4.9.06

They Might Be The Pipettes



La cosa più divertente del concerto delle Pipette è stata ascoltare i commenti sferzanti di gente che pensava di essere andata ad un live dei Sonic Youth. Hai voglia a sfottere le sedicenni vestite da Pipette, quando un tizio accanto ripete per dieci volte che l’indomani stroncherà il tutto in radio e per motivi artistici. Invero il concerto è un gioco di ruolo, come ci si aspettava: supportate da anonimi garzoni le tre fanno la loro cosa, ovvero si agitano in coreografie minime sulle loro non-canzoncelle sixties ad uso divertimento collettivo. La pipetta con gli occhiali si esibisce nel campionato nazionale di facce buffe e mosse da ubriaco, la versione gallese di Karin Schubert conduce la baracca in maniera scafata mentre in parallelo sudata e spettinata riassume il campionario delle fantasie maschili dell’italiano medio degli anni Sessanta e il clone di Rory Gilmore fa appunto il clone di Rory Gilmore per tutta la serata. Eppure, senza scadere nel ridicolo di chi rispolvera un frasario critico vetusto del genere “Non hanno voce”, ci si chiede perché a volte venerdì sera la gente non batteva le mani perché ne voleva di più. La risposta forse è che in certi momenti le Pipette non ce la fanno a essere Pipette con tutti i loro pezzi e soprattutto anche con chi non è andato con l’intenzione di ripetere le mosse viste sul palco. La distanza tra l’atmosfera di cinque canzoni rispetto al resto è palpabile e non basta una stecca o l’assenza di viulini e trombette per spiegarle. A parte questo, mi sono divertito abbastanza, anche senza aver indossato il preventivato abito a pois (la scelta mi era sembrata troppo finto-punk e allora ho optato per un’anonima maglietta bianca-e-rossa da fratello maggiore della famiglia Bradford).

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