You Gotta Be 2000 Places I Was: FIB 2005 - Jueves
Deluxe
Visto: più o meno al centro dell’area dell’Escenario Verde
Giudizio: -
Preferiamo la permanenza al mare al set introduttivo di Aldo Linares (che saccheggia il repertorio dei partecipanti al festival di quest’anno e apre con Nancy Sinatra che canta You Only Live Twice) e ai Dorian (che visti sulle foto potrebbero suonare come i Ladytron ma non lo sapremo mai) e così arriviamo in tempo per l’inizio di Deluxe. Il gruppo spagnolo suscita gli entusiasmi della folla autoctona con un poprock inoffensivo e ricalcato senza troppi sforzi da questo e da quello. In certi casi così smaccatamente che una canzone che sembra With Or Without You diventa With Or Without You. E volete che la folla non si entusiasmi? O-oh o-oh.
Se proprio ti interessano guarda il video di Que No.
The Posies
Visto: ormai attaccati alla transenna
Giudizio: --
I Posies mi fanno schifo. Conoscevo due o tre canzoni e mi aspettavo un intermezzo powerpop dignitoso, invece risultano piatti e fiacchi. Stringfellow alla fine si cala le braghe e le tira sul pubblico (anni luce dagli Scissor Sisters dell’anno scorso). Mah. Azzeccano solo la presa per i fondelli del pubblico degli Oasis, cantando per primi Wonderwall alla velocità dei Chipmunks.
Se proprio ti interessano guarda il video di Definite Door.
The Polyphonic Spree
Visto: tarantolato e quasi sul palco
Giudizio: ++
In uno dei bagni del campeggio, perché nei bagni del campeggio non ci sono i soliti annunci porno ma i primi commenti al festival, in uno dei bagni del campeggio - dicevo - dopo l’esibizione dei Polyphonic Spree è comparsa una scritta che recitava più o meno “I Polyphonic Spree stanno in Sister Act III”. Da un lato la puoi vedere così, al posto delle tonache hanno delle tuniche da Charlie Brown in the sky with diamonds, incitano a raggiungere il sole in compagnia di ragazze soldato e si affidano al casino, ché quando c’è da confondere le idee e manovrare è sempre il sotterfugio più facile da utilizzare. Eppure io, che su disco li trovo noiosetti nella loro massimale e pomposa versione della già massimale e pomposa nuova psichedelia (Flaming Lips, Mercury Rev e Spiritualized per capirci), sono diventato adepto laico della setta. Non ho cambiato opinione sui dischi, ma se ci fosse una funzione al mese dalle parti di casa non me la lascerei scappare. Le canzoni acquistano ritmo e sostanza, incitano con la loro iteratività al coro sconclusionato e in più, particolare da non sottovalutare, l’inutile (ma Together We’re Heavy) seconda chitarrista è un piacere per gli occhi (pauuura invece per la decadenza di Miss Flauto, che prima era altrettanto carina, cfr video vecchi).
Poi si possono trovare mille difetti come il ripetersi delle strutture (inizio ambiental-trasognato, cantato che si leva sull’orizzonte dell’umanità, balletto del coro, disco-stomp orchestrale ognuno fa un po’ quel che gli pare e ripresa catartica del tema precedente) o le mossette del coro che sono sempre le stesse. Nonostante ciò anche le sole It’s The Sun, la mia preferita Soldier Girl, Two Thousand Places e Light And Day, le pazzie di uno dei batteristi che continua a battere i piatti dalle parti dell’Hell-o-Moto a concerto finito e l’idea che il misticismo sia ormai così vuoto da poter essere utilizzato come contenitore laico rafforzano la precedente idea tutta fisica che questo sia stato uno dei concerti del giorno. Poi alla fine ti accorgi che sotto la facciata hippie ci sono le solite Allstar, ma è la conferma che l’immaginario alla Benny Hinn sia un qualcosa a metà tra la posa e il mezzo di comunicazione. Prima di chiudere Tim De Laughter canta “Love love love” (la spada de foco!), ripete il mantra “Together We’re Heavy”, prende la scaletta che ha sotto i piedi, ne fa un aeroplanino di carta e lo lancia. Ora, la scaletta in mio possesso non è quella lì, ma io ho la mia reliquia e chissà a chi dei ventitrè apparteneva.
Se proprio ti interessano guarda il video di Two Thousand Places Hi e Lo.
The Tears
Visto: prima fila
Giudizio: o
L’atmosfera della prima fila è quella di chi attende un concerto dei Tears che sarà anche un po’ un concerto degli Suede. Non sarà così. Anderson e Butler ripropongono dal vivo esclusivamente il nuovo disco e l’ascolto del concerto suscita pensieri non dissimili a quelli seguiti al disco, un disco con qualche buon pezzo e tanti riempitivi non all’altezza del miglior passato del gruppo. In uno dei pezzi migliori Anderson canta I try to move on but the ghost of you will stay e siamo da quelle parti, mettiamo in saccoccia Autograph, Lovers, Refugees e Imperfection con l’intro Vanmorrisoniano già saccheggiato da Beck e ci annoiamo per il resto. Il resto è fuffa e sculettamento di Brett (poca pancetta, qualche muscolo in più e taglio di capelli più corto) e calci a bottiglie e lattine di Bernard (che col capello corto sembra un'altra persona). Scelta spocchiosa, la loro.
Se proprio ti interessano guarda il video di Refugees.
Underworld
Visto: più o meno al centro dell’area dell’Escenario Verde
Giudizio: ++
Ci sono tanti segnali che indicano questa edizione del FIB come uno dei primi eventi ufficiali del revival anni Novanta: concertone degli Oasis, britpoppers che occultano il loro passato ripetendolo nel presente, mostri sacri del rock alternativo col fiato corto, cloni dei gruppi di quegli anni, dj-set ispirati al periodo e gli Underworld che chiudono la prima serata. Se avete più o meno la mia età probabilmente riconoscerete agli Underworld il ruolo che riconosco loro insieme a tanti gruppi del periodo, quello di aver liberato i miei ascolti dai vincoli di genere. Dal vicolo cieco del rock alternativo americano ci aveva tirato fuori una miscela di pop che riscopriva la leggerezza e l’elettronica che ritrovava le sue possibilità musicali e le fondeva col rock. Di notte, prima che arrivasse l’inno generazionale di Trainspotting, si stava imbambolati di fronte allo schermo su cui passavano i bellissimi tomato-video di Cowgirl e Rez.
Il concerto inizia mentre sono ancora nei bagni, ma evito paragoni sconvenienti. Il suono fa tremare le pareti e si dischiude poco alla volta. Dal vivo gli Underworld tirano fuori un set teso e mai ripiegato su se stesso (era la mia paura). Dilatano, comprimono e intrecciano i pezzi come nel picco assoluto della giornata, l’intersezione obbligata di Rez che diventa Cowgirl che diventa Rez. Vetta di piacere che a confronto la Nuxx di Born Slippy è il coro da stadio che ci si aspetta, e nulla più. Occhi chiusi per questo e per il resto, ricordando gli occhi chiusi che avevo in passato mentre li sentivo e li ballavo e mi perdevo nelle sirene e nelle acidità e nelle parole una dietro l’altra, pescate forse da un sacchetto. I’m invisble, I’m invisible, everythingeverythingeverythingeverything.
Se proprio ti interessano guarda il video di Cowgirl dal vivo.
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