A Londra sabato per il super-ponte girano migliaia di italiani. La metà di questi indossa magliette, felpe o canottiere di uno stilista che non conosco, un certo Bruce Springsteen. La coscienza sociale dei londinesi però non si concentra su questi particolari estetici ed è attanagliata dall’entrata in vigore di un provvedimento epocale: dal Primo Giugno 2008 sarà vietato bere alcolici su autobus e metropolitana. Per il primo anno si rischierà l’allontanamento dal mezzo e tra due anni l’infrazione diventerà reato. Il provvedimento ha le sue giustificazioni, ma viene visto come l’ennesima privazione delle libertà personali. In fondo per garantire la sicurezza, si dovrebbe proibire l’ingresso a chi è in stato di ebbrezza, altrimenti è soltanto una questione di apparenza. Io più che altro non avrei pensato a salire in metro con una birra, ma questi sono altri discorsi. Un po’ per protesta, un po’ per salutare la fine del libero alcool in libera stazione, è stata organizzata The Last Booze Tube Party, ovvero una festa alcolica di massa sulla Circle Line. Sul presto abbiamo fatto appena in tempo ad assaporare l’inizio perché poi qualche intoppo ha provocato la chiusura della linea e della Liverpool Station dove si sarebbero poi concentrati tutti. Dopo un sano fish’n’chips ci armiamo di due birre e contribuiamo anche noi simbolicamente solcando il tragitto con la linea Rosa. L’evento ha il sapore del carnevale e molti gruppi scelgono la chiave di lettura del Proibizionismo e degli anni 30 vestendosi con gessati ultra-spallina, abiti da Cabaret e cerchietti con la piuma, bevendo champagne o vino da bicchieri di cristallo. Il modello prevalente è certo quello dei ragazzini+tanta birra, ma c’è chi si presenta vestito per un pigiama party, chi indossa i manifesti che ammoniscono riguardo al provvedimento e chi sceglie un look vampiresco. La nostra inviata a Liverpool Station, che ha scritto qualcosa più giù nei commenti al primo post, ha continuato la festa mentre noi alle undici eravamo già a dormire, assegnando il momento
evento perso della serata a Mark Moore degli S-Express allo Unit 7.
Alle undici dormiamo perché abbiamo in mente una cosa fighissima (mentre lo scrivo, penso che qualcuno ha molta pazienza a sopportarmi). Al Fabric suona il dj svizzero-cileno Luciano, ma prima di lui ci sono Shinedoe e Pedro che non sono esattamente il massimo dei miei desideri e nelle altre due sale oltre ai Model 500 già visti non è che ci sia niente degno di nota. In più Luciano comincerà a suonare molto tardi ed è verosimile che sfori nella mattinata. La mandrakata è insomma questa: sveglia alle quattro e per le cinque ci si presenta freschi come roselline di campo alla porta del Fabric e si entra senza fila e con prezzo ridotto. Prezzo ridotto perché con l’adesione inglese al modello di party senza fine tedesco-ibizenco, per ripagare i costi aggiuntivi di struttura e personale sono stati introdotti gli ingressi dopo le quattro (8 sterline) e dopo le cinque (5 sterline). Molti inglesi stanno uscendo, ma il programma appeso al muro recita chiaro che Luciano suona dalle cinque alle otto e mezza. Pieno successo. Dicevo delle roselline di campo. Ora, noi saremmo arrivati freschi e riposati, ma una cosa che non avevamo considerato è l’ODORE DEL FABRIC DOPO LE CINQUE DI MATTINA. Apocalypse ora. Sulla pista principale sovraffollata la condizione sudorifera di molti elementi rendeva proibitiva la respirazione. Se poi ci aggiungiamo che Luciano comincia subito a lanciare i canti popolari sulle percussioni facendo sollevare le braccia al cielo, immaginate un po’ voi.
Luciano viene da un inizio anno poco convincente, segnato da un repertorio poco variabile misto ad alcuni sconfinamenti in ambito house poco apprezzati dai puristi. Pure il suo futuro cd per il Fabric nei pezzi scelti sembra non dire niente di nuovo e al massimo si spera in qualche sorpresa in come mixerà il materiale. Questa mattina invece parte subito piacione quando dopo una interessante serie percussiva ricorre subito al giochetto della voce popolare sulla minimale: una volta culmine di ore e ore di set, ora diventa parte consistente e ripetuta. Dalla diva-house alla passio-minimal. Mi guardo intorno e mi rendo a conto che a poco a poco il posto si è riempito di ispano-americani. Gli inglesi provati dalle loro bevute abbandonano il campo a chi si è svegliato alla stessa nostra ora. Il set (laptop + controller + giradischi) continua incentrato sulle percussioni, su questi bonghetti, conga, maracas, triangoli, frasche, legni che intersecano ritmi a più velocità e tempi. Ballare sobri al risveglio tonifica come una seduta di ginnastica aerobica. Per gradi si passa a suoni più elettronici e cogliamo l’occasione per guadarci un po’ intorno e meravigliarsi del recupero continuo di bicchieri da terra, dei super-efficienti bagni e della prontezza e discrezione con cui il servizio d’ordine ‘sposta’ fuori chi si accende la dannata sigaretta (eh sì, la cosa bella di Londra è stata tornare ogni sera a casa coi capelli che non puzzavano, cosa che ormai non possiamo più aspettarci dai nostri amici incivili). Dopo un po’ di ballo alle spalle della console sfruttando i monitor, la partenza di
Rez degli Underworld mi trasforma in Speedy Gonzales e riguadagnamo il centro della pista dove rimembro i muri tremanti della casa natia. Qualche altro pezzo in ambito tech-deep (appunto
Get Deep di DJ Le Roi e Roland Clarke) conduce verso la seconda sezione di “Come rendere meno noiosa la minimale con cantanti delle mamme, un pezzo nuovo dei Los Updates, un sassofono jazz, chitarre, una ritmica quasi rock e un pezzo strumentale greco (
Gia Tous Anthropous Pou Agapo di tale Yiorgos Mangas)”. È un po’ il discorso della sovversione dei tempi e dei generi della serata di ieri, eppure mi sa di espediente per cercare di rivitalizzare una scena dal fiato ormai corto. Poi è divertente certo, ma buttandola sul piano tecnico non si possono sentire a ogni cambio disco sempre gli stessi due preset di Ableton toglifrequenze/inseriscistrati. Molto meglio quando gioca sottilmente con le sinapsi dei drogati inserendo elementi asincroni o quando fa a meno per minuti della cassa, che riparte sempre, ma ogni volta con una particolarità diversa (cambio tempo, start-stop, sincopi, shift). Quando si ritorna sui lidi minimali mi accorgo che è affiancato da Pedro e il tutto prende una piega un po’ oscura e noiosa.
Sono ormai le otto e riemergono i campioni vocali della prima ora (ma cos’è, un altro trucchetto per mandare in loop la testa dei drogati?) con un’atmosfera che diventa sempre più eterea con lo svuotarsi goccia a goccia della pista. I controller ogni tanto si inceppano come a volte mi è capitato di sentire sui set in rete, dovrebbe cambiarli. L’organo in riverbero potrebbe essere quello di
In Church degli M83 che spesso usa, ma potrei essermelo sognato. Penso che sia la rincorsa verso il finale, ma superiamo ampiamente le otto e mezza e lui è chiaramente preso bene. Intanto cominciano ad arrivare tipologie poco da Fabric e molto da ATP Festival. La musica prende una piega da balera tecnologica molto divertente ed ormai da un’ora lui continua a stringere mani, abbracciarsi, complimentarsi con Pedro, salutare e infilare un pezzo da finale dopo l’altro. Solo che noi siamo abbastanza soddisfatti delle quattro ore di danza ed abbiamo un appuntamento per una colazione all’inglese (sonno, poi danza, poi uova fritte bacon salsiccia e fagioli, non fa una piega) e tutto questo potrebbe continuare fino alle undici. Divertente, ma vittima di quello che lui e Ricardo si stanno creando intorno. Così andiamo via. All’uscita mi danno una riduzione per andare a sentire Martin Buttrich al The End in serata, ma io passo, anche se non mi ero mai sentito così riposato e pimpante dopo un dj-set. Un giro a Spitalfields, una toccata alla Tate (“Questi hanno appeso i quadri come li appende mia zia”), una birra in un pub semideserto di Camden dato che Lykke Li ed El Perro del Mar hanno annullato e poi il giorno dopo si ritorna dal paese delle meraviglie.
Rez - Underworld
Mixing M83 In Church over percussions @ Belgrade - Luciano