25.9.06

Satur(ate)day (con coda provinciale)

C’è poca gente, mi dico. Tutti a vedere Peaches o Rapture, mi rispondo. Sì, ma Peaches era venerdì e i Rapture sono domani sera. Forse a Milano non sono abituati ai concerti nel fine settimana, figuriamoci a tre concerti degni di nota nel fine settimana. Troppo poco indie per il pubblico rock e troppo pop per chi si intrippa di elettronica? Aggiungi anche che sono i meno modaioli. Gli Hot Chip a forza di fare dance debole sono diventati l’anello debole, insomma? Se non altro ci evitiamo le modelle che ti avrebbero pestato i piedi coi tacchi a spillo e ostruito la vista con le loro spalline, nonché i personaggi dalla sessualità disturbata che ti avrebbero strusciato addosso vibratori pelosi (disturbata dato che per scegliere te come obiettivo di vibrazione bisogna essere disturbati). Smettila di farti domande e di risponderti da solo. Ok.

Gli Hot Chip sono disposti in fila, da quello che canta e suona i tamburelli, a quello che fa partire il playback. Esteticamente non tradiscono sfoggiando tre camicie orribili che potrebbero venir fuori dal mio guardaroba anni Novanta (una a righe bianche e azzurre, una panna e una a quadrettoni buoni per un picnic con tanto di sorpresa incorporata), una t-shirt di Threadless (griffe ormai da evitare in occasioni pubbliche) e una maglietta col pollicione tipica da orsacchiottone degli Hot Chip, indossata guarda caso dall’orsacchiottone degli Hot Chip. Visto che ne parliamo, l’orsacchiottone degli Hot Chip ha la luna storta: più volte si astiene dal controcanto, sembra svogliato ed imbronciato e, soprattutto, esibisce pochissimo il numero pelvico che tanto ce lo fa amare.



Nel caso in cui ci fossimo dimenticati di essere in un sabato sera, il fatto viene ribadito dall’andazzo ritmico del concerto. Una Careful che pesta ancor più dell’originale introduce un set che mette da parte tutti i momenti trasognati in favore del martellamento. Anche quando su disco si sta dalle parti del synth-pop, qui si indurisce il ritmo, ornandolo soprattutto negli ingressi e nelle uscite dell’armamentario percussivo della casa madre, ovvero di campanacci e bonghetti. Se dunque ne fanno le spese l’assente The Warning, in origine presente nella scaletta e poi depennata, la dimenticata Colours e l’antico fantasma Crap Kraft Dinner, d’altra parte tutto il passato che resta (The Beach Party e Keep Falling), il presente dei lati b (Plastic) e il futuro inedito (due-tre pezzi accreditati come Shake A Fist, Graceland e Out At The Cinema) vengono coniugati in maniera uniforme secondo lo schema di cui sopra.



Si balla, si canta e si suda, tanto che Alexis si sveste, rimanendo con una gustosa canottiera Nike slabbrata bianco-verde, ma la tensione ritmica non è uguagliata da una simile tensione emozionale. Da questo punto di vista gli unici sprazzi sono offerti da una Boy From School comunque meno brillante del solito (sentendola dal vivo si capisce come sia nato l’auto-rework del singolo) e soprattutto da No Fit State, che parte de-tonata e prima della coda anthem su un tappeto di sintetizzatore paga tutto il tributo alle radici New Order con le parole della tentazione (Oh you got green eyes, oh you got blue eyes, oh you got grey eys and so on).




Resta poco tempo per il bis perché il concerto deve durare poco (si, ma perché poi, visto che comunque la gente applaudiva?). Chiude una Over And Over punteggiata dagli unici assoli di chitarra della serata, altrove utilizzata in maniera umilmente ritmica. Parte subito l’hip-hop - io piango dentro perché il concerto non finisce con You Ride - e allora non prima di avere assistito a delle scene che non avremmo mai desiderato vedere (no, non parlo delle groupie degli Hot Chip), decidiamo di spostarci verso il fantomatico Hot Chip Aftershow Party. Ora, noi siamo gente di provincia e quando sentiamo la parola Aftershow abbinata a Milano pensiamo sempre a esclusivissimi festini dove l’intellighenzia sollazza ogni suo desiderio artistico, compreso quello di sentire una ventina di minuti di dj-set degli Hot Chip. Beh, forse mancava qualcosa (qualcuno?) e l’atmosfera non era per niente in linea con la musica degli Hot Chip, ma se non altro ci siamo esibiti in un mash-up tra Pirandello e Milanodabere: quando all’ingresso il gruppo (non gli Hot Chip, chiaro) ha fornito i nomi per entrare (sì, c’era una lista esclusivissima), ci siamo scambiati le identità coinvolgendo anche degli assenti, lasciando fuori il mio nome e cognome. A quel punto la pr, visibilmente in linea con quello che ci avrebbe atteso dentro, ha chiesto anche se ci fosse (mio nome e cognome). Le ho risposto che (mio nome e cognome) non era potuto venire.

No Fit State (live) - Hot Chip (purtroppo senza la citazione dei New Order)
Over And Over (live) - Hot Chip

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