Si basano sui film: Cient’Anne
Dico solo una cosa: che delusione. Il film del passaggio di testimone tra Mario Merola e Gigi D’Alessio è vittima delle sue tentazioni espressive e paradossalmente ciò si traduce in un minor controllo della struttura. Lo spostamento di D’Alessio verso un pubblico più ampio, anche dal punto di vista geografico, influisce in maniera discontinua come nel caso delle sue canzoni del periodo, metà in italiano e metà in dialetto con la parte in dialetto melodrammatica a contrastare il baglionismo dell’altra. Si assiste così a scene da musicarello classico (quella davanti alla finestra mentre piove) come a scene da video musicale in cui Gigi è ripreso col viso spostato rispetto al centro dell’inquadratura. Il discorso dei due piani è anche portato avanti sul piano del cast a metà tra la tv locale napoletana e quella del sottobosco Mediaset (Mastrota! Il capitano di College!).
La musica d’accompagnamento assume direzioni incontrollate dal pop da boutique al finto Almamegretta per le macchiette col tunisino napoletano, recentemente ripescato per l’interessante programma di pizzica e taranta della stessa rete, condotto da una ritrovata Federica Moro (ancora College e tutto torna). Il montaggio analogico della scena di Scusami è commovente per il tentativo di estrarre in maniera stocastica dagli attori un’espressione che sia differente dall’altra. Non serve a migliorare la situazione la citazione hitchcockiana da La Donna Che Visse Due Volte, il cui unico effetto è l’uso di un tema ricorrente copiato quasi in toto da Laura Non C’è (la canzone, non il film). Sa di occasione sprecata però soprattutto la presenza di Merola. Latitante per tutto il film si riscatta nel finale quando, infartato, si sorbisce in barella appena fuori dall’ambulanza il duetto con D’Alessio che impedisce il suo spostamento in ospedale per occupare anche la fetta di mercato del Maestro. Una scena e una canzone, quella che dà il titolo al film, che servono a riscattare la fastidiosa noia delle due ore precedenti.
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