Quando inizia Alex Boys Noize il lounge è intasato perché tutti convergono lì. Non riesco nemmeno a vederlo o ad avvicinarmi per quanto si sta schiacciati, tanto che per mostrarvelo, qui sotto ho messo una sua foto mentre mi scatta una foto ed Alkan scatena la folla. Il suo set è arrotato, scartavetrante, ahrararra, insomma, il suo set è una parola con molte erre. Gli inglesi dovrebbero sostituire la parola noise con una parola con almeno due erre, ecco. Mi eccito per My Love, quanto gli inglesi quando schiaffa su il suo rework dei Kaiser Chiefs o lo Switch di Lily. Su Phantom è delirio. La battuta non si alza mai ed è una goduria per quello e perché le casse soffrono come se fossero delle crash test dummies per tutte le casse della loro gamma. Un peccato che sia a inizio serata e che sia già ora di correre dai digitalisti.
I Digitalism sono tedeschi (come Boys Noize di cui sopra) e quindi si dovrebbe dire Dighitalism, magari con la cura di accennare un tocco di zeta sulla esse. Il rosso e il grosso sono su un palchetto laterale ma tutti premono su di loro come se fosse il concerto in cui siamo, tanto che a un certo punto li affianca il tipo della sicurezza che mi ha tastato in precedenza, un rosso per niente muscoloso ma con la faccia da hooligan pazzo. Per tutta la prima parte lavorano trattenendo, tanto che i vocalist Dave Gahan e Robert Smith non emergono mai completamente dalla trama electro. A un certo punto Zdarlight e la sua chitarra scatenano urla simili a quando arriva un ritornello e da quel momento è un alternarsi di vuoti melodici ed electro-rotante. La ragazza del grosso si improvvisa cubista accanto (caro, quanto me piace la canzone tua nuova) e su Jupiter Room non si capisce più niente. Suonano anche quel loro inedito che sembra tanto un pezzo di quegli altri due robbott. Il set vola in un lampo, applausi, e già la voce sintetica dice eeee, rrrrr, oooo, llll.
Barba lunga e ciuffone, occhiali alla Mario Carotenuto e giubbotto di pelle, maglia bucata e anelli sulla collana. Erol Alkan è un indie-non-fighetto dentro, un rocker senza band, uno che insegue un’idea senza farsi sopraffare. Almeno per ora. Parte chino sulle manopole con un martellazzo che non conosco a cui fa seguire ancora il remix di No Fit State di cui sopra. Al terzo pezzo guarda già l’orologio. Sembra un po’ teso. Il set procede technoide ma con un retrogusto funk. Alle sue spalle succede di tutto e lui sembra imperturbabile. Il Boys Noize duetta col Baffo, che prende alla lettera il mio commento sui fazzoletti di carta e si inventa il balletto del kleenex sventolino. Costringe tutti quanti allo sventolio, a volte inserendo bacchette fluorescenti tra la carta a doppio strato. A un certo punto decido che è ora di agitare alla sua volta il mio fazzoletto di cotone e lui ne rimane tanto colpito che chiede di vedere e toccare con mano. La sua faccia esprime ammirazione arcuando verso il basso gli angoli della bocca e mi restituisce il quadrato di stoffa. Del siparietto non esistono prove fotografiche, quindi consolatevi con uno dei suoi gesti sbandieranti cellulosa.
Intanto Alkan solleva improvvisamente lo sguardo. Da quel momento sembra di stare a un concerto metal. La musica si imbastardisce, prende a colpi di gomito i piatti dei cd, segue le distorsioni con mani e braccia, aizza la folla e viene affiancato dal suo doppio3000. Parte ancora il campionamento dei Goblin e la gente grida. Seguono Werol Alkman, Just An Edit e si prende nuovamente la strada arrotina. Una voce sembra Britney Spears e invece è solo Peaches. Accompagno ad alta voce il pappa-pappapara di Moving Like A Train su cui interseca Yello (o cosi mi è sembrato) e mi spacco letteralmente le corde vocali su Standing In The Way Of Control. Quello che ci si aspetta, ma voglio viverlo almeno una volta prima di criticarlo come qualcosa di ovvio. E infatti sottolineo la prima battuta di ogni nuovo pezzo con un urlo. Lui beve di tutto come un dannato, ma ci porge una bottiglia di acqua visto che non ci schiodiamo dal posto. Un sorso della bottiglia di vodka che a ripetizione gli avvicinano non sarebbe stato male. Nel finale torna alla battuta dritta, vagamente tra il rave e il balearico, tipo Destroy di The Proxy. I Simian sono già su e lui continua a ripeter loro “un altro pezzo”. Anzi due, anzi tre. Quelli montano il computer e gli chiedono se cominceranno dal cd di destra; lui fa il conto con l’indice e risponde di sì. It’s A Fine Day scorre sul suo remix degli Scissor Sisters (Kirsty Hawkshaw non ha più i capelli rasati edit), quando parte come finale quella cosa enorme. Fa il gesto del pianoforte, sale in piedi sulla console, lancia i palloni verso di noi, mentre commosso urlo a ripetizione “Puoi dimenticare i nostri piani per il futuro”. Si inchina verso tutti. Per un momento sta tutto lì, nella gente in preda a un orgasmo, nel reset dell’anno passato, nel piacere di chiudere e sapere che da lì in avanti ci aspetterà qualcosa che non ci aspettavamo. Poi indossa il giubbotto di pelle e va, anche se non ce n’è bisogno perché scende a ballare tra di noi.
I due Simian sono un biondino assai indie e un incrocio tra Telespalla Bob e il Cugino di Campagna grosso, allergico al mio obiettivo. A differenza di cd-r Alkan (ma la SIAE?!), loro alternano vinile e Mac. Partono con Switch Bump, poi il loro remix di Magick ed Erol sale a cavalcioni di un tizio come se fossimo in un qualunque Festivalbar. Il biondino addetto al vinile sembra andare in panico a ogni cambio come se i dischi non fossero in un qualche ordine, ma è tutta una finta perché i passaggi tra i pezzi sono sempre pulitissimi. Electro corposa, e antiteticamente la vocina ripete People don’t dance no more. La people balla, siamo noi un po’ provati che tendiamo all’ascolto o a sbirciare il grosso digitalista e la fidanzata o il Baffo. Pezzi dal nuovo disco, distorsioni nuovamente rotoidali e l’immancabile nuovo di Justice, vero tormentone della serata.
Sono le sei quando soddisfatti da Lovelight/Ravelight decidiamo di abbandonarci a delle sane tre ore di sonno prima di ripartire verso casa. Ci offrono dei flyer per i prossimi tre mesi tutti raccolti in un cellophane, della cocaina, persino un intero taxi abusivo. È Londra, ed è stato così divertente che a viverci sempre non lo sarebbe altrettanto. Meglio la sana soddisfazione da gita del liceo con il sabato disco. Dopotutto, anche Erol ha iniziato in una discoteca di Leicester Square.
It's A Fine Day - Opus III
2 commenti:
Uh, il pacco di cellophane con la caterva di flyer all'uscita, che ricordi... :)
@disorder: visto il peso, speravo che dentro ci fosse anche un cd, ma da quel punto di vista non si sono fatti grossi passi in avanti
@enver: sai che io sono sempre stato pro alla cosa, insieme a una ristretta accolita
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