Until The Boat Floats On, Let It Float On
Non avevo dimenticato che casa propria può essere il posto più straniero di tutti. [L’amore non guasta - Jonathan Coe]
Goonies never say die! [The Goonies]
Canyglow, canyglow, canyglow don't say nugo. Le prostitute sulla baleniera in quarantena fanno sconti ai marinai quasi al verde. Attendono il segnale di via libera per scendere e non essere arrestate dalle guardie, ma una tempesta trascina la nave in alto mare. Gli indigeni che recuperano la baleniera le vendono come schiave. Ma è subito fuga, blues andante, dal Giappone all’Artide, danze d’amore di tamburelli inuit, fino all’arrivo a Terranova, l’undici giugno.
Stavo per scrivere del cartone animato di Natale. Un fratello e una sorella, due ragazzini che raccontano storie. Poi mi sono accorto che hanno fatto di più. Quando anch’io ero un ragazzino volevo un generatore di videogiochi. Io ci mettevo la storia e il Commodore 64 tirava fuori sprite a otto bit, sfondi e livelli. The Fiery Furnaces lo hanno costruito e hanno premuto shift+run/stop.
Cursing myself cause I got there too late. La Juventus (e l’Inter) in un internet café sperduto a Damasco. Corse a bordo di macchine scassate uscite da un garage rock, da una parte all’altra per vendere di più, noi Ericsson contro voi Nokia (e via di finnici giochi di parole). Telefonini lapidati per motivi religiosi. Licenziamento e ricerca in Georgia, poi a Baku, poi in teleconferenza verso Houston. Non serve a niente perché per un venditore la via retta non è quella da preferire tra due punti.
At dawn I had a scotch and made them switch off the porn cause there’s nothing that’s dirty about the ocean in the morn. I pirati esistono ancora. Il capitano Eleanor al suo primo carico di mirtilli attraversa lo stretto di Taiwan verso la vecchia Hong Kong e controlla sul radar le navi sospette. Cambio quadro. I pirati sono beat sintetico e aggressivo fino a quando ti si avvicinano, poi sono il silenzio. Entrano in una scena in bianco e nero, film muto e pianoforte in sottofondo, invisibili alla luce del sole. Lei urla fiera prima di annegare in fondo al mare. Potrete tagliare la gola al capitano, ma non avrete mai il suo carico.
Questo disco è un quasi concept. Tutto sembra sconnesso, non legato da un tempo, da un luogo, da persone. O forse è il contrario, il segreto per ricomporre il quadro sono gli scostamenti, le immagini fantastiche che ci inventiamo perché non viviamo più sulle navi.
She makes me wanna scream. Un’operetta assurda sulle gelosie adolescenziali da high-school girata da Wes Anderson. Il college-rock è il filo conduttore e quanto più il tema diventa banale, tanto più si succedono le invenzioni (il ragazzo di Jessica che si distrae mentre le parla al telefono e la immagina come un uccellino con tanto di onomatopee). In tutto questo Chris Michaels è solo il proprietario della carta di credito rubata.
The King of Spain don’t care. La canzone è il termine di un’altra storia (Quay Cur?), una fuga è andata male e la protagonista è legata a un albero di Paw Paw in attesa di essere giustiziata. Garage blues da dead woman waiting con tanto di tamburi indigeni in sottofondo.
Si potrebbe facilmente dire che Blueberry Boat è il solito mattone progressive. Blueberry Boat invece è regressive. Nel suo riavvolgere continuamente la storia della musica, sia in maniera ironica che in maniera amorevole, non rimane vittima della Sindrome dell’Ombelico del Gigante (dal nome dell’omonimo gruppo italiano progressive della Mellow). Eppoi la disco fa schifo al prog e le vendite del prog sono destinate a crollare nei primi del 2005, come dice Disco Stu.
My dog was lost but now he’s found. Il genio. Continua dalla precedente come se fossero legate e invece no. Ho maltrattato il mio cane e lui se n’è andato come nel più classico dei classici del litigio domestico matrimoniale. Lei ha chiesto ai gatti della lavanderia, in palestra, al supermercato ma nessuno l’ha più visto. Pianoforte e chitarra la conducono in chiesa dove il cane sta recitando un sermone. Il cane aveva infatti visto la luce, in un rovesciamento acrobatico degli stereotipi del country-blues.
Came a card marked Mason City from my forwarder. Una storia di eredità (?) viene raccontata attraverso gli anni sessanta flower-power.
I wanted to be a typewriter mender. In tre atti la storia di un fallimento, la sconnessa storia del capo ispettore biancofiore. Un bambino da grande vuole fare il riparatore di macchine per scrivere ma non lo diventerà mai. Il suo disordine da mancanza d’attenzione glielo impedirà. L’iperattività selettiva è la forma della canzone. Il primo atto è un Kid-A autistico ora-sto-giocando-nella-mia-piccola-casetta. E allora è entrato in polizia. Stacco assurdo, secondo atto. In un sogno disco-bambino si immagina detective nell’Inghilterra rurale del secolo scorso, l’Inghilterra dei fattori, del thè e delle drum-machine. Il terzo atto si lega rallentando la musica, con un carrello laterale sul protagonista che corre in moto verso Springfield col fratello Michael. Dopo una bevuta scopre che Michael frequenta la sua ex, Jenny. Decide di rivederla e le dice che secondo lui vuole solo prendersi una vendetta nei suoi confronti. Poi torna a Springfield sulla macchina della moglie per ubriacarsi a un bar. Il patetico finale viene reso con un patetico assolo da un minuto e mezzo (la pateticità è nell’occhio di chi guarda, no?). Stupentemente stupendo.
Il disordine da mancanza di attenzione è il regista. Ora che il tasto FFWD non esiste più per conto suo devi tenere premuto SKIP. Ma se per sbaglio lo lasci andare troppo velocemente passi alla traccia successiva. Questo è il disco del tasto SKIP. Che tu lo prema o no il risultato sarà lo stesso.
The pain, the pain, in Spain falls mainly on me. Per immagini una ragazza americana “volontaria della ricerca” racconta il disagio della vita in Spagna, rinchiusa in una nave dal suo rapitore, costretta dalla bigotteria e alimentata con pillole che le bloccano la crescita. Il suo unico rifugio è la sua chitarra con cui storpia triste My Fair Lady.
So I ask Dad, Why can’t we ever win, ever win, once? Marinai bambini ubriachi di bit e sherry raccontano le loro sconfitte davanti al fuoco prima di andare a dormire. È il 1917.
Avanti il prossimo: tu dici che le forme strutturali sono prese dagli Who perché uno dei due Furnaces li venera, tu sottolinei il debito alle solide architetture prog nonostante le strutture vogliano rappresentare la fragilità del disordine, tu dici Beatles, tu dici Rolling Stones. E tu, giovine, vieni qui e mi dici che ti sembra che i Flaming Lips abbiano raccontato alla maniera frammentosa dei Liars le storie dei Decemberists con un pizzico di Heather Parisi. Non vi accorgete che siete contraddittori? (e dopotutto la contraddizione è il sale della vita).
I hate the livery cars that have my bird brain seeing stars, That drive my Doberman to drink in bars. Odio i treni, gli aerei e le auto perché fanno impazzire col loro rumore me e i miei cani. Ma non le navi. E non abbiamo dovuto nemmeno aspettare un duetto Bjork-Flaming Lips per scoprirlo!
Catamaran Man you’re my cousin you’re my blood you’re ten feet tall. Il marinaio sulla terraferma non può che sognare il mare in un breve intermezzo verso la fine. Il suono è un basso dub.
Alcune di queste canzoni sono come matrioske rotte. Cerchi di aprirle e sembrano incastrate, ma poi all’improvviso la più grande si svita e ne vengono fuori due e una è di cristallo, si rompe e fa un rumore che non sentirai più per tutto il disco.
Prendi la tua trombetta, la tua trombetta di plastica. Prendi il tuo tamburello, il tuo tamburello FisherPrice. Prendi la tua pianola, la tua pianola
Turn off your radio
shut away your stereo
put away your discman
and play me a tune today
Madame Professor says Well done.
But an electric stroboscopic frequency meter’d say otherwise.
[The Fiery Furnaces]
Credits:
Max-IBDD: perché questo disco aveva avuto una sola possibilità, distratta, su un pullman da Palermo a Bari ed era stato bollato come cervellotico. Diamo sempre più spesso un’unica possibilità ai dischi (ma anche ai film, ai libri, alle persone). A volte nemmeno quella. E invece certi dischi hanno bisogno di attenzione per poi sentirli piacevolmente disattenti.
Clap Clap: perché gran parte di questo post è fatto delle sue riflessioni e intuizioni e del suo enorme lavoro sulle strutture del disco, mai slegato dalle storie raccontate o da come sono state raccontate. La mappa del tesoro è opera sua.
Empty’s Room: per l’immagine delle matrioske rotte, che è sua.
Nessun commento:
Posta un commento