Tu non sai Niente di me
Lei non parla mai. Lei non dice mai Niente.
Il pubblico dello Zenzero Club che attende Nada Malanima e Massimo Zamboni è eterogeneo. Mi guardo in giro e vedo di tutto: dai sessantenni con lei cotonata e lui che lamenta i cambiamenti di filosofia immobiliare (“le case non hanno più la sala di rappresentanza”) all’ex-punkabbestia accompagnata dal figlio di cinque anni; dalle giovinette frangettate a chi non spicca per un motivo particolare. Un pubblico generalista potrebbe dire qualcuno, sanremese? Di certo i convenuti mostrano più calore nei confronti di Nada, tralasciando gli eccessi di una parte della prima fila che non vi sto a raccontare. (È chiaramente una versione di comodo, visto che qualche urletto c’è stato pure per Massimo ma io sono andato lì per Nada e allora beccatevi la mia cronaca distorta).
Zamboni diventa strumentista del repertorio recente di Nada, virato in una chiave elettrica che sembra spolverarlo da certe ragnatele da Club Tenco. Nada acquista in freschezza anche se le soluzioni adottate dal chitarrista sono quasi sempre le stesse del suo ultimo decennio, eccetto per qualche excursus più dilatato e privo di effetti. Il concerto alterna le canzoni di Nada con letture musicate dai due libri dei due musicisti: è in questo caso che la serata trova i momenti meno esaltanti, ma io non faccio testo perché ho un rapporto problematico coi reading e soprattutto con quelli dei cantanti italiani che leggono i loro libri. L’Emilia antistereo(s)tipata di Zamboni e l’inno alla madre ipersensitivo ed eccessivamente lungo di Nada in modi diversi risentono dei difetti del genere, con la musica che cerca disperatamente di risollevare il testo e di contenere l’espressività o l’inespressività del lettore. Se non altro tra un pezzo e l’altro non si sentono storielle amene, fastidiosi monologhi o introduzioni autocelebranti.
Nada ha delle canzoni che iniziano e procedono verso frasi sempre più semplici e lapidarie: tu non sai Niente di me, tu non mi vuoi bene, ti aspettavo tanto. Uno scrivere pop così smaccato da risultare attraente. La sua voce invecchia bene tanto da non risultare fuori luogo nei momenti più rock. Diverso è il discorso della gestualità, che oscilla tra il televisivo anni Sessanta (bene) e un qualcosa a metà tra una Bjork goffa e una Patti Smith forzata (male – il vicino parlava di mossa dello scimmione). Il concerto procede insomma tra passi falsi e picchi positivi, con l’entusiasmo crescente del pubblico. Nei bis Nada fa saltare il posto con una versione new nouvelle bossa di Ma che freddo fa e con la mia amata Amore Disperato su un tappeto elettronico, rarefatto e minimo che sembra preso in prestito dal catalogo della Morr Music.
(update: e sembra strano ma apri una mail al lunedì e scopri che il testo di Amore Disperato trova il suo contrasto solo nel fatto che cammino troppo veloce ed è facile perdermi di vista.)
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