19.11.06

The rock of impermanence

Il mio percorso musicale non è lineare. Di solito a un certo punto succede qualcosa e il futuro non è più quello del giorno prima. Anche il passato ne risente, vengono riletti i rapporti di importanza tra le cose, cambia la prospettiva, si va oltre, avanti o indietro che sia. La mia disorganicità in musica è come la pietra arenaria, un ammasso il cui senso è forse solo il tempo che compatta il tuo sbriciolarti progressivo, dandoti un’illusione vana di solidità. Fennesz è sempre stato da queste parti, a mettere in musica il mio amore per la melodia più semplice e sentimentale, quella pop a sei corde in riva alla spiaggia, con l’orecchio delle certezze infrante, di un computer programmato per andare a leggere in una zona di memoria che non esiste. Un mondo di conchiglie preistoriche e punte di selce finite per sbaglio in un museo d’arte moderna. In un auditorium forse sconsacrato verde e rosso, assorto nell’eco distorto della sovrapposizione di strati di silenzio.



Fennesz dal vivo non cerca mai un contatto visivo con l’altro essere umano: il suo sguardo gelido e malinconico fissa ora lo schermo del laptop, ora una manopola, ora le sei rette paral.lele che si incontrano solo all’infinito. Non sa comunicare che così, con un flusso di alterazioni in cui l’accordo più semplice della storia diventa il più tormentato da se stesso, in cui il rumore danza sinuoso tramutando la ruvidità in grazia. Nemmeno un’immagine sullo sfondo segna il senso del vagare e il pubblico è ammutolito. Solo tra suoni. Studio le sue mosse gravi tra computer e chitarra. Suona la chitarra in maniera molto più accessibile di quanto mi aspettassi, a tratti forse troppo, lambendo le atmosfere di certo Angelo Badalamenti. Ecco nel suo concerto ho risentito un po’ degli eccessi di chitarra elettrica distorta rispetto all’amata chitarra acustica trattata della prima produzione. Alla fine un enorme applauso non si interrompe fino a un bis secco e struggente. Lui ti guarda solo quando non suona, e accenna quel sorriso un po’ triste e diffratto che da sempre associo alle sue canzoni.

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