18.2.05

Si basano sui film: Annarè


Ieri sera faceva freddo, era tardi, ero stanco e così invece di uscire sono rimasto a casa a guardarmi quella perla che è Annarè del maestro Ninì Grassia con Giggi D’Alessio. Colpito dalla colonna sonora, ho riflettuto sulle interessanti differenze rispetto al classico musicarello napoletano. Il materiale utilizzato può essere ricondotto a tre categorie fondamentali, ognuna delle quali trattata con modalità cinematografiche differenti: le canzoni napoletane di Gigi D’Alessio, la dream-house contestualizzante e il porno-midi d’accompagnamento. Quello che stupisce è che il ruolo funzionale di ciascuna di esse è fortemente pensato e mai gratuito.

Il porno-midi d’accompagnamento è un classico dei film a basso costo. L’unica categoria utilizzata in maniera extra-diegetica per tutta la durata del film è però impiegata per rendere i vari registri, dal poliziottesco dai toni gravi al romantico come riproposizione strumentale dei temi del buon Gigi passando per tutte le sfumature intermedie. Il punto di forza del film non è l’uso “dogmatico” ma quello accorto del materiale sonoro e così si riconosce un valore di raccordo strutturale a questi inserti.

La dream-house contestualizzante è il colpo di classe che non ti aspetti. L’approccio è completamente diegetico e l’unico tema riproposto in più scene è ora sonorizzazione dei locali dove il giovane cantante ha terminato la sua esibizione, ora martello radiofonico proveniente dagli altoparlanti della sua macchina, ora musica della festa di compleanno dell’amante tradita per amore. Si presume che una tale scelta sia volta a fornire la cornice spazio-temporale, ovvero la Napoli del 1998 come luogo dello spirito.

Le canzoni napoletane di Gigi D’Alessio sono il centro del film e di questa analisi. Il musicarello napoletano classico ricalca spesso l’approccio da musical in cui i personaggi all’improvviso al posto di parlare cantano, ovunque si trovino e spesso in contrasto con le situazioni. Annarè invece si distringue per l’impiego quasi totalmente diegetico delle canzoni del protagonista: Gigi si esibisce nei localini, viene richiesto al piano del ristorante dove cena, canta in un megaconcerto dove festeggia il contratto per la tourneé in America. Certo a volte non è presente l’intera band alle sue spalle e a volte suona il pianoforte anche se nella canzone non si sente, ma si apprezza la buona volontà e la genuinità delle composizioni (l’inserto parlato! Uno strumento caro al neomelodico capace di fornire sempre nuove soddisfazioni). Unica e voluta eccezione è il tema principale, utilizzato nel pre-finale che racconta lo struggimento del protagonista: la canzone nasce nello studio di Gigi, sul suo piano, si stacca da lui e lo accompagna nel suo vagare triste e sconsolato. O meglio, le immagini accompagnano la musica nel suo farsi cinema così che non si nota lo spiacevole effetto posticcio del musicarello classico, anche perché Gigi evita di cantare o peggio di cantare rivolto alla macchina da presa.

Non so se giovedì prossimo Cient’Anne, il film del passaggio di consegne tra Mario Merola e Gigi D’Alessio, fornirà simili spunti. Di certo c’è la speranza che qualcuno raccolga la lezione di questo film per affrontare la tradizione del genere e conferirle nuova dignità.

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