15.8.05

It’s Friday I’m In: FIB 2005 - Viernes


Les Très Bien Ensemble
Visto: seduti a gambe incrociate con tanto spazio intorno all’Hell-o-Moto
Giudizio: +

Il festival si inaugura con un concerto al tendone Fiberfib.com/Hell-o-Moto che come noterete dal seguito diventerà nostra seconda casa. Les Tres Bien Ensemble, nati come cover band di Gainsbourg e delle sue lolite e in seguito autori di un pop retrò che guarda a quegli anni, sono il miglior modo per iniziare senza traumi eccessivi un festival che sarà dispendioso in termini di energie, sudore e ore di sonno. Gente sulle stuoie di paglia accoccolata ad ascoltare CrepSuzette, il cicciochitarra e il resto della banda. Suzette è visivamente una via di mezzo tra Paola Turci e una Birkin brutta e limita il suo senso della scena all’uso di accessori vari (occhiali, boa bianchi e rossi). Il suono è meno levigato che su disco, ma la scelta potrebbe essere legata alle dimensioni del posto. La perfezione del canto a due voci di A Hélene è un gradino sopra i pur buoni episodi del belleesebastianismo anni sessanta di En Attendant Rascolnikov, delle citazioni di Toi Et Moi, del jukebox sulla spiaggia di Gronde Moi e del doo-wop sanremese di C’est Fini. Menzione negativa invece per la melodrammatica Ne Lui Dis Pas Á Maman, già bruttina su disco e qui aggravata dall’utilizzo di boa rosso non regolamentare per l’incipit in cui Suzette recita (male) l’orribile “Sono un puttanone”.
Se proprio ti interessano guarda il video di A Hélene.




The Zephyrs
Visto: come un concerto in un festival di grandi dimensioni
Giudizio: +

Il primo concerto visto come se fossimo a un festival è quello degli Zephyrs. Al Fib puoi stare anche nei pressi dello scenario, passeggiare vicino, sederti sull’erba del prato e gli altoparlanti e i maxischermi penseranno ad accompagnarti lungo le tue soste di decompressione. In questo caso dopo le prime due canzoni ci si è mossi per esplorare il territorio circostante.

Siamo entrati e usciti dal tendone con le postazioni internet gratis, ché non abbiamo fatto tanti chilometri per quello, poi abbiamo fatto un salto al luogo dello scandalo: il FIBshop. Il punto ufficiale del merchandising vendeva magliette a prezzi ignobili (30-40 euro) raggiungendo l’estremo della mancanza di vergogna con una maglietta dell’anno scorso di Belle And Sebastian a 50 euro (chk chk chk, lasciatemi dire). Spagnoli irritati, inglesi tra i trenta e i quaranta che compravano (poche) magliette dei Maximo Park e i commessi che ridacchiavano complici per la mia foto all’oggetto sotto accusa.

Si ritorna in zona Hell-o-Moto e si apprezzano le note scozzesi degli Zephyrs che iniettano il folk in ballate silenziose e cantate tra Mogwai e Arab Strap: un concerto insomma che se avessi conosciuto il gruppo e il suo repertorio avrei apprezzato e desiderato ancor di più. Breve salto al prato col maxischermo e alle botteghe annesse e poi ritorno al tendone per il finale.
Se proprio ti interessano guarda il video di Stargazer.




The Kills
Visto: a media distanza dal palco
Giudizio: -

Sono prevenuto. Il disco dei Kills non mi è dispiaciuto, ma l’ascolto del set di Arezzo Wave via radio e alcune voci sulla pochezza dei due dal vivo mi aveva messo sul chivalà. Alla fine dei conti non siamo dalle parti del disastro che mi aspettavo, ma il concerto è stato insoddisfacente. Appena la metà del repertorio riesce a superare con sufficienza la prova del palco, essenzialmente per questione di dinamicità e spessore. Ingessati, con suoni troppo impastati e incapaci di variazioni negli spessori e nelle sfumature di ruvidezza. Quando si passa poi alle notazioni sulla loro presenza scenica arrivano le note dolenti: lei sembra una Carol Alt distrutta dall’eroina tra dieci anni in un film noir di Vanzina, tiene davanti alla faccia una frangia che le arriva alla bocca ma che sposta quando deambula per non inciampare; lui a un certo punto cerca di attirare l’attenzione col moonwalk coordinato col movimento di chitarra. Il peggio però è quando si mettono uno di fronte all’altra e simulano una tensione sessuale che non c’è, coprendosi di ridicolo. Finti e noiosi.
Se proprio ti interessano guarda il video di The Good Ones.



Mangiamo accanto al tendone dell’Heineken dove dovrebbe esserci Solex. A dire la verità arrivano da lì rumorini analogici e distorsioni che non ricordavo, salvo poi scoprire dentro che non era Solex ma i Solex da Madrid. Cerco di sbollire la rabbia per il cambio di cartellone che se da un lato prolunga la durata dei Cure a ben due ore, dall’altro con un gioco di prestigio mette di fronte al dilemma “Yo La Tengo o Fischerspooner?”. Dilemma in fondo in fondo inesistente se si pensa che gli YLT sono ormai eterni, mentre probabilmente presto ci dimenticheremo dei FS. Allora chi sei andato a vedere? Claro, i Fischerspooner. A parte la voglia di epater l’alternatif, a parte che la mia cara Season of the shark era così sussurata che nei miei pochi minuti di presenza all’Escenario Verde ho pensato che forse gli YLT non erano adatti a quel luogo, a parte questo e altro mi era venuta voglia di saltare e urlare. Di mezzo l’inizio di Electronicat che si presenta a torso nudo con una collana di denti di animale di plastica, con un trucco a metà tra lo sciamanico, Morgan stempiato e i Kiss e che incuriosisce con la sua mistura di rockabilly ed elettronica.



Fischerspooner
Visto: “ehi, ma c’è l’acqua!”
Giudizio: ++

Il post-punk in mano ai Duran Duran. Fischer e Spooner si presentano in versione rock band e stanno più dalle parti di Odissey che da quelle di #1, che credo di avere ascoltato solo una volta. Rimosso a tal punto che non ricordavo il secondo pezzo del concerto, ovvero una stupenda cover di The 15th dei Wire, che su disco giocava sul contrasto tra visuale garage e innocuo synth-pop mentre dal vivo acquista cupezza e vizio. Vizio che non si traduce in grossi eccessi sulla scena, niente spogliarelli alla Scissor Sisters, giusto un cambio d’abito per il cantante da una mise da pro-console in assetto da guerra al kimono del video di Never Win. In compenso la dissonanza tra i banner cartacei che incitano al Fair Trade e il logo Motorola che oscura quasi metà dell’immagine sul maxischermo del palco è risolta da Casey Spooner con un continuo inneggiare perculatorio all’Heineken, sponsor della loro permanenza sulle coste spagnole. Il concerto è solido, salto, urlo, ballo, sudo con un occhio all’orologio per i Cure. Faccio in tempo per tutte le preferite di Odissey e perdo solo gli ultimi dieci minuti in cui pare che abbiano chiesto al pubblico quale dei componenti avrebbero preferito nudo e in cui hanno intonato un coro apposito di saluto finale alla Heineken. Dopo aver visto l’Hell-o-Moto stracolmo saltare e urlare sull’accoppiata Just Let Go/Never Win, su Happy (as Happy), sulla mia A Kick In The Teeth e sull’antifallaciata di Susan Sontag mi sento di consigliarveli quando passeranno dalle vostre parti. Quando la finzione è finzione riuscita (e senza troppi eccessi da vaudeville).
Se proprio ti interessano guarda il video di The 15th Hi Med Lo.




The Cure
Visto: seduti sul prato, dal maxischermo
Giudizio: --

Una volta ho avuto una discussione sulla decadenza di Robert Smith. Per quanto l’immagine cortisonica, per quanto le ultime canzoni bruttine, ho sempre pensato che un giorno sarebbe arrivato il momento del mio concerto dei Cure e che, nonostante tutto, sarebbe stato bellissimo. Il concerto dei Cure invece è stato uno dei momenti peggiori del festival, un’agonia interminabile forse anche legata alla durata eccessiva per un festival. Soprattutto la mancanza di tastiere, ma anche la scelta delle canzoni (God Bless Erlend Øye for A Forest) ammazzano gli entusiasmi e si ha la triste impressione che non ci sia differenza a seguire un concerto così freddo e di routine da grande distanza nell’Escenario Verde, sul prato davanti al maxischermo con i martelli di Peaches in sottofondo o in televisione con le interruzioni degli spot pubblicitari del Mulino Nero. Ma i ragazzini non piangono…
Se proprio ti interessano guarda il video di Boys Don’t Cry.



Chi l’ha visto?
Perché, e sì, c’è anche quello che ci si è persi, per le sovrapposizioni o perché si va via prima. Già detto del dannato cambio di cartel che fa saltare Yo La Tengo e di Electronicat in contemporanea con Fischerspooner, ci si perde chissàcosaavràcombinatoPeaches (che a costo zero avrei anche provato), l’ormai inafferrabile Four Tet e Carrie nella Static Disco Night durante i Cure. L’abbandono della postazione costa invece la rinuncia allo show grasso di Basement Jaxx e ai succulenti dj-set indie-pop della Go Mag Night.

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