica domanda “Ma voi due come vi siete conosciuti?”.
La settima volta che incontro un blogger si forma una coppia comica che se ci fosse ancora Premiatissima avremmo un posto assicurato.
L’ottava volta che incontro un blogger ci si dà all’alcool.
La nona volta che incontro un blogger non succede nulla di preciso.
La decima volta che incontro un blogger si parla della prima volta che ho incontrato un blogger.
C’est la cristallisation, anche se non comme dit Stendhal.


The Past That Suits You Best


Avevamo da poco stigmatizzato il triste fenomeno dei punkabbestia. Dopo lunghe discussioni, intricate da parentesi bibliche e analisi dei testi dei Ricchi e Poveri (la logica stringente di Se c’è confusione, sarà perché ti amo. Ma se l’amore non c’è, basta una sola canzone, per far confusione), dopo tutto ciò si era pervenuti a dare il valore di indie-humus alla Nouvelle Vague. Giacchèsicera si era parlato bene anche dell’omonimo disco. A questo punto ci rendevamo conto tra una crescentina e l’altra di come in misure diverse gli autori del movimento avevano posto le basi su cui si sarebbero mosse le nostre riflessioni, argute e unte di squaqquerone.

[Stacco brusco di montaggio]

Ragazzi e ragazze vestiti con tute antiradiazioni distribuiscono patetici volantini del nuovo disco degli U2 su marciapiedi trafficati, lo danno anche a noi. Siamo vicini a un megastore e, toh, io e delio cogliamo l’occasione per presentarci e salutare lei. Ma ci accorgiamo che è impegnatissima e non vogliamo disturbarla e allora, pervasi di improvvisa e leggera nuov’onda, trasformiamo la scena in bianco e nero. Ci fingiamo boicottatori di How To Dismantle An Atomic Bomb e ci pariamo davanti a un ripiano pieno di versioni limitate per scrivere sul volantino un saluto. Poi passiamo veloci e lasciamo il biglietto vicino alla cassa e ci allontaniamo, guardandola. Lei non lo legge, nota forse i nomi alla fine. Solleva gli occhi e ci sorride. Noi scappiamo. Totò, Peppino e la nouvelle vague.

Qui apparirà un post che ancora non ho scritto

Svizzera


I Delgados il giorno dopo erano in Svizzera. Gli Young Gods sono un gruppo svizzero. Il gruppo spagnolo in realtà è svizzero, come dice Camillo. E poi, Audrey, che si pronuncia Odrè. Audrey è di Ginevra e ti ricordavo proprio così. Audrey è da qualche mese a Bologna e studia Scienze dell’Educazione. Audrey alle tre e mezza è inseguita da qualcuno e allora si unisce a noi e fa finta di conoscerci. La accompagnamo lungo Via Sant’Isaia, in direzione opposta alla nostra per qualche metro, perché siamo dei supereroi, We can disappear, we can reappear. Audrey ride random. È già stata in Puglia (delio, gesto dell’ombrello, tiè), non è mai stata a Palermo, le piacerebbe. Io la saluto, delio le regala un sacchetto profumato. Audrey, l’ossessione del risveglio di domenica mattina.

Reasons for silence


Una bella discussione sulla bella sensazione di stare in silenzio insieme.

Russian orthodox/It feels like spying


Come già ho spiegato, scherzavo sulla storia dell’agente segreto.

Coming In From The Cold


Quest’anno non farò il nastrone di Natale per le colleghe di lavoro.

Blogtitolidicoda


Grazie e saluti a:
Ilblogdelladomenica: senza l’ospitalità di Massimo, che non sarà mai abbastanza ringraziata, non so se saremmo stati qui a raccontare da vivi queste cose. Chapeau!
Inkiostro, detto l’insegnante gossiparo.
Polaroid, anche se Enzo mi ha accusato di trattare con freddezza Jens Lekman e anche se La Laura sta per andare nel continente del 2005.
Lucio, che dove ci sono blogger, lui c’è.
Bea, che ha ballato tutto il tempo nelle nostre vicinanze e poi quando se ne stava andando Fabrizio mi ha detto che c’era anche lei e allora all’urlo di Beatroce! io e delio ci siamo fiondati per presentarci e salutare.
Gomitolo, il blogger con la chitarra in mano sul palco.
Shoegazer, che ha citato Il Principe Cerca Moglie.
Giulia Blasi, scatenata sulla pista e zoppicante il giorno dopo causa urto piede-arredamento.
Indiechi e i suoi propositi verso Emma Pollock.
Elis, che sperò riprenderà presto.
Nin-com-pop, in prima fila come promesso.
Blue Blanket, con cui abbiamo parlato di Decemberists.
Il Grande Freddo, che mi ha aiutato a ritrovare Elisa.
La Fagotta, che sono quasi sicuro di aver conosciuto ai Radio Dept. e che era incasinata alla cassa con una fila interminabile e nonostante tutto ha trovato il tempo di sorriderci.
A Day In The Life, che ci ha introdotto alle meraviglie di Beppe Maniglia.
Enver, che ringrazio per la “compila” e che vorrei presto sentire mettere i dischi (molto più che EnzoP, eh).
Pulsatilla, Livefast/Sviluppina e delio e le loro sigarette di droga che io non fumo in quanto matusa.
Tutti quelli che mancavano (gnegnegnè, pensate a quando mi sono perso Decemberists e Broken Social Scene).
Me, in quanto narciso autoreferenziale.

9.12.04

The Light Before We Land 3000


Ci si vede domani a Bologna? Ho scoperto poco fa che posso. Il mio capo mi stava precettando per una trasferta a Toronto (o Taranto, non ricordo), ma ho fatto la voce grossa. Io, mister iba e la cara amica Elisa. Io e delio poi saremmo disponibili nel dopo-serata per un simpatico spettacolino che prevederà imitazioni del cane Spank, il numero di M&D, le scimmiette acrobate, e udite udite un indieblog award per il/la mecenate. Salvate anche voi M&D dalle intemperie notturne!

Update: ma forse questo non ti basta? E allora si parte con le specialità etniche che i nostri offriranno al/la fortunato/a. Per esempio quest'esclusiva cassetta di frutta di martorana del mese scorso. Certo, è stata comprata al supermercato e non ci ha convinto il suo sapore, ma la potrai sempre utilizzare come uno sciccosissimo oggetto di arredamento indiepop, almeno fino a quando le formiche non se ne accorgeranno. Fashion, ma non victim.

Bonus track /1: Il suono della città


Il primo contatto musicale con SP è stato nel minimarket sotto casa, mentre cerco qualcosa per la colazione del giorno dopo il primo giorno. Io so come si dice latte in russo, il mio collega per ovvi motivi no e si stupisce della mia conoscenza. Mentre disquisisco di pareti, latte più e ragazzotte chiamate Roisin, i diffusori audio ripescano Tarzan Boy. Deve andare molto in Russia perché anche nel primo ristorante dove proviamo invano a cenare ci accoglie la stessa canzone. Nel secondo ristorante, Kalinka, la cameriera parla italiano e si preoccupa della quantità di grasso presente nel piatto da me richiesto. Lì pervengo alla conclusione che il mainstream russo è dominato da due categorie: house con vocetta femminile e cantante maschio piagnone.
Sbirciando le reazioni delle persone alle sonorizzazioni di negozi, caffè e strade, ho notato che le ragazze prediligono la maledetta e fastidiosa anzichenò figura del cantante maschio piagnone. Non so se dipenda dalla ruvidezza predominante nella loro società, ma i muri sono tappezzati di poster di cantanti noti solo per il loro nome, una sorta di invasione di cloni di Christian, l'indimenticato usignolo di Boccadifalco.
La musica italiana è un punto fermo, in ogni senso, come diceva l'amaro cantore. Paul McCartney avrà riempito piazze e teatri qui in Russia, ma non raggiunge i livelli di ammirazione che sono riservati a Ricchi E Poveri, Toto Cutugno e Al Bano, dei quali trovate divertentissimi bootleg nei negozietti dei sottopassaggi del centro. La traduzione stilisticamente rispettosa in russo di Parole, parole sentita nel negozio di souvenir mi aveva bendisposto, ma all'uscita la Nevskij Prospekt era allietata dal chioschetto dei cd che sparava a tutto volume uno degli ultimi Celentano. Celentano in Russia è una sorta di divinità della musica e della commedia. Ma non tutti sono rimasti ancorati a San Remo, tanto che una ragazza in un programma televisivo, durante un servizio su una qualche discoteca, indossava una maglietta con la scritta cubitale "Tu sei bellissima", dovuta probabilmente al tormentone di Neffa.
Come si sarà capito da quanto detto sugli italiani, vi sarete accorti che se siete degli one-hit-wonder o degli scarponi caduti in disuso, il posto per voi è la Russia. A tal proposito in televisione ho visto il video del nuovo singolo dei London Beat, che nel frattempo si sono dotati di capigliature bizzarre e di immagini esplicite. I russi amano poi tantissimo i Rammstein, a San Pietroburgo il primo venerdì del mio soggiorno (delio, davvero). Il St. Petersburg Times ha anche cercato di imbastire una polemica tra Rammstein e Blixa Bargeld: Bargeld nel febbraio scorso(!) aveva dichiarato a SP che i Rammstein sfruttano e assecondano gli stereotipi americani sui tedeschi. Leggendo lo stesso giornale ho scoperto che i Pram stavano suonando da un quarto d'ora al Red Club, dall'altra parte della città.
Per una descrizione delle band del momento e dei posti dove sentire e ballare musica (il sottobosco vivacchia anche lì tra Dascha, Fish Fabrique, Moloko e Red Club) vi rimando al prossimo episodio tra circa due mesi, quando mi avventurerò da solo per SP in barba alla casalinghitudine del collega.

6.12.04

Non-post: Aeroporto


È evidente che deve esserci un legame spirituale – una sacra alleanza, una solenne comunione d’idee – tra aeroporti e romanzi spazzatura. Richard, almeno, si era fatto quest’idea.
I romanzi spazzatura si vendono negli aeroporti. I frequentatori di aeroporti comprano e leggono romanzi spazzatura. I romanzi spazzatura parlano di gente negli aeroporti, un po’ perché i romanzi spazzatura si servono degli aeroporti per spedire i loro personaggi a zonzo per il pianeta, e un po’ perché gli aeroporti fanno da sfondo, nei romanzi spazzatura, ai loro distacchi, incontri casuali, convegni e appuntamenti.
Certi romanzi spazzatura parlano solo di aeroporti. Certi romanzi spazzatura sono addirittura intitolati Aeroporto o qualcosa del genere. Perché, allora, potreste chiedervi, non esiste un aeroporto chiamato Romanzo Spazzatura? I film tratti da romanzi spazzatura, naturalmente, fanno grande affidamento sull’ambientazione negli aeroporti. Perché allora negli aeroporti non ti capita mai di assistere alla trasformazione di romanzi spazzatura in film? Forse esiste davvero un intero aeroporto, chiamato Aeroporto del Romanzo Spazzatura, o magari con un nome più stiloso, come Manderley International Junk Novel Airport, dove li girano tutti. Non sarebbe un aeroporto vero ma un modello in grandezza naturale in chissà quale cinecittà, tutto bidimensionale e fatto di plastica, carta stagnola e altro pattume.
I personaggi dei romanzi spazzatura, invece, non leggono romanzi spazzatura nemmeno quando sono all’aeroporto. Differenziandosi in questo da tutti gli altri frequentatori di aeroporti. Leggono testamenti e pubblicazioni di matrimonio. Talvolta, se sono intellettuali, o raffinati intenditori, o grandi ingegni, viene loro consentito di leggere romanzi non-spazzatura. Anche se nella realtà i lettori di romanzi non-spazzatura, persino gli scrittori di romanzi non-spazzatura, quando (e solo quando) si trovano in un aeroporto, leggono romanzi spazzatura.
I romanzi spazzatura esistono almeno da quando esistono i romanzi non-spazzatura. Gli aeroporti, invece, non esistono da molto tempo. Però gli uni e gli altri hanno spiccato il volo contemporaneamente. I lettori di romanzi spazzatura e i frequentatori di aeroporti vogliono la stessa cosa: evasione, e rapido trasferimento da un romanzo spazzatura all’altro, da un aeroporto all’altro.

Qualunque cosa siano, comunque funzionino, i romanzi spazzatura sono affini alla psicoterapia; anche gli aeroporti sono affini alla psicoterapia. Gli uni e gli altri appartengono alla cultura della sala d’aspetto. Musica via cavo, linguaggio tranquillizzante e suadente. Da questa parte – sì, l’assistente di volo si occuperà subito di lei. Aeroporti, romanzi spazzatura: ti strappano la mente dalla paura della morte.

(Parole di Martin Amis, da L’informazione.

Per l’episodio ambientato all’aeroporto Pulkovo 2,
Io e la bionda del duty free shop, separati da un vetro trasparente:
musica di Adriano Celentano, Susanna.

Per l’episodio ambientato all’aeroporto Pulkovo 2,
Bagagli pericolosi:
musica di The Flaming Lips, Zaireeka – Stereo Mixdown.

Per l’episodio ambientato all’aeroporto di Malpensa,
Fissando i gradini della scala mobile dalla sala d’aspetto:
musica di The Olivia Tremor Control, Dusk At Cubist Castle.

Per l’episodio ambientato all’aeroporto di Palese,
Il Ritorno:
musica di The Go! Team, Everyone’s a VIP to someone.)

2.12.04

Let's get lost


Ipnotizzato. Per quanto possano avermi colpito i vari Picasso, Cezanne, Matisse, Renoir e via dicendo, all'Hermitage vengo accalappiato da un accademico francese e da due sue donne. Resto per minuti interi imbambolato davanti a due quadri di Delaroche che non hanno rivoluzionato, che non hanno detto 'ehi, io sono il quadro che cambierà la storia', due quadri che poteva avere tua zia a casa, quella zia che quando da piccolo la salutavi, odorava di cipolla e ti regalava caramelle alla cannella a forma di corallo azzurro.

Henrietta è un bel nome. Henrietta è il nome di Henrietta Sontag e nel suo ritratto mi attraggono i particolari contrastanti del viso. Gli angoli della bocca accennano un sorriso mentre il labbro inferiore è proteso in avanti come quello che sta per scoppiare in un pianto a dirotto. Le palpebre sembrano serene, ma gli occhi sono opachi di lacrime. Il suo viso è passato, gli occhi enormi.



La giovane martire riposa nel lago di Tiberiade. Il quadro mette da parte il sacro, l'aureola è un cerchio per capelli che galleggia vicino al corpo. Niente violenza, niente santità, solo tranquillità e i resti di una sensualità che galleggia sulla superficie dell'acqua, nei suoi capelli rossi sciolti e ancora ricci. Le sto davanti per minuti, mi ispira le canzoni dell'ultimo Elliot Smith e la fine della bellezza. Lei diceva «Per favore, rimani», io le rispondevo «E tu non andare giù, stai con me». I rumori del lago erano in sottofondo a Twilight, mentre mi allontanavo, senza distogliere lo sguardo.



Ultimo minuto


Girando per l’istituto, curioso miscuglio tra la grandezza sovietica in decadenza e il laboratorio-cantina in cui mio zio prepara soprammobili di sughero, mi colpisce un orologio. Ci si attacca a tutto pur di evitare che i silenzi con queste persone superino la durata di dieci minuti e allora dico al referente che forse l'orologio del mio computer è avanti. Lui risponde che quell’orologio è fermo. «Perestrojka», dice. E io penso, che forza. Quando Gorbaciov si è grattato la testa, ha chiamato la Pravda e il primo canale della tivvù di stato e ha detto facendo spallucce «Perestrojka», quella volta hanno tolto le batterie a tutti gli orologi degli uffici di stato. Per ricordare come in un secondo cerchi di cancellare i difetti di decenni.

Continuando a camminare incrociamo un secondo orologio e l'orario in cui si è fermato è diverso. Con l'arrivo della Perestrojka, mi ha spiegato il referente, furono necessari dei tagli. L'ente che si occupava di controllare gli orologi nelle strutture pubbliche e militari fu tagliato. Da allora gli orologi furono lasciati a loro stessi e alla loro corsa verso l'ultimo ora-minuto-secondo. Fino a quando la carica delle batterie concedeva loro vita. Gli impiegati scommettevano sulle lancette e loro per ripicca se ne andavano di notte in modo da annullare le puntate. Alcuni tondi inceppavano i loro ingranaggi con un gesto invano epico. La loro lancetta dei secondi prima o poi smise di andare avanti e indietro tra un secondo e l'altro.