10.4.06

Stereo Totalitarismi


I don’t like pills,
I don’t like coke,
I don’t like the pretty folk,
Can’t stand the DJ,
Don’t like the records that he plays, no!

I hate everybody in the discotheque!


Françoise Cactus sale sul palco dei Candelai con una borsetta a tracolla, un astuccio plastificato per le bacchette della batteria, indossando un cappottino rosso scozzese. Tira subito fuori dalla tracolla due quadernetti vissuti sui quali a penna sono scritti testi e introduzioni in italiano per ognuna delle canzoni. Il casco di capelli dissimula il suo inciccirsi e per tutto il concerto l’impressione è quella della professoressa di francese della scuola media, che riceve alunni ormai solo grazie alle classi bilingui e ai sorteggi d’ufficio tra i troppi amanti dell’inglese. Vestigia di malizia suscitano i suoi occhi e i suoi sguardi, talmente penetranti da non sembrare di circostanza, sono il sogno azzurro di noi studentelli ormai troppo cresciuti. Brezel Göring entra vestito da Fidel, ma si libera subito del guscio in favore del ruolo di bambino cattivo del gruppo, pungolando la socia che talvolta preferirebbe mantenere il tutto su binari meno estremi. Gli Stereo Total a Palermo riempiono il posto e per giunta di gente che sa a memoria i testi delle canzoni e che non li lascerà andare via facilmente dopo il terzo bis.



Già alla fine della seconda canzone l’entusiasmo circostante costringe Françoise a liberarsi del cappottino in favore di una camicia stampata strategica a maniche lunghe su pantalone gessato. Si giocano quasi subito (come terza canzone) una delle mie preferite Party Anticonformiste che trasforma la platea in una massa danzante sfrenata, mentre Brezel bacchetta tutto il bacchettabile sul palco. L’uso di basi non inficia la naturalezza e la ruvidità, ma si mischia bene con la semplicità garage della chitarra di compensato e la ritmica di accompagnamento vicina. Molte canzoni vengono risolte con parti in italiano, con esiti talvolta comici (“Sono nada, ehm, nuda”), e gli aspetti scenografici come il pupazzetto del coniglio o l’invito di un ragazzo con scene da trenino dell’amore per L’amore a tre sono teneramente ironici e sul filo come gran parte della produzione del gruppo.





Poi però trovo il tempo per una piccola delusione. Il sodale mi aveva parlato di concerto interminabile con durate superiori alle due ore, ma Françoise si è mostrata provata già solo al quarto rientro sul palco. Il monitor saltato, una non perfetta condizione della voce e soprattutto il torrido clima del posto prima l’hanno spinta a chiedere per favore il termine del concerto e poi le hanno conferito lo sguardo stizzito verso il compare ogni volta che, esaltato per il delirio che aveva davanti, questo faceva partire le basi mentre lei stava già lasciando il palco. Al terzo bis concedevano finalmente Furore, Miau Miau e da lì in avanti spingevano molto sulle cose più trascinanti come I Hate o Push It. I proprietari del locale provano a interrompere l’entusiamo spegnendo le luci, ma il pubblico trascina il duetto fino alla sesta tornata di bis con una conclusiva e sprofondhouse Joe Le Taxi. Dopo tutto novanta minuti per un gruppo con canzoni che in media durano tre minuti è tanto e forse avremmo dovuto avere un po’ più di pietà con la povera Françoise che alla fine si mostrava provata anzichenò.


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