Nel wrestling il tag team è quando si lotta in coppia. Formalmente non si può stare in due insieme sul ring contro il singolo avversario, ma quando si passa la mano al compare di solito si coglie l’occasione per mazzolarlo un po’ a quattro mani, finché l’arbitro non interviene. Il passaggio di mano non è solo metaforico, si batte proprio il cinque, palmo contro palmo. Insomma, quello che è successo ieri sera quando Nanni Moretti usciva dalla sala dove aveva appena visto un film algerino-francese e io entravo per la prima nazionale di Nacho Libre. (ma dico, o cinefilo navigato, l’apparizione di Moretti è ancora un evento degno di scatenare le digitali, le strette di mano e le battute al bancone del bar?)
Nacho Libre è il tag team del regista di Napoleon Dynamite, dello sceneggiatore di School Of Rock, di Beck e Danny Elfman e di Jack Black, il Franco Franchi sovrappeso del cinema rock’n’roll. Un frate scandinavo-messicano sogna la fama dei luchadores (i lottatori del casereccio wrestling locale), la via per migliorare la condizione degli orfani del convento e per conquistare l’amore di Suor Encarnacion, una versione carina della Penelope Cruz di Tutto Su Mia Madre. La riuscita del tag team però è altalenante, tanto che sembra più un tutticontrotutti. Jared Hess confeziona un tributo all’estetica del cinema di lucha messicano degli anni Sessanta e Settanta (cfr. la serie con protagonista Santo, citata nelle interviste dallo stesso regista), ricreando perfettamente certe ambientazioni e facce (anche quando mascherate) con il tocco surreale e malinconico del precedente film. Alle trovate, visive e non, non corrisponde un pari controllo sulle altre parti: Black, quando non esagera con l’ormai solito armamentario, non copre i vuoti e i cali di interesse (soprattutto della parte centrale) suscitati da una sceneggiatura pessima, praticamente la copia carbone di School Of Rock con qualche peto in più. Il post-demenziale di Hess viene insomma sommerso e annacquato dalla convenzionalità del resto della cricca.
Persino la colonna sonora è un tag team troppo composito e vittima di scazzi: il regista vuole Beck, che si vede cassare dalla produzione alcune canzoni; la produzione chiama Danny Elfman che al posto di scrivere qualche pezzo compone una colonna sonora completa che finirà solo in parte nel film; a quel punto il regista si impunta e non vuole che Beck sia rimosso dai credits, ma altrettanto fa Elfman che chiede di non figurare più nei titoli del film (Batman-Prince-Elfman anyone?), e via così fino all’accordo finale. In più, accanto a pezzi notevoli come il tema alla Oliver Onions di Religious Man del gruppo messicano anni Settanta Mr Loco, figurano inspiegabilmente pezzi brasiliani come Irene di Caetano Veloso o una cover di Bat Macumba. Infine non manca il solito spazio per il meta-rock di Jack ‘Tenacious D’ Black, che nel pre-incontro finale intona una canzone ad Encarnacion che scatena l’ovazione della sala. E che, per carità, fa ridere ma fa anche sorgere il dubbio con tutto il film che il nuovo John Belushi stia lentamente diventando il nuovo Robin Williams.
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