10.11.09

VellutoToMoquette (Il Club To Club: parte prima)

Posso ripetermi che non cerco rivalse nei confronti della musica che ascolto, posso dirmi che non ho bisogno che Evelina Christillin mi dia il benvenuto e mi accomuni alla figlia nei giovani che finalmente entrano a Teatro con la musica elettronica per la prima volta (e che la legna non sia troppa, orsù), posso lamentarmi quanto voglio del fatto che siano meglio i diciottenni datch-vestiti che attendono sempre l'ultimò ultimò rispetto ai trentaseienni col posto riservato che non hanno pagato il biglietto, che non sanno dove stanno, che si alzano e se ne vanno venti minuti prima della fine o che forse in realtà, com'è più probabile, mi facciano ribrezzo tutti. Però il misto di attenzione sull'ostico, commozione sul finale e gioia, quando dopo quindici minuti parte per la prima volta la cassa e sembra di stare al Concerto di Capodanno a Vienna con tutti che applaudono a ritmo, tutto ciò non sarebbe stato lo stesso lontano dai velluti, dai palchetti e da tutto quel rosso ingoiato dal buio, in cui ci immergiamo ogni fine settimana.



Serate come quella di giovedì scorso al Teatro Carignano di Torino con il concerto di Francesco Tristano, Carl Craig e Moritz Von Oswald (soli, senza orchestrali o strumentisti) sono tentativi che in fondo cercano di annullare una distanza che, per quanto ce la stiamo a raccontare, è tutta lì nelle parole intorno, nelle sensazioni aumentate e persino nelle ricerca di indifferenza dietro cui possiamo nasconderci. Non se ne può fare a meno e allora si prova a raccontare anche il resto, quello per cui si è davvero lì.



Senza l'orchestra e gli strumentisti, i tre scelgono la via di un suono live, non artificialmente sincronizzato e improntato su un'esecuzione ai limiti della divagazione in jam. Tristano martirizza di effetti il piano, ora metallizzandolo, ora grattando il timbro,pizzicando e percuotendo il budello direttamente. Per i primi ventiminuti punteggia le vibrazioni di fondo dilatate di Craig e Maurizio con un concreto trattato che riprenderà più avanti ma che non mi conquista più di tanto. Molto meglio quando aprirà l'arcobaleno timbrico house nascosto sotto gli effetti, classico e dolente allo stesso tempo, o quando si preoccuperà di contrappuntare con la melodia di basso sintetizzato. Craig sembra rincorrere, nonostante chiami come un direttore di orchestra incisi e variazioni: la drum-machine live scarna e non lavorata ricerca un sapore classico detroitiano, però il più delle volte risulta legnosa e priva di respiro (anche se è il classico colpo di gomito all'amico con la palpebra calante); il suo sintetizzatore poi suona monocorde ed elementare affiancato al respiro del basso di Tristano. Maurizio (gran cuore per lui e tutto per come cerca di riprendersi dai problemi di salute) lavora molto di architettura, riempiendo i vuoti e addensando il materiale a volte un po' slegato degli altri due. Prenderà la scena sull'ultimo pezzo prima del bis quello con la più grande carica dub. Tra le cose suonate Technology, uno da Recomposed, frammenti affioranti dai libretti dei tre (qualche detrito da Auricle Bio On, tappeti da M Series, qualche passaggio soffuso al synth per C2) e su tutti una The Melody che scalda il cuore e lo fa sorridere e gli accordi ritmici di The Bells che fanno sempre la mossa di partire e non vengono mai raggiunti dalla melodia. Poi per il bis tornano solo Craig e Tristano che improvvisano rilavorando passaggi già sentiti in precedenza ripetendo sostanzialmente i pregi e difetti della serata. Un gran tentativo di spettacolo elettronico senza la pompa e i lacci dell'accompagnamento orchestrale, ottimo a tratti ma che richiede ancora l'affinamento dovuto da simili maestri.




Dopo qualche chiacchiera si attraversa la città e dall'altra parte al Mirafiori Motor Village (la zona di Mirafiori riconvertita a centro polivalente / spazio di vendita) si raggiunge la serata Do You Warp?. Tra una cosa e l'altra faccio in tempo per venti minuti di Hudson Mohawke che è un ventenne robusto e nerdonissimo nel suo ingobbirsi su manopole, giradischi e laptop. Elegante quanto la copertina di Butter, affastella un accumulo di beat storti, frammenti melodici, elettronica disparata con l'incoerenza della scoperta. Puzza ancora di latte nei suoi estremismi (nonostante un'enorme gavetta alla puntina), ma in fondo suona come il pop che vorrei sentire alla radio, con 800 tab diversi aperti sul browser, e lo stile di una pagina geocities fine anni Novanta: il Prefuse'73 del buon umore. Lo si ama per Fuse anche se il suo futuro è dalle parti della conclusiva Ooops!!!. Lo applaudono pochissimo alla fine (molto più durante il set), ma lui è convinto non poco. Subito dopo Jimmy Edgar nella sua mezz'ora (pagati poco i ragazzi per la serata a ingresso gratuito?) passa da un suono funkadelico con tanto di voce trattata a un martellone pneumatico alla Autechre, a tentazioni house senza un minimo di senso compiuto. Indeciso. A seguire il dj set di Passenger e xluve sceglie la strada di una specie di fidget(!) cosmica(!). Già abbastanza infastidito, su Yeke Yeke decido di abbandonare la moquette in erba sintetica e andarmene a dormire.



The Melody (Carl Craig's C2 Remix) - Francesco Tristano
Fuse - Hudson Mohawke

2 commenti:

fede ha detto...

Intanto è stato davvero un piacere conoscerti ;)

quindi sono riuscito a scoprire tramite i servizi segreti che il jimmy edgar si è autoridotto lo show perchè ha visto che eran andati lunghi coi tempi e ciò avrebbe portato alcuni dj a stare ai box.

Il paragone col concerto di vienna di capodanno è quanto mai azzeccato :D

maxcar ha detto...

piacere anche mio.

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