24.11.06

Passati

L’ultimo appuntamento nella chiesa prevede un’accoppiata sbilenca che però ha il suo senso. I Sodastream arrivano da una specie di odissea. Non contenti di un tour italiano infinito che si estende dalle Alpi a Ortigia, piazzano la data a Bari tra due giorni a Firenze: e non dovevano avere problemi al furgone mentre si dirigevano verso la Puglia? La storia del radiatore bucato, dei pezzi di pizza e di come un contrabasso entri in una macchina a nolo la raccontano in tempo reale sul loro diario del tour (aggiornato via cellulare?). Così, con metà dell’equipaggiamento arrivano a pochi minuti dall’inizio del concerto. Soundcheck con tutto il pubblico fuori dalle porte e via, iniziano subito. Iniziano loro perché non ci sono gruppi spalla e gruppi principali, ma con quegli altri lì della coppia sbilenca forse qualcuno se ne sarebbe andato via subito. E così inizia tutto quello che mi aspetto: le ballate minime massaggiano i neuroni provati, il contrabasso oscilla come un pendolo davanti alla mia prima fila, la voce culla acuta, gli ahum austroboscaioli pure, spunta fuori la sega. Neanche loro si sottraggono al fascino del piano a coda incastrato nel colonnato, e per un attimo non sono spalla a spalla. Dicono che sarà difficile ri-suonare senza un piano ‘così grosso’. È un concerto rotondo come le tazze di thé nei pomeriggi freddi di studio universitario. Oggi che i thé del pomeriggio sono nei bicchieri di carta, sarebbe più appropriato definirli come la tisana prima di andare a dormire. Ma io non preparo quasi mai la tisana prima di andare a dormire.



I Sodastream rivedono la scaletta e cassano i bis perché a mezzanotte si chiude. Dopo di loro i Jackie-O-Motherfucker che aprono qui il tour europeo di quest’anno. Anticipati la sera precedente dal chitarrista fondatore in incognito, che ha suonato brandelli di folk introversissimo in un pub della città, si presentano a un pubblico che si ridurrà via via, con un armamentario che andrà dal giradischi del nonno a un violino cinese che riporta alla memoria i fasti di kim-ki-duk-iana memoria. Non li conosco, ma il loro post folk fatto di dilatati brandelli di tradizione trasmessi su una stazione radio che non si riesce a sintonizzare, suona alle mie orecchie più accessibile di quello dei concorrenti più giovani, sempre troppo hippie-del-cacchio per i miei gusti. Forse perché si muove nei territori di quell’altro post che ascoltavo tanto cinque o sei anni fa. In più tra facce boscaiole e secchione e un componente dei Montefiori Cocktail in incognito, spunta fuori lei, questo meraviglioso fenicotterone bruno che fa le peggiori cose che di solito odio a morte in un concerto: si toglie gli stivali, accende le candeline sul palco, si accovaccia con i piedi sulla sedia, volge le spalle al pubblico al bordo del palcoscenico e urla come una pazza senza microfono trattenendosi dal ridere, sale in piedi sulla sedia per suonare i campanelli, strimpella trentadue strumenti a caso e porta questa gonna ascellare dal taglio appartenente a chissà quale epoca che confuta le proporzioni vitruviane. Come non amare Eva ‘Inca Ore’ Salens? Per il resto, il concerto si compone di una lunga suite iniziale e di tre brani dalla durata più contenuta. Il chitarrista fondatore pare infastidito dal fatto che i tempi siano stretti e non perde occasione per ricordarlo. Tanto che alla fine spara lì un veloce ‘finito il tempo è stato bello basta ciao’ e scappa di scatto lasciando interdetto il pubblico dimezzato.


(Un set fotografico esaustivo su Sodastream, JOMF e fenicotterone lo trovate qui)


Dopo giorni di live e una pausa ieri per scrivere il post seguente, il weekend sarà all’insegna del clubbing. Per consolarmi del fatto che la prossima settimana non si parteciperà al casino della devastante serata a cinque euro (ripeto, a cinque euro!) con Mr. Oizo, Kavinski, Feadz, Uffie (eh, vi tocca) e Scuola Furano e al compleanno di Rockit in cui Violante ‘sia dannata per aver ammazzato Aldo Nove con quello lì che non voglio nemmeno nominare’ Placido farà da supporto ai dj set dei nostri beniamini Enver e Polaroid, affogherò il mio dolore stasera in un dj set di Peter Hook a cui si va (nonostante il posto che prevede la riduzione a 10 euro(!) prima di mezzanotte) solo per vedere se il resident Lillo in apertura metterà di nuovo Audion e Fizheuer Zieheur come nel dj set della prima notte di Plug In a cui non sono stato, e domani in una cosa più indie come Tigertown. Un’overdose giustificata anche dal fatto che l’unico appuntamento in vista da qui alla fine dell’anno sarà la sola Ellen Allien a metà dicembre.

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