14.11.06

I don’t love (what she’s) scioppin’

Non sono io, sono loro che mi ci mandano. Una trasferta inaspettata, coincidente guardacaso col Torino Film Festival e con due prime nazionali attese da queste parti, è anche una trasferta di tre giorni infognatissimi. Per questo mi ritrovo a correre dal lavoro al cinema, passando per il VacanzaLocanda albergo, con la speranza di trovare ancora biglietti giustificata dal fatto che qui gli sconti al cinema li fanno il lunedì. Viva la gente che lavora, viva gli snob che “ossignur la figlia di papà”, viva tutto. All’agile fila di cinque minuti per la biglietteria segue però una fila di oltre mezz’ora per entrare in sala. Tutta colpa della rivoluzione francese. Se non ci fosse stata, mi sarei evitato questa doppia sudata. (di seguito potrei dire cose che non volete sapere su una famosa regina francese, Sofia Antoniettola)

Lapo a due file dalla mia calamita la mia attenzione da quinto-e-anche-forse-sesto-stato. Passo gran parte del film chiedendomi quanto possa identificarsi con Kirsten Dunst. I volti sfatti davanti al sole del mattino, l’etichetta e i Gang Of FourFour=Sedici, i giovani e i vecchi. Io. Non. Volevo. Essere. Qui. Nemmeno io, a dire il vero. Mi rompo. Sofia Antoniettola è il Male di queste due ore. Luigi Augusto è la vittima. Luigi Augusto è un geek ante-litteram, voglio diventare anch’io un appassionato di serrature, catenacci e chiavistelli. Sofia Antoniettola si abboffa delle peggio cose e non le spunta neanche un brufolo: cos’è, Kevin Shields ora è un dolcificante con poche calorie? Sofia Antoniettola è anche la regista: Sofia Antoniettola guarda dal finestrino della carrozza con musica fika in sottofondo! Sofia Antoniettola è ripresa in controluce! Sofia Antoniettola si abbandona su un letto di merletti/fiori/erba con sguardo estasiato e/o perso! Al primo uso si pensa ad un auto-rimando alla precedente e apprezzata produzione. Al settimo finestrino si capisce che in realtà i francesi non usarono una ghigliottina, ma il primo prototipo di alzacristalli automatico.

Il film si prende gioco di tutta la teor-etica del post-moderno: Aphex Twin ha scritto quelle cose davvero nel 1780 e i Radio Dept. hanno inventato il feedback. Per il resto è tutto un capriccio di Sofia Antoniettola, mica crederete alla balla della decontestualizzazione della figura storica. Sofia Antoniettola è una regina, vuole i Cure in una scena montata alla cazzo del filmino del matrimonio e li sfuma con la zappa. Sofia Antoniettola non ha bisogno di dire cose intelligenti, ha bisogno di un altro paio di scarpe perché sta male. I Phoenix sono un paio di scarpe. Il militare svedese è un paio di scarpe. Rousseau è un paio di scarpe. Mi fa male il callo al piede che mi è venuto correndo qui con gli stivali dal lavoro. E non ho un altro paio di scarpe da mettere domani.

Forse mi annoia la piattezza dell’ennesimo orpello, un turbante di riccioli biondi con gli uccelli attacati con la coccoina, una bambolina semovente che parla inspiegabilmente francese o, chessò, un altro paio di scarpe. I collezionismi altrui sono la fiera del tedio, in fondo. Sofia Antoniettola intanto azzecca due o tre immagini (la maschera di veletta, il mattino dopo la festa, il tetro funerale filiale) e canna il resto, soprattutto la camera in movimento e gli eventi che segnano l’evoluzione della storia, trattati con la leggiadria della telenovela piemontese o di Paquito e Chiquito (Sua Maestà, il Re è morto! Sua Maestà, sua madre è morta! Sua Maesta, sua madre era la Bastiglia, ma è comunque morta!). Mi rigiro i pollici, sollazzato unicamente dal militare svedese che a un certo punto cita David Hasselhoff come miglior cantante del suo paese. Fortunatamente arriva il popolo. Anche lì però è il festival delle occasioni perse: tipo, se fossi stato io Max Antoniettcar, avrei fatto lo stage-diving sui forconi mentre in sottofondo suonava Revolution di Molella. Invece Sofia Antoniettola si inchina, come in uno di quei film con Tyrone Schneider e Romy Power che guardavano i miei genitori quand’ero piccolo. Meno male che arrivano presto i titoli di coda, non prima di un altro finestrino. In fondo, nonostante il ritorno a piedi fino in metro e un misero pezzo di focaccia ligure col salamino calabrese per cena, c’è il menù dei cuscini* che mi attende in camera.
(Prossimo episodio: Max Antoniettcar all’anteprima di Nacho Libre)
*magari domani metto una foto del menù, se non mi hanno rubato la digitale che ho dimenticato sul tavolo

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